Morto Armstrong, ritornano i “lunacomplottisti”. Li smontiamo con Attivissimo

Di Chiara Sirianni
30 Agosto 2012
Intervista a Paolo Attivissimo, che ha smontato tutte le bufale di chi pensa che l'impresa grandiosa di Neil Armstrong sulla Luna non sia mai avvenuta.

«La mia foto preferita? Quella che lo ritrae sorridente, stanchissimo ma felice, nel modulo lunare Eagle, dopo aver compiuto i primi passi sulla luna insieme a Buzz Aldrin». È così che il giornalista informatico Paolo Attivissimo vuole ricordare Neil Armstrong, scomparso il 25 agosto. L’ex astronauta aveva 82 anni, e nel luglio del 1969 condusse la missione di allunaggio dell’Apollo 11. Su quei primi passi (e relative bufale circolate negli anni a venire) Attivissimo ha scritto un libro: “Luna? Sì, ci siamo andati!”: 330 pagine di risposte ai dubbi più frequenti sulle missioni spaziali, in una rassegna ragionata delle leggende varie ed eventuali nate negli anni a venire. Un’occasione per celebrare le imprese lunari in un contesto non pedante ma dinamico, e anche divertente.

Quanti sono i “lunacomplottisti”?
È facile pensare che si tratti di credenze assurde e di nicchia, condivise e propagandate soltanto da una manica di eccentrici o di cinici venditori di paccottiglia bramosi di seguaci. In realtà queste tesi di messinscena sono piuttosto ben radicate nell’opinione pubblica: basta fare un sondaggio informale fra amici e conoscenti, specialmente tra i giovani. Il disincanto moderno e il passare del tempo, con la graduale scomparsa dalla scena della viva voce dei protagonisti, rischiano di rinforzare il complottismo, se non viene fatto alcuno sforzo per contrastarlo coni fatti. Sono gli stessi meccanismi che, su un piano ben diverso, alimentano il negazionismo dell’Olocausto. Nel 1999  il 6% degli americani riteneva che gli sbarchi sulla luna furono falsificati o simulati. L’89% della popolazione risultò convinta della loro autenticità e il 5% si dichiarò indeciso. Un sondaggio della Zogby diede risultati sostanzialmente analoghi nel 2001. Il 6% sembra poco, ma equivale a 18,2 milioni di persone. In Germania, Der Spiegel  lanciò nel 2001 un sondaggio online che negli anni ha totalizzato più del 46% di voti in favore delle tesi di messinscena. Altri rilevamenti a partecipazione volontaria (basati quindi su campioni che non rispecchiano necessariamente la media della popolazione) danno percentuali variabili dal 45 al 62% fra i francofoni, del 60% in Svezia e del 49% in Russia.

Che peso ha l’anti-americanismo in questa tendenza?
Ammettere che gli americani sono riusciti ad andare sulla Luna significa riconoscere il loro primato tecnologico, e ad alcuni regimi ideologicamente schierati questo non va giù. È un po’ come accade per gli attentati dell’11 settembre 2001 e sull’ufologia. Negli Stati Uniti questo risentimento prende la forma di diffidenza specifica verso il governo federale e le autorità in generale, come si può leggere negli scritti di Kaysing, René e altri sostenitori della messinscena lunare. In altri paesi il risentimento è assai radicato e riguarda l’America o la cultura scientifica in generale. Secondo una segnalazione dello storico dell’esplorazione spaziale James Oberg, risalente al 2003, nelle scuole di Cuba e negli altri paesi nei quali venivano inviati docenti cubani (Nicaragua e Angola, per esempio) si insegnava che gli sbarchi americani sulla Luna erano stati falsificati.

In effetti, all’epoca, sulle informazioni riguardanti le missioni Apollo ci fu un notevole controllo politico-propagandistico. Oggi cos’è cambiato?
Ai tempi molti dettagli imbarazzanti furono taciuti, dando l’impressione diffusa che le missioni fossero magicamente perfette. Con l’apertura degli archivi e la fine della Guerra Fredda oggi è possibile sapere come andarono realmente le cose. Inoltre va detto che negli anni Sessanta le notizie arrivarono al grande pubblico filtrate spesso da giornalisti non particolarmente competenti, partorendo vere e proprie bufale storiche come la prima pagina del Messaggero del 21 luglio 1969, che spacciò per impronta d’astronauta quella di uno stivale da pesca. Delle tante fotografie scattate, il pubblico vide quelle poche scelte e pubblicate dai settimanali dopo vari passaggi di duplicazione analogica che ne distruggevano qualità e dettagli e a volte erano grossolanamente ritoccate, inventando dettagli inesistenti e perdendone altri reali.

C’è chi afferma che il drappo della bandiera americana sembra sventolare nel vento. Il che avvallerebbe la tesi del finto set cinematografico. Vero o falso?
Non sventola. È sorretta da un’asta orizzontale, come le tende delle nostre case, perché la Nasa si rese conto che penzoloni non sarebbe stato un bel vedere. Una minuscola asticella, osservando bene le foto si vede distintamente. Nel video oscilla, ma solo quando viene impugnata dagli astronauti.

