
Nasrallah chiama il mondo arabo alla “resistenza”

Per il secondo sabato consecutivo, dopo mesi di silenzio, Hassan Nasrallah, leader indiscusso dell’Hezbollah, letteralmente il Partito di Dio libanese, parla a milioni di persone dagli schermi televisivi, ritrasmesso nelle piazze del mondo musulmano, sciita e sunnita. Parla da consumato leader politico e militare, portavoce del Profeta, di cui è segno il turbante nero, amico, il più fidato, dell’Iran, esponente di un movimento che controlla il sud del paese ormai oltre l’orlo della catastrofe economica: ne amministra il welfare sociale, ne rappresenta la difesa dopo la guerra contro Israele nel 2006, quando solo Hezbollah contrastò l’avanzata dei tank con la stella di Davide, mentre l’esercito regolare si era ritirato a nord del fiume Litani, oltre Sidone. Hezbollah è tutto questo, e le parole di Nasrallah sono importanti.
Israele temeva una nuova esplicita dichiarazione di guerra, l’apertura di un fronte Nord mentre è impegnato nella guerra di Gaza. Non c’è stata, ma la comunicazione se non apre il fronte, dove peraltro sono schierati a cuscinetto diecimila soldati Onu, di cui mille italiani, allarga comunque gli orizzonti.
Due milioni di scudi umani
La propaganda è un’arma che Hezbollah conosce bene e Nasrallah proclama «martiri della resistenza» tutti gli abitanti di Gaza, badando bene a non fare distinzioni tra civili e combattenti, di fatto arruolando idealmente tutti i palestinesi nella guerra sotto le insegne di Hamas. E lancia un messaggio non solo a Israele, ma a tutto il mondo. Esalta le manifestazioni dei gruppi anti israeliani che scendono in piazza a Washington, New York, Londra, Parigi, arruola anche i leader del mondo occidentale che avevano condannato il massacro condotto dai terroristi di Hamas il 7 ottobre. Ora gli stessi leader, ricorda Nasrallah, chiedono ad Israele il cessate il fuoco a Gaza, quello che Israele non vuole concedere prima che sia annientata Hamas e liberati gli ostaggi, quello che Hamas chiede, liberando con il contagocce i prigionieri, uno o due alla volta.
Per Israele è strategia di Hamas per riorganizzarsi: gli ostaggi non sono solo scudi umani, gli scudi umani sono i due milioni e mezzo di abitanti di Gaza. Gli ostaggi sono un mezzo di pressione che va centellinato per spingere le famiglie contro il governo israeliano, per far pressione a tutti i livelli.
Sangue di martiri
Nasrallah separa anche il mondo occidentale: vede negli Stati Uniti e nella Gran Bretagna gli unici irriducibili alleati di Israele, e chiede che la pressione delle Nazioni Uniti si concentri proprio sugli Usa che manda le navi da guerra vicino all’Iran e nel Mediterraneo orientale. Nasrallah esalta l’Iran, «unico paese che si oppone veramente agli Usa in tutti gli aspetti economici e militari, politici e morali», vero leader della «resistenza».
E “resistenza” è la parola chiava contro Israele. Una battaglia che per Nasrallah è affidata militarmente ai palestinesi, il cui sangue è sangue di martiri, ma che deve essere sostenuta da tutti i paesi. E ricorda i fronti aperti: oltre a Gaza, cita la Cisgiordania, i ribelli Houthi dello Yemen che lanciano droni e missili contro Israele. E menziona gli attacchi contro le basi Usa in Siria e Iraq, battaglie contro l’occupazione americana ma il cui principale scopo ora è, per il leader sciita, fermare l’attacco a Gaza. E cita le vittime del martirio, ricorda donne e bambini. Minaccia insomma gli Usa, considerati i soli capaci di fermare Israele, appellandosi all’amministrazione Biden.
L’apertura di fronti in tutto il mondo
Un discorso che la dice lunga sulla narrazione del fondamentalismo, che allude alla guerra mentre invoca la pace. Che minaccia fronti in tutto il mondo, ben cosciente che ovunque esistono cellule dormienti del fanatismo. Che guarda, senza citarla direttamente, all’Africa sub sahariana, dove gli jihadisti si stanno sempre più rafforzando. E contemporaneamente divide quello che chiama Occidente, separando il leader europei dagli Stati Uniti. Non solo, chiede ai paesi arabi di abbandonare con decisione la politica di alleanze e trattati con Israele, per unirsi in una posizione unitaria che costringa gli Stati Uniti a cambiare rotta. Chiarissima allusione ai patti di Abramo e al trattato che stava per essere firmato tra Israele e Arabia Saudita.
Insomma, la voce dell’Hezbollah, che è voce dell’Iran, mira all’isolamento israeliano, ribadendo la minaccia economica – il petrolio – esattamente come cinquant’anni fa. Speculare l’attacco, lo stesso giorno, Yom Kippur, quando gli eserciti arabi attaccarono a sorpresa Israele. Speculare la minaccia successiva, quando Israele, colto di sorpresa, riuscì a reagire, fu fermato dagli stessi alleati Usa e Gran Bretagna, perché i paesi arabi avevano imposto l’embargo economico. Ora, per bocca di Nasrallah, risuona la stessa minaccia.
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