
Nemico allo schermo
Arriva sull’isola vestito di tutto punto: gli stivali lucidi, le medaglie sul petto. Arriva e si mette subito al lavoro, lo sguardo fiero ad abbracciare la sua isola e il popolo in festa. I gesti sicuri di chi ha in mente solo grandi opere. Qui una strada, là un tunnel, là in fondo un ponte. La servitù prende appunti, qualcuno non capisce («Mi consenta.»). Ma il generale Napoleone tira dritto tenendo in mente un unico obiettivo: il miracolo elbano. Paolo Virzì, erede presunto della commedia all’italiana, ha presentato il suo N – Io e Napoleone come un film sul berlusconismo. Ma ha mentito. Non è un film sul berlusconismo e nemmeno una satira di costume: è un film contro Berlusconi, apertamente evocato nella figura autoritaria e populista di Napoleone nel suo esilio all’Elba. E per questo il film, dopo gli incassi non proprio esaltanti in Italia, non venderà certo all’estero. Perché gli americani non capirebbero il giochino del riferimento continuo a Mr B. nei panni ora di un generale còrso, ora di un caimano. Insomma: cinema poco semplice e troppo provinciale.
Il cinema americano è ben diverso. Innanzitutto funziona, in tutto il mondo e a tutte le latitudini; e non solo – come si insinua – per lo star system e i budget milionari. Funziona perché gli autori sanno che per avere successo bisogna raccontare storie convincenti, non per forza condizionate dagli scandali politici o dall’odio ad personam. La storia di Clint Eastwood e Steven Spielberg insegna. Conservatore il primo, liberal il secondo, due carriere completamente diverse alle spalle, hanno deciso di girare insieme – regista il primo, produttore il secondo – due film paralleli per raccontare uno degli episodi più sanguinosi della Seconda guerra mondiale, la battaglia di Iwo Jima. Flags of our fathers – uscito da poco negli States, nelle sale italiane il 10 novembre – ripercorre le vicende dei soldati americani che innalzarono la bandiera statunitense nell’isola, immortalati da un celebre scatto; Letters from Iwo Jima, in uscita in Giappone il 9 dicembre (sarà da noi fra un anno) racconta lo stesso fronte di battaglia, ma dal punto di vista dei giapponesi. «Non sono semplicemente due film, uno sui vincitori e l’altro sui perdenti – ha raccontato Eastwood in una lettera al pubblico giapponese – ma due film sull’eroismo di soldati che hanno sacrificato la propria vita per il bene del proprio popolo. è un piccolo tributo che mi sento di pagare di fronte al sangue versato da quei soldati». In Italia non avverrà mai una cosa del genere. Ci aveva provato Renzo Martinelli a raccontare la resistenza bianca, ma la critica bollò allora (era il 1997) il suo Porzus come filofascista.
Mai visto il marziano Bush
Troppo provinciale, l’Italietta del cinema, troppo attaccata ai panni sporchi di casa propria per raccontare storie universali. Nell’ultimo film di Francesca Comencini, A casa nostra, si parla di Milano come di un centro politico in cui finanza e intrighi sono sullo stesso piano. I protagonisti? Affaristi senza scrupoli pronti a gettarsi in politica (in un partito dai colori eloquentemente azzurri) da un lato, finanzieri integerrimi a caccia dell’intercettazione giusta per condannare i malvagi dall’altro; perché, come minaccia la protagonista, «Questo paese è anche casa nostra». Un’altra caimanata, non diversa nei toni e nel livore dai film precedenti della Comencini, Carlo Giuliani, ragazzo – pseudodocumentario sui tragici fatti di Genova 2001 letti in chiave antiberlusconiana – e Mi piace lavorare, storia di un’impiegata sola e oppressa da un padrone feroce che ostenta in ufficio un manifesto del Meeting per l’amicizia fra i popoli.
In America, con tutto quello che nel bene e nel male rappresenta il cinema statunitense, le cose non stanno così: uno si va a vedere Star Wars III – La vendetta dei Sith del liberal George Lucas e si trova di fronte a una grande saga fantascientifica con in filigrana anche le circostanze attuali, la guerra in Iraq, il terrorismo. Ma in controluce e in un contesto di intrattenimento che va ben oltre i riferimenti all’attualità. Ne La guerra dei mondi di Steven Spielberg, i cattivi sono figli di buona donna, crudeli come terroristi, ma sono e rimangono inequivocabilmente marziani, e da nessuna parte compare il presidente Bush col mitra in mano. Come è vero che William Wallace in Braveheart di Mel Gibson parla sì della libertà con accenti più americani che scozzesi, ma dietro la sua capigliatura non si nasconde certo il presidente di allora, Bill Clinton. E così, nel pieno dello scandalo Lewinsky, il cinema americano non ammorbò il mondo con le storie pruriginose dello studio ovale. Parlò di presidenti in lotta contro i terroristi (Air Force One), di presidenti sbeffeggiati da marziani (Mars Attacks!), di transatlantici affondati (Titanic), di soldati in guerra per la libertà (Salvate il soldato Ryan).
Ricami sulle vicende di casa
Meglio così: vi immaginate di dover ricercare nei thriller con Jodie Foster riferimenti alla carriera di Hillary Clinton? Così anche in quell’epopea dominata dal sangue e dal tradimento che è The Departed di Martin Scorsese, c’è tutta l’America di oggi, quella ferita dalle Torri e dagli attacchi a tradimento, ma dietro i connotati del mefistofelico Jack Nicholson non si ritrovano presidenti, vicepresidenti o prigioni di Guantamano. Per questo The Departed può essere visto e compreso al di fuori dei confini americani, in Europa e nel mondo. è uno sguardo sul mondo, non un ricamo sulle cose di casa loro.
Non è sempre stato così in Italia. La gloriosa commedia all’italiana, conosciuta all’estero e di cui tanti di oggi si fingono prosecutori, quella dei vari Sordi e Tognazzi, era vera, amara satira di costume. Si mettevano alla berlina gli italiani tutti: democristiani, comunisti, socialisti, disoccupati, impiegati, vigili urbani, persino i preti. Ci si rispecchiava e ci si divertiva magari alle spalle del vicino di casa. Erano dei film ed erano concepiti per intrattenere. Film, non comizi elettorali o prediche moraliste a tinta unita. Film liberi, magari liberi anche dai finanziamenti di Stato (che invece il film della Comencini ha avuto), in grado di ridere di tutto e di tutti, da Andreotti a Stalin e, magari, anche di se stessi.
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