Lettere dalla fine del mondo
«Noi malati non siamo i figli di un fallimento ma di un trionfo di Dio»
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Ogni mercoledì mattina Suor Sonia si incontra per la scuola di comunità con un gruppetto di malati terminali. Una iniziativa che è di aiuto a loro e anche a noi per guardare in faccia la morte, senza il terrore che caratterizza chi non vive di Gesù. Che cos’è la scuola di comunità se non un luogo in cui aiutarci a vivere la presenza di Gesù vincitore della morte, ad affrontare il dolore non come un castigo, ma come una possibilità in più per assimilarci a Gesù? È facile parlare quando si sta bene, altra cosa è quando vediamo avvicinarsi il volto della morte: quel volto pallido e brutto che Bergman ha mostrato ne Il settimo sigillo. Le due testimonianze che seguono sono state raccolte da Suor Sonia, responsabile della Clinica Casa Divina Provvidenza.
Ossa secche
Questa è la riflessione di Giovanni, paziente della Clinica, sui versetti tratti da Ezechiele. «Se dico che la mia malattia è incurabile sto dando importanza alla stessa. La malattia è in un certo senso più di me, ma certamente io sono più della mia malattia: io sono figlio di Dio, per il quale niente è impossibile. “Mi ha fatto passare in mezzo a quelle ossa che erano completamente secche, erano tantissime. Jahvé mi chiese: pensi che queste ossa potranno tornare in vita? Io risposi: Signore solo tu puoi saperlo”. (…) Diamo l’autorità a Dio. Nemmeno i medici possono comandare sulla mia malattia. Dio ha il potere sulla mia malattia e sulla mia vita. Quindi cari fratelli ammalati, siamo qui per una malattia che ci affligge, il cui dolore e origine Dio conosce. A Dio infatti non sfugge nemmeno un capello del nostro capo. Dice la Parola di Dio: “Parla ad esse a mio nome e dì loro: Ossa secche! Alzatevi!”. Le ossa si riunirono, erano tante come un esercito. E il profeta dice: “Chiamate lo Spirito Santo, che scenda sopra di esse e che si rivestano di tendini e carne”. Tutto è possibile per colui che crede. Se mi trovo qui, in questa Clinica, è perché Dio vuole così. “Faccio entrare in loro il Mio Spirito e torneranno a vivere e sapranno che Io sono Jahvè, il tuo Dio!”. Dio ci chiede che ci rechiamo dal medico e ci dice: “Darò saggezza al medico affinché ti prescriva il farmaco più appropriato”. L’unica cosa che chiedo ai miei fratelli ammalati è che benedicano, nel nome di Dio, i farmaci che stanno per assumere, perché le medicine, benedette da Dio, siano efficaci. Sempre quando mi accingo a prendere la mia medicina dico: “Signore, Padre amatissimo, nel tuo nome benedico questo farmaco: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo perché mi guarisca e penetri fino in fondo al midollo”. (…) Ossa secche alzatevi! Dio guarda tutti noi che siamo una famiglia. Lui non ci ama perché siamo buoni o perché lo meritiamo. Dio ci ama perché Lui è Amore».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Condor o galline?
Un altro paziente della Clinica, durante la catechesi del mercoledì raccontò una bella storiella. «Un condor stava volando trattenendo con le zampe un proprio uovo. All’improvviso, lasciò cadere l’uovo che, neanche a farlo apposta, si fermò di fianco ad una gallina ovaiola. La gallina mise l’uovo sotto le sue ali. Dopo alcuni giorni le uova cominciarono a dischiudersi così come l’uovo del condor. Col tempo crebbero i pulcini insieme col condor. Questi si rendeva conto di essere differente da tutti però mangiava quello che mangiavano gli altri. (…) Un giorno ascoltò un suono nel cielo, alzò il capo, vide volare un condor e quindi, sorpreso, disse: “Questa è la mia razza”. Poi vide passare un altro condor e di lì incominciò a muovere le sue ali e prese a volare. Tu ed io siamo condor, non siamo galline da cova per mangiare di tutto. Noi siamo condor, figli di Dio, dobbiamo volare. (…) Molte volte non ci rendiamo conto di quello che siamo perché ci alimentiamo di schifezze: droga, alcool e ogni altra cosa che oggi ci tarpa le ali, ci impedisce di volare come figli di Dio. Dio non ha creato te o me così come nessun altro perché siamo uomini falliti, perché Dio stesso non ha mai fallito. Lui non fallì quando mandò suo figlio Gesù a morire per noi. Dio non ha fallito quando il diavolo gli ha detto: “Questo non puoi farlo”. Dio non ha fallito inviando suo figlio Gesù per salvarci dai nostri peccati, versando fino all’ultima goccia di sangue per noi. Dio non ha fallito con il suo progetto di salvezza; perciò ognuno di noi non è figlio del fallimento, ma figlio del trionfo. Una malattia può ridurci in un letto, ci può provocare anche un po’ di tristezza, ma non potrà mai rendere impossibile la vita, perché, oltre la nostra infermità, abbiamo la certezza che Dio ci aspetta in Cielo».
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1 commento
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Suor Sonia, la ringrazio per aver raccolto simili testimonianza; mentre leggevo quella di Giovanni mi chiedevo:”Ma è Giovanni che scrive o San Giovanni, l’evangelista?”. Questa è opera dello Spirito Santo, che si è “servito” di una umile e coraggiosa suora per arrivare ai malati…così forti! Quelli lì se non vedono arrivare la guarigione ma la morte, l’accolgono ugualmente con caparbietà -al positivo! Ma che bella notizia!