Nella grotta dei realisti

Di Uguccioni Cristina
07 Febbraio 2008
Viaggio nel popolo che a Lourdes trova il miracolo di una fede amica della ragione

Un tempo era un postaccio: si aggiravano i maiali in cerca di cibo davanti alla grotta di Massabielle, a poca distanza dal piccolo borgo di Lourdes, ai piedi dei Pirenei francesi. Quest’anno vi sosteranno in preghiera otto milioni di persone accolte da più di 110 mila volontari per celebrare il giubileo del santuario di Lourdes. Qui, 150 anni fa, la Madonna apparve ripetutamente a una ragazzina povera e pressoché analfabeta, Bernadette Soubirous. Qui, da allora, 67 persone sono miracolosamente guarite nel corpo e milioni di persone da ogni parte del mondo continuano ad arrivare alla ricerca del volto di Dio e della sua tenerezza. Un flusso continuo di domande instancabili di grazia, di anime alla ricerca, di corpi malati che chiedono la guarigione nell’abbraccio miracoloso di quella grotta che tutti accoglie.
A Bernadette si rivelò per la prima volta l’11 febbraio 1858: aveva 14 anni e viveva con i genitori e i fratelli al Cachot, l’ex prigione di Lourdes dove la famiglia, ridotta in povertà, aveva trovato rifugio. Quella mattina la ragazzina si recò lungo il fiume Gave, a Massabielle, per raccogliere legna da ardere. Udito un rumore, alzò la testa verso la grotta. Raccontò: «Io scorsi una Signora vestita di bianco. Indossava un abito bianco, un velo bianco, una cintura blu e una rosa gialla su ogni piede». Insieme a quella Signora, Bernadette recitò il rosario. A questa apparizione ne seguirono altre 17. Erano “incontri” fatti di sguardi, sorrisi, preghiere, silenzi, domande, risposte: Bernadette, che si sentiva «guardata come una persona», obbediva con semplicità e fiducia.
Alla ragazzina la Signora chiese di pregare per i peccatori, costruire una cappella e venire in processione alla grotta, abbeverarsi e lavarsi alla sorgente, quella sorgente che Bernadette trovò scavando la terra a mani nude e che da allora non ha mai cessato di zampillare. La Signora rivelò anche il suo nome: «Io sono l’Immacolata Concezione» disse. Bernadette neppure capì il significato di quelle parole ma corse a riferirle al parroco che ne rimase impressionato: solo quattro anni prima papa Pio IX aveva fatto dell’Immacolata Concezione un dogma di fede.
La grotta, allora, era un luogo tetro e umido; oggi è il cuore del santuario denominato Domaine de la Grotte. È un’area immensa, di 59 ettari, che oltre alla grotta comprende diverse postazioni dove attingere l’acqua, viali per le processioni, un’intera collina per la Via crucis, sale di incontro, spazi appositi per le confessioni, tre basiliche edificate a ridosso della grotta e chiese di più recente costruzione. Complessivamente sono 22 i luoghi di culto all’interno del Domaine.

Lontani dai souvenir
Fuori c’è la Lourdes moderna, traboccante di alberghi, negozi di souvenir e ristoranti, e quella antica, che conserva i luoghi dove visse Bernadette. Ma è nel grande spazio sacro del santuario, dove non c’è un solo negozio di souvenir, che trascorrono buona parte delle giornate i malati sulle loro carrozzelle blu, i volontari che li assistono e i pellegrini. Dalla Messa davanti alla grotta a quella “internazionale”, celebrata in più lingue, fino alla suggestiva processione notturna con le candele, all’adorazione eucaristica. A Lourdes ogni ora del giorno è scandita da un gesto di fede. C’è chi resta in raccoglimento in chiesa, chi si immerge nelle vasche alimentate dalla sorgente della grotta, chi percorre assorto le nove postazioni della Via dell’Acqua e chi sosta anche a notte inoltrata davanti alla grotta, che Giovanni Paolo II definì «cattedra di una singolare scuola di preghiera». Eppure il raccoglimento non è tutto. Lo spazio in cui ognuno arriva con le proprie domande è allo stesso tempo lo spazio della comunione, dell’essere Chiesa. Insieme si mangia e si prega, si condividono celebrazioni liturgiche ma anche confidenze e momenti di allegria. Qui fioriscono nuove amicizie, si fortificano antichi rapporti e cadono le maschere della vita ordinaria. La sofferenza fisica non viene nascosta: si manifesta, si rivela con naturalezza e viene accudita con premura da migliaia di volontari.

Molta osservazione
«Al fianco dei malati ho vissuto momenti indimenticabili, fatti di relazioni umane vere e profonde» racconta Alberto Cozzi, medico. Da oltre vent’anni, come volontario, accompagna in pellegrinaggio i malati, ed è vicepresidente della sezione milanese dell’Oftal (Opera federativa trasporto ammalati Lourdes), oltre che responsabile nazionale dei medici dell’Opera. «A Lourdes, luogo scelto da Dio per svelarsi, cade la barriera che distingue sani e malati: si è tutti, semplicemente, persone che condividono un’importante esperienza spirituale insieme, mettendosi totalmente in gioco nella relazione. Questo accade sotto la grotta: davanti a Maria ognuno si sente accolto e voluto bene sino in fondo per quello che è, non per il ruolo che ha o per come appare. E allo stesso modo, sull’esempio di Maria, è ciò che fanno le persone: accogliersi a vicenda e far sentire ben voluti gli altri. A Lourdes si rende visibile la compassione di Dio per tutti gli uomini, e parimenti, nel rapporto profondo con gli altri, il nostro ego, sempre un po’ ingombrante, ridimensiona le illusioni di onnipotenza e impara a conoscersi meglio».
Un luogo in cui Maria, diceva Giovanni Paolo «aiuta ad accogliere con cuore semplice l’annuncio dell’amore di Dio e ci insegna a contemplare con ardente amore il volto di Cristo». Dove la vita non è trasformata magicamente, ma rigenerata. È quello che accadde al premio Nobel Alexis Carrel. Il grande medico e fisiologo francese fu testimone diretto di una guarigione avvenuta nella grotta di Lourdes nel 1902. Carrel si trovava su un treno di ammalati diretti a Lourdes per sostituire un amico medico che aveva dovuto rinunciare. Meticoloso e attento, visitò i malati a uno a uno e ne individuò quattro “impossibili”. Se uno di questi guarisse, diceva, ci troveremmo di fronte davvero a un fatto inspiegabile. Carrel segue personalmente Maria Bailly, ventenne di Bordeaux affetta da peritonite all’ultimo stadio. A ogni ora di viaggio la ragazza peggiora, quando arriva a Lourdes non resta che alleviare le sofferenze con la morfina, portarla alla  grotta significa esaudire l’ultimo desiderio di una moribonda. Mentre la folla prega e il medico la osserva la ragazza smette di ansimare sotto la coperta, il polso si fa regolare, il ventre fino a poco prima gonfio come un pallone torna normale, Maria si mette a sedere come non riusciva a fare da mesi. Di fianco a lei l’osservatore diventa testimone di un miracolo, che cambierà la sua vita. Per Carrel (che nel 1912 otterrà il Nobel come riconoscimento per il suo lavoro sulle suture vascolari e i trapianti di vasi e di organi), l’esperienza a Lourdes detta il metodo di lavoro del medico e di vita dell’uomo, come sintentizzerà in una frase celeberrima: «Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità». Osservazione. Quella che ha fatto riconoscere la Signora alla piccola Bernadette.

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