Mimmo, l’operaio di Termini Imerese che si è reinventato contadino

Di Chiara Rizzo
17 Gennaio 2012
Una famiglia su quattro in Sicilia oggi è tra i nuovi poveri. Proponiamo la storia di Mimmo, operaio dell'indotto di Termini Imerese in cassa integrazione. La sua famiglia, moglie e due bambine, vive con 1.100 euro al mese: «Facciamo a meno del riscaldamento, io coltivo l'orto. Ma non me ne vado da qui: dobbiamo darci da fare per questa terra e noi stessi»

Quando ci si avvicinava a Termini Imerese (Pa) dall’autostrada, saltava subito agli occhi come una stranezza quell’immenso stabilimento Fiat, illuminato di notte, con le ciminiere attive di giorno. Mimmo Palmisano era un operaio dell’indotto di quello stabilimento, lavorava in un’azienda che forniva il sellato per la Lancia Y. Dal 1 gennaio è in cassa integrazione straordinaria. Ha una famiglia di quattro persone: lui, la moglie, due bambine di 7 e 4 anni. «Di fatto, lavoravo solo io: mia moglie è segretaria in uno studio medico, ma solo part time». Oggi in quattro vivono con 1.100 euro al mese, Cig inclusa. Ma di gettare la spugna, proprio non vuol saperne.

«Noi non abbiamo una casa in affito, né un mutuo da estinguere. Una grossa fortuna, rispetto a tanti altri colleghi che portano anche questo peso sulle spalle. Ogni mese, tra luce e gas, paghiamo 50 euro di bolletta. Visto che mia moglie lavora e le bambine sono a scuola, essendo in Sicilia abbiamo scelto di vivere senza il riscaldamento: le spese si riducono allo scaldabagno, alla luce e al gas per cucinare». Quella di Palmisano, calma e paciosa, è una voce di quella Sicilia dove secondo l’Istituto Svimez una famiglia su quattro oggi è tra i “nuovi poveri”. La ricetta di questa famiglia di Termini è solo rimboccarsi le maniche. Per esempio, l’ex operaio Palmisano si sta reinventando agricoltore.

Così racconta a tempi.it: «La voce più forte nelle spese sono le tasse. Bollo auto, Ici/Imu, spazzatura; poi il carburante, che prende circa 100 euro al mese. Per la spesa alimentare, invece, mi sto organizzando. Mio padre aveva un orticello, 900 metri quadrati, così adesso mi sono messo a coltivarlo io e qualcosa la prendiamo da lì. Poi cerchiamo di arrangiarci». Paure, angosce per il futuro? «Diciamo che sono fresco di cassa integrazione, quindi ancora l’impatto non è stato traumatico. Ma abbiamo dovuto tagliare alcuni extra. Mia figlia voleva andare alla scuola di ballo, le ho dovuto dire di no. In pizzeria, invece, ogni tanto ci andiamo: perché va bene che il lavoro è finito e il reddito si è ridotto, ma non è finita anche la vita. Anche a Natale, ad esempio, abbiamo risparmiato, ma abbiamo cercato di non privare le bambine dei regali e comunque di fare il cenone, in famiglia. Ripeto: anche se non lavoro più, la vita non è finita, bisogna solo sapersi gestire, capire a cosa rinunciare».

Che le cose stavano cambiando, racconta, Mimmo lo ha capito davvero lo scorso settembre. «Mi è successa una cosa spiacevole con le Poste Italiane, dove ho il conto corrente. Mi avevano proposto di cambiare le condizioni per il conto: usando la carta di credito, avrei avuto il conto a spese zero. Ho accettato, ma quando ho presentato all’agente la busta paga, me l’hanno restituita, notando che la mia azienda era dell’indotto Fiat. “Alt! Evitiamo anche di sporcare la carta, se è indotto Fiat non c’è niente da fare”. Come a dire “sei spacciato”: è stata la prima volta che ho provato una sensazione del genere». E ora cosa sta facendo per la sua occupazione, Mimmo Palmisano? «Con la chiusura dello stabilimento, non è che ci siano sbocchi lavorativi, è crisi totale nel circondario di Termini. Ogni giorno si vedono negozi con il cartello appeso fuori “svendita totale, per cessazione attività”. Non è facile, quest’anno intanto mi occuperò dell’orto. Ho pensato di frequentare qualche corso, anche per reinserirmi in modo diverso nel mercato. Avevo trovato un corso collegato al mercato dei pannelli fotovoltaici. Ma pur essendo in Sicilia, dove questo settore sembrava in crescita, mi hanno consigliato di lasciar perdere, perché il corso era a mie spese e il gioco oggi non vale la candela. Adesso vedrò che altro fare».

Palmisano confessa però di non consultare nemmeno gli annunci di lavoro sul giornale: «No, perché solitamente gli annunci sono per la zona di Catania, dove le attività sono più floride del nostro territorio, ma a 200 chilometri di distanza». E lui, non ha pensato di trasferirsi? «Attualmente no, perché ho sempre quella speranza, un filo che mi lega a questa mia terra, che la riconversione dello stabilimento vada in porto e si ricominci a lavorare. Però se il tempo passerà senza che nulla si muova, dovrò prendere la decisione seria di andarcene. Perché non si tratterà di rimanere in Italia, visto che ovunque le aziende stanno chiudendo o sono in difficoltà. Ho molti amici che sono stati costretti a lasciare la famiglia qui e andare in Svizzera o in Germania per trovare lavoro. È successo persino a mio fratello, lavoravamo insieme in un’altra azienda cinque anni fa. Io sono stato poi “riassorbito” in Cig, lui è stato licenziato. Dopo tanti lavori precari, ha deciso di andare in Canada. Ha trovato subito lavoro, si è trasferito lì e si è sposato».

Come si affronta la crisi al Sud? «Davanti a qualsiasi crisi si può scegliere tra due modi di reagire. Io ho scelto di non vedere tutto buio. Ho la forte speranza che le cose possano cambiare, che non tutto è finito. Anche per questo non ho ancora deciso di andarmene: non possiamo lasciare che siano gli altri a lavorare per noi, dobbiamo essere anche noi stessi a darci da fare per questa terra e noi stessi».

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