
Nebbia sulla Manica. Il continente è isolato
“Non abbiamo alleati eterni così come non abbiamo nemici eterni. Eterni e perpetui sono solo i nostri interessi e il nostro dovere è perseguirli”. Sono le parole pronunciate nella Camera dei Comuni da Lord Palmerston, l’incarnazione dei Whig come ministro degli Esteri e Primo ministro della Pax Britannica nel marzo del 1848, quando l’Europa si trovava al centro di un focolaio di rivoluzioni e contro-rivoluzioni. “Abbiamo la forza di opporci alle conseguenze” è la sua celebre dichiarazione dietro le pareti di legno di quercia e poi di acciaio della Regia Marina.
“Un posto terribile l’estero. Lo so perché ci sono stato” si lagnava il re imperatore Giorgio V (1910-1936). Giorgio era metà tedesco e metà danese e aveva appena combattuto una guerra mondiale accanto al cugino zar Alex contro suo cugino di primo grado Willy, il kaiser. “L’estero” era il continente europeo da dove provenivano tutte queste guerre e questa cultura. Giorgio, che come secondogenito non aveva fatto conto sull’eredità paterna, era stato un ufficiale professionista della marina e aveva trascorso con piacere la maggior parte della sua esistenza “oltreoceano”, a proteggere un impero che a quei tempi occupava 1/5 del globo. Tra i popoli colonizzati anglofoni sono stati calcolati anche gli americani. Durante la guerra H. G. Wells aveva accusato Giorgio Saxe-Coburg-Gotha di essere “uno straniero che non riesce a ispirare alcun sentimento patrio”. “Potrei anche non essere un trascinatore, ma se sono straniero sono perduto”. In effetti, sebbene avesse cambiato il suo nome in Windsor, il concreto e prosaico Giorgio V era circondato dai pregiudizi degli inglesi. “Oltreoceano” è il posto dove i bucanieri britannici si sentivano a casa e avevano storicamente avuto successo.
Per raccontare un aneddoto, i miei figli quando erano ragazzini sono stati insieme ad altri amici nei campi di lavoro gestiti dalla Chiesa in Zimbabwe e Singapore – entrambi facenti parte del Commonwealth. Nessuno dei genitori ha mai espresso alcun timore, mentre durante i campi di Taizé in Francia e in Italia molti genitori inglesi erano preoccupati. Dopo Dunquerque, nel giugno 1940, quando l’Inghilterra combatteva da sola contro la Germania nazista, Giorgio VI tirò un respiro di sollievo. “Per quanto mi riguarda sono più contento adesso che non abbiamo alleati con cui essere cortesi e di cui prenderci cura”.
Non è solo il circuito commerciale inglese ad essere differente da quello degli altri partner Ue della Gran Bretagna, ma anche il mito – mai dichiarato – dell'”invincibilità”, la loro attitudine verso quella che la Regina Vittoria era solita chiamare “Cara piccola Germania”, di cui dopo il 1870 esplose il potere demografico, industriale e militare, per cui non c’era spazio sufficiente in Europa nella vecchia zona cuscinetto tra Asburgo e Borboni. Gli inglesi erano più consapevoli dei molti sbagli che hanno portato la Germania nazista a perdere il suo impero, così abilmente conquistato ma governato maldestramente, in soli tre anni. Governare imperi era una specialità britannica, certamente una super-specializzazione.
Inoltre, come tutti i pirati, gli inglesi hanno uno spiccato senso commerciale e non hanno grande interesse nel partecipare a una società (l’Ue) dove uno degli azionisti, cioè la Germania, detiene il 30% delle quote. E hanno interpretato la “non necessaria” unificazione tedesca come una mossa nazionalista e anti europeista, un po’ come se l’Inghilterra stringesse i suoi nodi economici e politici con i dominions di Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa e Canada, che non hanno solo la stessa lingua e cultura e lo stesso sistema legale ma, ciò che non valeva per le due Germanie, anche lo stesso sitema politico. Messi a confronto con l’attuale situazione europea e con le possibili strade per incoraggiarne lo sviluppo, gli inglesi hanno meditato una serie di proposte più o meno radicali, ognuna delle quali ha i suoi sostenitori e le sue giustificazioni storiche. Nel Medio evo l’Inghilterra governata dalle dinastie Anglo-Normanne vinse e perse un impero francese che una volta era esteso fino ai Pirenei. Poi nel XVI secolo Enrico VIII dilapidò il 20% delle entrate statali, rimpinguate attraverso la soppressione dei monasteri, “facendo quello che fanno i re inglesi”, cioè combattendo i francesi. Sua figlia Maria non solo riportò l’Inghilterra nell’ovile papale ma sposò – fatalmente – anche suo cugino Filippo II di Spagna e come conseguenza perse l’ultimo piede inglese sul continente, Calais. Ma perse soprattutto, cosa che sua sorella Elisabetta, la restauratrice del protestantesimo, comprese bene, l’indipendenza inglese. Inghilterra e Francia potevano sconfiggere gli Asburgo; l’Inghilterra e gli Asburgo potevano sconfiggere la Francia.
L’alleanza permanente con l’uno dei due avrebbe richiesto necessariamente la distruzione dell’Inghilterra da parte dell’altro alleato o avversario.