Seconda osservazione: in cielo non ci sono le stelle. Perché?
Perché non ci devono essere. Salvo condizioni particolari le stelle non sono visibili dalla luna quando la superficie è illuminata dal sole. Un espediente molto semplice è quello di fare una foto allo stadio, quando si gioca una partita in notturna: se si tenta di includere il cielo nell’inquadratura, in foto risulta completamente nero.

Torniamo a Neil Armstrong. Secondo i complottisti, non rilasciava interviste a causa del senso di colpa che lo affliggeva per aver mentito al mondo durante la messinscena lunare e per tutti gli anni successivi.
Le rilasciava eccome, ma centellinate. Poche e scelte con cura: non gli piaceva apparire nei media generalisti dopo la sbornia di celebrità che seguì l’allunaggio. Preferiva le conferenze tecniche, nelle quali era tutt’altro che reticente e schivo. Inoltre Armstrong non era affatto irraggiungibile: quando ad aprile 2011 alcune agenzie di stampa scrissero che l’astronauta sarebbe stato tra gli adepti del santone indiano Sai Baba, morto pochi giorni prima, contattai James Hansen, il biografo di Armstrong, per avere chiarimenti in merito. Nel giro di ventiquattr’ore mi arrivò una mail personale da Armstrong, nella quale chiariva che non sapeva neppure dell’esistenza di Sai Baba. In generale rimase un uomo riservato e modesto. Fece parte delle commissioni pubbliche d’inchiesta sugli incidenti dell’Apollo 13 (1970) e della navetta Challenger (1986), che lo riportarono alla ribalta in due momenti drammatici del programma spaziale statunitense. Inoltre prese posizione pubblicamente contro i piani dell’amministrazione Obama di ristrutturare la Nasa. Nel 2009 celebrò il quarantennale dello sbarco sulla Luna partecipando, insieme ad Aldrin e Collins, alla John H. Glenn Lecture, una conferenza annuale che si tiene al National Air and Space Museum a Washington, D.C., dove dimostrò una discreta verve umoristica e auto-ironica.

Curiosità: cosa c’era nel pacchetto lasciato da Armstrong e Andrin sulla luna?
Un insieme di oggetti commemorativi: una toppa dell’Apollo 1, in onore di Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee, morti nell’incendio della loro capsula sulla rampa di lancio; un ramoscello d’ulivo, realizzato in oro, e un piccolo disco di silicio contenente messaggi da circa 70 capi di Stato del mondo e altri dati. Questo è il contenuto ufficiale.

E quello non ufficiale?
Secondo quanto scrisse Aldrin nel suo libro (“Men from Earth”) vent’anni dopo, c’erano anche altri oggetti politicamente molto delicati. Due medaglie sovietiche: una per commemorare il cosmonauta Vladimir Komarov, morto al termine del volo della sua Soyuz 1 per la mancata apertura del paracadute, e una in onore di  Yuri Gagarin, il primo uomo a orbitare intorno alla Terra, morto in un incidente aereo nel 1968. Un gesto di cavalleria fra viaggiatori dello spazio che ai tempi della Guerra Fredda, con l’Unione Sovietica acerrima nemica, rischiava di non essere gradito a molti e fu quindi fatto con discrezione.

Una storia divertente sulla missione Apollo, ma rigorosamente vera?
Tutti ricordano che dopo circa due ore e mezza di  passeggiata sulla superficie lunare i due astronauti presero a ridere così tanto che si sospettò che fossero ubriachi o in preda alla cosiddetta “estasi spaziale”. In realtà i due astronauti avevano sul polso della tuta la sequenza delle procedure da eseguire durante l’escursione: la cuff checklist, vale a dire un quadernetto ad anelli costituito da fogli di carta plastificata ignifuga. Soluzione rustica, ma efficace.

Perché la risata?
A loro insaputa, i membri dell’equipaggio di riserva della missione, avevano  inserito delle fotocopie delle Playmate (rigorosamente stampate su carta ignifuga) fra i fogli delle istruzioni, dotandole di didascalie a doppio senso, del tipo: “Visto qualche collina o avvallamento interessante?” Oppure: “Non dimenticare di descrivere le protuberanze”. Sul sito della Nasa ci sono le immagini delle Playmate presenti sulle cuff checklist, un caso più unico che raro per un sito, quello dell’ente aerospaziale statunitense, solitamente molto formale. Ma anche una dimostrazione del fatto che gli astronauti, in fondo, sono esseri molto umani, con le nostre stesse pulsioni e debolezze. Ed è proprio questo a rendere grandiosa la loro impresa.

@SirianniChiara

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3 commenti

  1. Quel giorno non lo dimentico… parlo della John H. Glenn Lecture, ho avuto la fortuna di essere inviato da Charlie Duke e ricordo l’atmosfera magica che si respirò quella sera al National Air and Space Museum a Washington, D.C.
    Come riferisce Paolo, (che ringrazio per l’enorme lavoro di divulgazione) Neil Armstrong è apparso in gran forma e molto spigliato. Ci teneva veramente al 40 anniversario e appariva felice di rivedere i suoi colleghi Aldrin e Collins Ricordo che dietro le quinte, prima dell’inizio, Neil ha cinto con un braccio Buzz tirandolo a se con un sorriso, quello è stato un bel momento, emozionante. Quei due uomini hanno condiviso uno dei momenti più importanti della Storia dell’umanità. Neil ci mancherà.

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