La morte dei monaci di Tibhirine non è stata «un fallimento ma una promessa»
Articolo tratto dall’Osservatore romano – Parigi. La voce dei monaci di Tibhirine non si è spenta nella primavera del 1996. Ancora oggi si leva per rivolgere «un appello a tutta l’umanità»: quello di «scommettere su una presenza fraterna, dove uomini e donne possono amarsi al di là delle differenze di religione e di cultura». È con queste parole che monsignor Éric de Moulins-Beaufort, vescovo ausiliare di Parigi, ha reso omaggio ai trappisti che vivevano nel monastero di Notre Dame de l’Atlas, in Algeria, venti anni dopo che le teste di sette di loro furono ritrovate tra la neve, nelle vicinanze di Medea. Era il 30 aprile 1996.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Il presule le ha pronunciate in occasione dell’inaugurazione, a Parigi, di un giardino pubblico che porta il nome dei monaci assassinati. Ai piedi della chiesa di Saint-Ambroise erano presenti autorità civili e rappresentanti di diverse religioni. In effetti, quale simbolo migliore di uno scrigno di verde, nel cuore della capitale francese, ancora provata dai recenti attentati per onorare la memoria di questi uomini che avevano fatto la scelta di vivere in un luogo che, in lingua berbera, significa proprio “giardino”. I monaci, ha aggiunto il vescovo, hanno voluto «scommettere che una presenza cristiana incarnata da francesi — il che è significativo — era possibile nell’Algeria divenuta padrona del proprio destino e abitata principalmente da musulmani. I nostri fratelli hanno voluto vivere l’avventura monastica cristiana in un Paese musulmano, non per essere lì la traccia di una civiltà distrutta o l’avanguardia di una vagheggiata riconquista, ma la promessa di un incontro tra gli uomini e le religioni che fosse diverso da rapporti di dominio, di gelosia o di sfiducia reciproci».
È proprio perché i fratelli Bruno, Célestin, Christian, Christophe, Luc, Michel e Paul hanno voluto «vivere tutto ciò nell’umile dipendenza da Gesù, esaminando sempre il loro comportamento e la loro scelta alla luce di Gesù, che un giorno sono stati rapiti e messi a morte», ha sottolineato il presule. Pertanto, «quanto è accaduto nel 1996 — se li si vuole ricordare, occorre esserne convinti — non è un fallimento ma una promessa».
Una nutrita folla ha preso parte all’inaugurazione, in momenti diversi. Poco prima della scopertura della targa commemorativa nel giardino, nella chiesa di Saint-Ambroise è stata celebrata l’Eucaristia. Tra i partecipanti, l’arcivescovo Georges Gilson, prelato emerito della Mission de France — particolarmente vicino a Christian de Chergé, il priore della comunità di Tibhirine — un gruppo di monaci cistercensi, come pure il postulatore della causa di beatificazione attualmente in corso, padre Thomas Georgeon, a sua volta trappista. Sette ceri sono stati accesi in ricordo delle vittime. Al termine della celebrazione, il fratello di Christian de Chergé ha letto, alternandosi con il parroco di Saint-Ambroise, il celebre «testamento spirituale» scritto dal priore.
È stata quindi inaugurata una mostra sui monaci di Tibhirine sotto le volte della chiesa, la cui scelta da parte delle autorità pubbliche come luogo simbolo di questi ardenti fautori del dialogo tra le religioni non è stata affatto casuale. Di fatto, la parrocchia è situata in un quartiere con una forte presenza musulmana. L’undicesimo arrondissement di Parigi, non va dimenticato, è stato anche il teatro degli attentanti di novembre: solo un centinaio di metri, in effetti, separano Saint-Ambroise dalla sala concerti del Bataclan. «In questo momento di dubbio e di sfiducia, il messaggio dei monaci è ancora più importante», ha affermato il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, anche lei presente alla cerimonia. «Essi non hanno mai smesso di promuovere l’incontro con i musulmani creando condizioni di dialogo per la pace».
Oggi il monastero di Tibhirine è abitato e gestito da padre Jean-Marie Lassausse, della Mission de France. Lavora con quegli stessi contadini con cui lavoravano i sette monaci uccisi. Il monastero accoglie volontari, partecipanti ai ritiri e semplici pellegrini. Numerosi sono anche gli algerini che vi si recano, per curiosità, ma soprattutto per rendere omaggio o per riconoscenza ai monaci, in particolare a fratel Luc che ha curato loro e le loro famiglie. Di recente, padre Lassausse, sulla stampa, ha evocato la possibilità di un ritorno «graduale» di una comunità religiosa nel monastero. Una cosa è certa: Tibhirine, jardin potager, continua a recare frutto.
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A chi non lo avesse già letto, consiglio caldamente di cercarsi il testamento di P. Christian de Cherghé.
Ci ho provato a postarlo, ma l’operazione pare sia miseramente fallita.
E invece no, non è fallita. Meno male, perché ne valeva la pena, credo.
Per chi non lo avesse mai letto, ecco il testamento di P. Christian de Cherghé:
“Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.
Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me : come potrei essere trovato degno di tale offerta ? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.
Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.
Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno la “grazia del martirio”, il doverla a un algerino chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’islam.
So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.
L’Algeria e l’islam, per me, sono un’altra cosa; sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: “Dica adesso quel che ne pensa!”. Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.
Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia, et totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo grazie, in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen!
Insc’Allah
Algeri, 1º dicembre 1993
Tibhirine, 1º gennaio 1994
Rasenta la perfezione