Così la verginità di Elisabetta significava anche l’integrità del paese. Fino al 1972 la politica europea dell’Inghilterra non è mai cambiata. Ma proprio durante il regno di Elisabetta, con la spedizione intorno al mondo di Drake, si inaugurò la politica d'”oltreoceano”. Come ha messo bene in luce Keynes, i profitti al 3000% della circumnavigazione misero Elisabetta nelle condizioni di costruire le navi che avrebbero sconfitto l’armata spagnola nel 1588, ma anche di finanziare la Compagnia del Levante, che poi andò a formare la Compagnia delle Indie Orientali, la padrona dell’India fino a quando il governo non ne rilevò il controllo, dopo la Ribellione del 1856. La Compagnia del Virginia guidata da Sir Walter Raleigh sviluppò il New England, la baia di Hudson, il Canada e l’Africa Occidentale. Cromwell pensava di dividersi le spoglie della guerra con la Spagna e la Francia nelle Indie Orientali e non sul continente. L’Inghilterra aveva voltato le spalle all'”estero” per volgersi “Verso Oriente”, come il famoso ritratto intima ai giovani ragazzi elisabettiani.
Lo sviluppo della banca d’Inghilterra, del Consolidamento del Debito Nazionale, della cartamoneta, delle compagnie a capitale azionario e della Borsa alla fine del XVII secolo – a cui collaborò Isaac Newton – non solo hanno potenziato il sistema creditizio che mandò in rovina Luigi XIV fino alla Pace di Utrecht, ma fornì pure il modello della Monarchia Parlamentare che John Locke estrapolò da una Compagnia azionaria con un presidente d’assemblea e un consiglio d’amministrazione responsabile verso gli azionisti.
Con il padre dell’Impero Britannico William Pitt il Vecchio, durante la Guerra dei 7 anni (1756/63), l’Inghilterra pagò Federico il Grande per tenere impegnato l’esercito di Luigi XV sul continente, mentre si concentrava nel cacciare i francesi dall’India e dal Canada e nell’impedire ai francesi l’accerchiamento del New England con i fortini costruiti lungo il Mississipi, i Grandi Laghi e il San Lorenzo. La guerra d’Indipendenza americana d’altra parte rafforzò nei contemporanei l’idea che una sola moneta richiedeva una politica fiscale comune, che quei Vecchi Inglesi non volevano. Successivamente la rivoluzione industriale sembrò aver sconfitto la rivoluzione francese a Waterloo. L’Impero e la rivoluzione industriale erano il frutto dell’attività centrale dell’Inghilterra – i servizi finanziari.
Il Rapporto parlamentare Durham del 1830 raccomandava che alla fine si sarebbe dovuto concedere l’autogoverno a questo impero acquisito ad hoc, ciò che è avvenuto con l’accelerazione delle due guerre mondiali. L’Inghilterra è oggi più che mai una economia post-industriale, fatta eccezione per le luminose industrie delle telecomunicazioni e del software.
Comunque dopo aver ignorato la Conferenza di Messina, e soffrendo il veto di De Gaulle, l’Inghilterra rovesciò a malincuore la sua politica estera entrando nella Cee nel 1972, decisione confermata attraverso un referendum 4 anni più tardi. Mentre la Francia, la Germania, l’Italia e gli altri paesi hanno una lunga tradizione di ambizioni sul continente, l’Inghilterra ha guadagnato il suo successo non lasciandosi imbrogliare nella “matassa continentale”, che ha visto nel XX secolo un milione di vite offerte all'”estero” sul continente, in guerre pagate vendendo i suoi interessi oltreoceano. Gli inglesi, avendo costruito e adesso smantellato identità diverse, da inglesi, scozzesi, gallesi e irlandesi, stanno oggi considerando quello che si potrebbe fare per ricostruire “il continente” e se in questo processo sia necessario includere anche l’arcipelago lontano dalla terraferma.
Certo il nuovo Consiglio delle Isole che comprende la Camera irlandese, le Assemblee Nord-irlandese, Gallese e Londinese, e il Parlamento scozzese, con rapporti non gerarchici, ma orizzontali tra i ministri è un modello che potrebbe sostituire quello di Bruxelles che sembra unire la supremazia tedesca con la centralizzazione colbertiana.
Un altro obiettivo dichiarato degli inglesi è allargare e non incupire l’Unione facendone più un’unione economica che politica: una Confederazione piuttosto che una Federazione. William Hague, il leader conservatore fortemente avverso all’Euro vorrebbe un’area di libero commercio Eu-Nafta.
Ma Rupert Murdoch, un australiano trapiantato in America, e più rumorosamente Conrad Black, un canadese proprietario del gruppo editoriale – sostenitore dei conservatori – del Telegraph, vanno oltre. Black insieme al Direttore del Comitato delle banche del Senato americano, senatore Phil Gramm, vogliono che l’Inghilterra sieda nel Nafta e se possibile che compia un'”acquisizione di controllo inversa” diventando il 52° stato dell’Unione – più ricco e con più voti presidenziali della California. Dopo tutto i due paesi condividono la lingua, il sistema legale e politico e una cultura finanziaria. E la cultura oggi conta più del tempo e dello spazio. Per qualcuno sarebbe meno una sconfitta unirsi al continente americano piuttosto che a quello europeo.
Ancora oggi Gordon Brown, il Cancelliere dello Scacchiere, e i suoi consiglieri educati ad Harvard stanno introducendo politiche sul modello americano che per loro è il paese da imitare. Brown va in vacanza a Cape Cod. William Hague ha identificato gli elettori che ha bisogno di strappare a Blair come “donne della Florida”, le quali, come la maggior parte dell’aspirante classe media, passano là le vacanze.
La signora Thatcher ha espresso bene il sentimento istintivo delle “donne della Florida” e dei loro mariti quando durante l’ultimo congresso dei conservatori ha detto con toni squillanti: “Durante la mia vita tutti i problemi sono arrivati dal continente e tutte le soluzioni dal mondo delle persone di lingua inglese”.
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