VIOLENZE ANCHE CONTRO UNA CHIESA. Così i manifestanti hanno voluto portare loro le bandiere in piazza e sotto il palazzo, e all’arrivo della polizia ecco che tutto il loro odio si è tramutato in violenza. Agli agenti sono stati lanciati sassi, mattoni, bottiglie e qualsiasi cosa passasse sotto mano, e alcuni lealisti, volto coperto con cappucci e sciarpe, hanno pure tentato di entrare all’interno del Belfast City Hall. «Non ci sono scuse o giustificazioni per gli attacchi ad ufficiali di polizia, staff del consiglio e agli immobili», ha preso le distanze Peter Robinson, primo ministro e leader del partito unionista DUP. «Simili comportamenti non rappresentano chi ha portato avanti la campagna per mantenere l’Union flag sventolante sul Belfast City Hall». Ma scene di tensione si sono registrate anche a est della città, a Short Strand, zona a maggioranza nazionalista. Qui la folla ha attaccato una chiesa cattolica, la St. Matthews, e pochi chilometri più in là si è scontrata ancora con la polizia.
«ERA INEVITABILE». L’alba di Belfast stamane era quella del giorno dopo. È l’ora delle analisi, delle conte dei danni, delle accuse. «La decisione di promuovere la rimozione della bandiera dalla City Hall e dagli altri edifici governativi, nonostante gli avvertimenti sul probabile impatto che ciò avrebbe avuto sulle relazioni tra le comunità, è stata ingenua e provocatoria», ha puntato il dito sempre il Premier Robinson. «Coloro che più spendono parole sulla costruzione di relazioni tra le comunità hanno in sostanza danneggiato, con le loro azioni in concilio, i rapporti all’interno della città». Dalla parte opposta gli ha risposto David Ford, Ministro della giustizia e figura di spicco dell’Alliance Party: «I membri politici di DUP e UUP hanno fomentato questa protesta, con volantini da entrambe le parti e attraverso i social media. Hanno invitato la gente a scendere in strada. Dovevano saperlo, da esperienze recenti come quelle di quest’estate, che la violenza sarebbe stata quasi inevitabile».