Noi, ragazzi del ’56

Di Sanvito Samuele
19 Aprile 2000
“I formidabili anni con don Giussani al liceo milanese Berchet. Anche se non ho mai fatto parte del suo movimento, non ho mai dimenticato la prima ora di lezione... e tutto il resto”. Parla un radiologo a un anno dalla pensione, uno dei primi studenti del fondatore di CL

Elio Bozzetti, classe 1931, sposato, senza figli, risiede a Chieve, provincia di Cremona, radiologo all’ospedale di Lodi, laico e craxiano di ferro, non dimentica il suo incontro con il “raggio” di don Giussani. Bozzetti non è mai stato di Comunione e Liberazione, ma parla del suo incontro con Giussani nel lontano 1956 come di una rivelazione. Ci siamo imbattuti in lui per caso, ed ecco la sua testimonianza di ex liceale del ’56, raccolta da un ragazzo del ’76.

“Era il 1956. Sono entrato in prima liceo al Berchet di MIlano, sezione A, la sezione di ferro, con i docenti migliori : Scazzoso, La Musa, Elisei, Martinelli e Don Giussani.

Mi ricordo la prima lezione che ci fece Don Giussani. Avevo appena compiuto 15 anni. Giussani ci aggredì con una storia apparentemente strampalata che sembrava non c’entrasse nulla con la sua materia di religione. Ci raccontò che poco tempo prima aveva avuto modo di visitare un manicomio in Brianza e che entrando in una specie di cella disadorna, era rimasto colpito da un paziente che girovagava nella stanza con una pila accesa puntata contro la parete. Noi lo ascoltavamo e Giussani, con questa sua voce roca, continuava a girare intorno a questa storia del paziente con la pila. Alla fine gli chiesi: “Beh, professore, ci spiega allora cosa ci faceva quel tale con la pila in mano?”. E allora Don Giussani ci disse che era la stessa domanda che lui aveva rivolto al poveretto e che la risposta era stata: ‘Cerco me stesso’.

Lei si immagini, oggi ho 59 anni, un ragazzo di 15 anni che si sente dire da un sacerdote questa frase. Eh! Non si è scorza amara. Rimane nella memoria. E’ rimasto tale dall’età di 15 anni all’età di 59 anni; non è una cosa da poco. Non sono un praticante, ma mi ricordo ancora bene di quel “raggio” fondato dal Giuss, che non era poi nient’altro che il modo con cui Giussani raccoglieva intorno a sé noi giovani per riflettere su determinate esperienze e tirarne fuori certi valori. Non era una cosa facile perché in quel momento lui faceva il seminatore e non poteva immaginare che cosa avrebbe raccolto. Ma Giussani seminava con una passione, con una determinazione e con una forza estrema, quasi in solitudine. Dovevi vederlo: era lui con i giovani. I giovani gli rispondevano perché avevano bisogno di valori. Lui glieli dava senza cambiali, glieli dava puliti, per cui, se tu ci credevi, lo seguivi, se tu non ci credevi o comunque rimanevi dubitativo, temporeggiavi, ma non potevi rimanere indifferente, così cominciavi dentro te stesso il lavoro di confronto tra quello che Giussani ti diceva e te stesso. Mi ponevo spesso il problema che lui fosse più vecchio di me e che potesse fregarmi; e vivendo in questo problema, a volte non vicino ma a distanza, era un continuo confronto, un misurarti, come se lui fosse un Golia e tu un Davide, perché questa è la situazione di un giovane. Ti senti sempre un Davide rispetto ad uno più vecchio. Il problema era capire se lui era un gigante buono e tu un Davide fasullo. Questa mentalità di confronto è rimasta accesa e oggi basta una frase, un articolo che Don Giussani scrive che ti viene subito il desiderio di capire dove vuol andare a parare: ti ritrovi sempre e dici: è ancora lui. Sono cambiate due generazioni ma è ancora lui. Questa è la forza di Don Giussani.

Gli devo molto: l’onestà intellettuale che mi ha inculcato, il senso di fiducia e di speranza che mi ha dato, perché con lui non è mai esistito il buio, è sempre esistita la luce. Non è una cosa da poco. Vivendo la tua vita capisci che ci sono dei momenti bui, ti accorgi che è un tunnel e, se credi in qualcosa, puoi sperare di trovare una luce. Don Giussani è sempre stato questo riferimento, era la luce, e anche chi era lontano ne ha subiva il fascino. Lui radunava i giovani nella scuola, fuori, dove poteva, come poteva. Il punto di partenza è stato il Berchet, era la sua scuola, e questa scuola ha risposto, ha risposto anche negli anni. Sembrava qualcosa di studentesco soltanto, poi negli anni abbiamo capito che non era così.

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