
Né paurosi, né imbelli
Carissimo Direttore,
mi muove a scriverti una preoccupazione molto pratica. Ho l’impressione che, in questa faccenda della guerra – la guerra è sempre una “sporca faccenda”, lo hanno detto sempre tutti quelli che l’hanno fatta – si stiano mettendo completamente fuori gioco le parole del Papa. I giudizi non solo vanno dati (chi non giudica secondo me non è nemmeno un uomo), ma bisogna che arrivino a destinazione. Non possiamo accontentarci di aver detto una cosa giusta. Bisogna che la cosa giusta penetri fin dove deve penetrare. Che esistano persone – tra cui frotte, eserciti di preti, di suore, di cattolici impegnati – che, dalle chiese e dalle sale parrocchiali, ripetono posizioni pacifiste desunte da altre culture senza preoccuparsi di dire una sola – una sola! – parola cristiana, questo è certo. Basta ascoltare le omelie durante le messe domenicali.
Io però dico un’altra cosa, e cioè che, anche tra coloro – come me – che non vogliono unirsi al fraintendimento generale, il rischio è quello di ridurre i giudizi del Papa a una specie di cappello, o di contorno. Come se la vera questione fosse: o con Bush o con i pacifisti, e poi, all’interno della posizione pacifista, c’è il contributo del Papa, o quello di Cl.
Il pacifismo? Una sciocchezza
Contributi, precisazioni, puntualizzazioni, capisci?! Ma il giudizio è un’altra cosa. Il giudizio non è una cosa in più all’interno di una posizione già data, ma è qualcosa che sta alla radice dell’essere. è qualcosa da cui si parte, è il punto di partenza. Proprio perché è il punto di partenza, è necessario che il giudizio arrivi, e arrivi tutto. Invece, mi accorgo che di esso rimane, al massimo, il “discorso”, ma tu sai che con un discorso si può essere tutt’al più d’accordo, non è una spina, un dolore che muove la vita.
Invece, il giudizio viene preso di norma dai mezzi di comunicazione, e porta a parteggiare per Bush (e quindi per la guerra) oppure per il pacifismo con argomenti che sono gli stessi addotti dagli intellettuali della morte, teorici del terrorismo islamico: l’imperialismo americano, il petrolio ecc. Così, nel cuore della nostra civiltà – la sola ad aver garantito, grazie alla presenza della Chiesa, la libertà per tutti – si afferma una posizione culturale che nasce là dove non c’è libertà, un pacifismo che si nutre delle stesse parole e degli stessi concetti dei nemici, di coloro che vogliono abbattere questa civiltà. è come se la società aperta non potesse produrre altro che il proprio suicidio! Bene, io credo che queste siano tutte sciocchezze. Non si può star di fronte al pericolo di una nuova guerra e addurre argomenti antiamericani o petroliferi – che sono maschere della paura – rinunciando ad andare al fondo del problema, domandandosi: ma cosa significa per me la pace? Dove sta la pace?
Che ce ne facciamo della pace degli imbelli?
Il Papa ci riporta alle pagine meno equivocabili del Vangelo. Quello che dice Gesù a proposito della pace non si presta a molte interpretazioni, sono parole chiare e dirette: «Ricevete la pace. Non come la dà il mondo…», «Beati gli operatori di pace».
Operatori! La pace è qualcosa che si fa, che si costruisce, ma la si fa perché ci è stata donata, perché l’abbiamo ricevuta. Quando dico “operatori di pace”, penso subito a persone come Madre Teresa (e molte altre, moltissime altre, come la nostra amica Rose), che danno letteralmente la vita per la struggente passione per l’uomo che è propria di Cristo, “traboccante di pace”, e che agisce in loro. Altro che paura! Ci vuole un coraggio da leoni, una capacità di sfida pressoché infinita – che solo l’Infinito può donare all’uomo – per affermare la pace. Cosa ce ne facciamo della pace degli imbelli? O, meglio: cosa se ne può fare la pace di una massa di servitori paurosi? Che pace possiamo costruire con la paura?
Che, poi, per dirla tutta, la paura è inevitabile, ma lo è come è inevitabile la nostra disonestà. Facciamo dalla mattina alla sera le nostre guerre, le nostre piccole vendette, seminiamo malumori, e poi è abbastanza logico che una vita così produca la paura quando si avvicina la guerra. La paura è dunque inevitabile, come è inevitabile la coscienza sporca.
Il nostro “no” è cristiano
Perciò la pace è la virtù di un Altro, di Gesù Cristo, della sua struggente passione per l’uomo. Pensa a quanti amici abbiamo che, per un dono gratuito ricevuto, per una Grazia imprevedibile, hanno consumato e consumano la loro vita, e muoiono, per dar voce a quella struggente passione. Perciò, mio carissimo, è fondamentale che un giudizio forte come quello del Papa, e come quello che molti nostri amici ribadiscono con le parole e con la vita, sia conosciuto, confrontato, studiato, fatto proprio, e diventi il motore dell’azione per tutta la vita – perché, ultima cosa, un giudizio è vero se giudica tutta la vita, non un settore di essa (la guerra, la famiglia, la sanità ecc.). è sempre tutta la vita che si esprime. Il nostro “no” alla guerra deve essere il “no” della fede cristiana. Solo così diventa costruttivo – e questo è importante, perché fermi non si sta mai: se non si costruisce, si distrugge; se non ci si avvicina a Cristo, ci si allontana.
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