Monica Mondo: Te Deum laudamus per la Tua vittoria sulla morte

Di Monica Mondo
07 Gennaio 2014
Ancora una schiera di lutti. Bambini che non hanno visto la luce, disperati annegati in mare a Lampedusa. Non possiamo scordarli più. Sono con Te? Non avrebbero fine le nostre lacrime, se non le addolcisci Tu

Come da tradizione, anche nel 2013 l’ultimo numero del settimanale Tempi è interamente dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso firmati da diverse personalità del panorama sociale, culturale e civile italiano e non solo. Nella rivista che resterà in edicola per due settimane a partire dal 27 dicembre, troverete, tra gli altri, i contributi di Carlo CaffarraDomenico Dolce e Stefano GabbanaBen Weaseldon Gino RigoldiCostanza MirianoLuigi AmiconeMarina Corradi, Aldo Trento, Pippo Corigliano, Monica Mondo, Francesco BellettiAntonio SaladinoSamaan Daoud da Damasco, Claire Ly, Susanna Campus, Antonio BenvenutiFred PerriBerlicche.

Pubblichiamo qui il “Te Deum” di Monica Mondo, giornalista, che nella sua carriera ha lavorato per Il Sabato, Avvenire e Il Riformista, Radio Rai e Tv2000. Nel 2012 ha scritto il libro Sarà bella la vita, pubblicato da Marietti 1820. Nel 2013 la stessa casa editrice le ha pubblicato il suo secondo libro: Il mio nome è Khalid.

tempi_te_deum_2013_copertinaTi lodiamo, Signore, e continuiamo a confidare in te. Anche quando la fiducia manca, quando siamo più miseri e soli. Siamo creati, e non abbiamo altro padre. Lontano da Te, non sapremmo dove andare. Non sempre riusciamo a starti dietro, Signore, neppure riconosciamo il Tuo volto, la polvere e le lacrime confondono la vista, chinano gli occhi a terra. Siamo fatti così, ci hai fatti così, col cuore grande e il fiato debole, lo sguardo appannato.

Ti lodiamo, allora, per gli uomini e le donne che ti rendono manifesto: la testolina bionda di quel bambino in treno, l’amico frate che studia l’arabo, credendo nella comunione; per quel ragazzo che dopo anni di carcere, domani si laurea in giurisprudenza, per quel professore che porta i suoi allievi a distribuire panini ai poveri; per quella vecchia che ancora sorride, per quei giovani che studiano e sperano, e ieri hanno fatto in università un coro di Natale. Sei Tu.

E sei Tu nelle filacce di nubi che striano il cielo, nella nebbia che insegue il finestrino del treno, il sole che s’allarga e indora le case, le piazze. I cieli e la terra sono pieni della tua maestà. Sei Tu in quella stanza d’ospedale, dove c’è chi combatte col male per dare un senso alla vita, e chiede il miracolo. Sei tu che chiami quei due amici a entrare in convento, e con la baldanza e l’allegria di una festa.
Ti acclama la candida schiera dei martiri: anche quest’anno, Signore, hanno sofferto mortificazione, violenza, morte, in tuo nome. Hanno testimoniato anche per noi, pagano la nostra tiepidezza, le nostre paure, e tutta l’indifferenza che li relega lontano, ai confini del nostro mondo, e non sa ricordarli con un nome e un volto precisi. Non capiamo perché non li hai salvati, ma sappiamo che salvano noi. Tutti quei morti, nelle loro chiese bruciate, nelle segrete di regime.

Tutti quei bambini che non hanno mai visto la luce, quegli ammalati sacrificati per non scomodarci troppo, per non guardare in faccia il loro soffrire. Tutti quei morti in mare, le loro grida, le mani aggrappate ai barconi. Non possiamo scordarli più. Sono con te? Anche noi ci aggrappiamo, sgomenti, alla tua vittoria sulla morte, o non potremmo più vivere. Chiediamo per avere una risposta, non ci piace dubitare per sport. Non avrebbero fine le nostre lacrime buone, se non le addolcisci tu. Non è colpa nostra, la ragione non arriva a tanto. C’è bisogno di un altro slancio, c’è bisogno della tua grazia, per non avere paura. Come quella madre, che lascia tra le tue braccia il figlio appena nato, e lo ridona a te, dopo un solo bacio. Come chi prende in mano pale e picconi per ricostruire la sua casa, spazzata via dalla natura impazzita.

Chi si ostina a lavorare con lena, a sfidare ogni crisi, a far famiglia, e rimane generoso e umile. Chi ricostruisce la tua chiesa, dalle macerie dei suoi peccati, e dalla malignità dei suoi nemici. Abbiamo palpitato per lei, quest’anno, ci siamo ammutoliti e intristiti. Quell’elicottero che da San Pietro si alzava in volo portava con sé mille e mille preghiere: guida e proteggi, non lasciarci confusi. Pensavamo a un uomo prostrato, perdente, arreso. Sorrideva, faceva ciao ciao con la mano, non ci ha strappato la speranza. Pensavamo di perdere un padre. Ce ne hai donati due, per abbracciarci tutti.

Continuiamo ad avere paura, a esitare, e ci copriamo con lo scandalo e l’indignazione. Come se fossimo puri, come se dipendesse da noi essere tutti più buoni, dalle nostre regole e precetti, dal buongoverno, da sobrietà e moderazione. Evviva gli smodati, Signore, assetati di umanità e di te, peccatori, ma figli tuoi. Non vogliamo essere tranquilli e soddisfatti, non coprirci mai gli occhi, fa che ogni ferita bruci e ci allarghi un po’ il cuore.

Che alla fine di quest’anno, come all’ultimo giorno, alziamo un bicchiere dicendo grazie, a te, marito mio, moglie mia, a voi, figli miei, amici miei. Sono felice che siate qui con me. Sono felice di esserci, qui, sulla strada.

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