Netflix sveglia i woke: «Se vi sentite offesi, potete andarvene»
Più delle idee, e dell’ideologia, potè il denaro. E il numero degli abbonati, forse. Alcuni giorni fa Netflix ha inviato una nota interna ai propri dipendenti in cui, in buona sostanza, chiede loro di tollerare i punti di vista diversi oppure di cercarsi un altro lavoro. Tertium non datur, hanno fatto sapere i dirigenti della piattaforma streaming più famosa del mondo oggi alle prese con un calo significativo dei nuovi sottoscrittori. «Il virus della mentalità woke ha resto Netflix inguardabile», ha twittato qualche settimana fa Elon Musk, commentando il crollo in Borsa successivo all’annuncio della trimestrale.
Le proteste contro Dave Chappelle
Eppure proprio Netflix è stata la prima grande major a non cedere alle proteste e alle minacce di boicottaggio dei propri dipendenti qualche mese fa: lo scorso ottobre alcuni dipendenti della società avevano protestato in modo veemente conto la messa in onda dello spettacolo di stand up comedy di Dave Chappelle The Closer in quanto offensivo delle minoranze, in particolare di quella trans. Ted Sarandos, capo dei contenuti di Netflix, aveva prima fatto sapere che non avrebbe rimosso The Closer, poi ha chiesto scusa dicendo di avere fatto «un gran casino» ma poi ha lasciato lo show di Chappelle disponibile sulla piattaforma.
Dopo mesi di tensioni in azienda, tentativi di alcuni dipendenti di irrompere alle riunioni dei manager e una lettera con la richiesta di non trasmettere più nulla che desse adito ad accuse di transfobia e incitamento all’odio e di rendere conto «del danno causato», ecco la nota ufficiale: cari dipendenti woke, se non vi va bene quello che trasmettiamo, potete andarvene. Una nota arrivata curiosamente poche settimane dopo che la Disney, invece, aveva ceduto alle proteste dei propri dipendenti i quali chiedevano che l’azienda attaccasse il governatore della Florida Ron DeSantis.
«Netflix non censura gli artisti»
«Sosteniamo l’espressione artistica degli autori con cui scegliamo di lavorare», si legge nella lettera inviata ai dipendenti, «programmiamo per un pubblico vasto e dai gusti diversi; e lasciamo che gli spettatori decidano cosa è appropriato per loro, invece di avere Netflix che censura artisti o voci particolari. Sosteniamo il principio che Netflix debba offrire una varietà di storie, anche se troviamo alcuni titoli contrari ai nostri valori personali. A seconda del tuo ruolo, potresti dover lavorare su titoli che ritieni offensivi. Se trovi difficile supportare la nostra ampiezza di contenuti, Netflix potrebbe non essere il posto migliore per te».
Non si legge tutti i giorni di un’azienda che non si fa ricattare da una minoranza che si sente offesa (anzi a volte capita che licenzi chi ha opinioni diverse sulle minoranze offese), che difende qualcuno che dice cose molto volgari sugli intoccabili «Alphabet people» Lgbtq (copyright Dave Chappelle) e che invita chi non è aperto alle altre opinioni ad andarsene.
Libertà di espressione e interessi di mercato
Evviva Netflix, anche se questa mossa c’entra poco con la difesa della libertà d’espressione e molto con gli interessi economici: Dave Chappelle funziona, vende, è seguitissimo, fa guadagnare un sacco di soldi alla piattaforma streaming che nel 90 per cento dei casi produce e trasmette storie woke e politicamente corrette. È un bene che per una volta gli interessi di mercato siano gli stessi interessi della libertà di espressione, ma la scelta di mettere nero su bianco la necessità di accettare tutte le opinioni, anche quelle che feriscono i sentimenti dei singoli, suona quasi rivoluzionaria in un mondo che teorizza l’opposto. Forse il politicamente corretto inizia a vendere meno di una volta.
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