Antonio Polito ci ha fatto un libro di rimostranze. Eugenio Scalfari un riciccio di editoriale. Giuseppe De Rita un’intervista. Dicono tutti che mancano “i padri”. E via discorrendo. Di fatto, è diventato complicato, con tutti questi ritrovati di coppie aperte e gay, meticciati etnici e tecnoscienze, percepirsi “padri”. Però, all’ingrosso, forse si capisce che non basta interrogare la biologia o il web per sapere cos’è un “padre”. La madre ha una sua specifica alterità rispetto al padre. Ma in generale per “padri” e “madri” (come per “uomini” e “donne”) si intende quella fecondità di natura e di intelletto che sono gli esseri umani emergenti nell’universo asciutto, freddo, piatto, pieno di “buchi neri”, in movimento espansivo (sebbene più rallentato del previsto, dicono le ultimissime dallo spazio).
BISOGNA CHE SUCCEDA QUALCOSA. Si intende quell’“essere” per cui siamo un dono a noi stessi e senza il quale noi non saremmo liberi (se infatti avessimo potuto prevederci noi non saremmo liberi). Si intende quella razza di non sassi dai «desideri infiniti e visioni altere». Per dirla col sommo Leopardi. E morta lì. La tomba è lì. E quel Cristo lì, di cui proprio questa settimana si narra che «morì, discese agli inferi, resuscitò per condurre tutti al Padre», tutti gli esseri che spuntano negli spazi siderali? Ci fanno spettacoli di grande consolazione. Per la prossima chiesa dei poveri, pace mondiale e amen. Bisogna che succeda qualcosa invece che parlare parlare (e quanto si parla di Gesù, Chiesa, santi e papi ultimamente) e non succede mai niente. Intanto, siamo d’accordo, non c’è pane quotidiano, né remissione dal peccato, né liberazione dal male, quando non si sa più a che padre andare.