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Milano. Spostare o no il carcere di San Vittore?

«La struttura ha bisogno di un rinnovamento radicale, ma esistono altre soluzioni». Intervista a Giovanna Di Rosa, presidente facente funzioni del Tribunale di sorveglianza di Milano

Elisabetta Longo
09/06/2016 - 3:00
Società
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carcere-shutterstock_208687927

San Vittore, Regina coeli e Poggioreale potrebbero non essere più carceri, potrebbero essere riqualificate, per lasciare il posto ad abitazioni o centri commerciali. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha dichiarato di voler “vendere” le mura degli istituti alla Cassa depositi e prestiti, e con il ricavato costruire nuove strutture, più al passo con i tempi. In tutte e tre le città, Milano, Roma e Napoli, sono in corso le elezioni del sindaco, ma il ministro della Giustizia ha aggiunto che il progetto potrebbe partire proprio dopo i ballottaggi di metà giugno. Per quanto riguarda la casa circondariale di Milano, cosa pensare? Da un lato, l’idea di avere un carcere più moderno e più funzionale – tutti conosciamo i problemi legati al sovraffollamento – potrebbe essere una buona idea. Dall’altro, però, l’idea di trasferire San Vittore dal centro della città alla periferia avrebbe il sapore simbolico di “spostare” il problema lontano dagli occhi e dal cuore. Per questo abbiamo chiesto a Giovanna Di Rosa, presidente facente funzioni del Tribunale di sorveglianza di Milano ed ex membro del Csm, cosa ne pensa.

Presidente Di Rosa, non è la prima volta che si discute di un ipotetico trasferimento di San Vittore.
La presenza della casa circondariale di San Vittore è strettamente legata al tessuto storico della città, toglierla da lì vorrebbe dire privare Milano di un pezzo della sua storia. È innegabile che la struttura di per sé avrebbe bisogno di un rinnovamento radicale, basta guardarla dall’esterno per notare le infinite crepe delle sue mura. All’interno, poi, ci sono tanti problemi di riscaldamento, perdite d’acqua e molto altro. Non tutti i raggi al momento sono occupati, proprio per i motivi appena spiegati, si potrebbe pensare di cominciare a rendere migliore quelle celle vuote. Penso che il trasferimento sia l’ultima ipotesi da considerare, prima ce ne sono molte altre fattibili.

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Crede che spostarlo in periferia farebbe sentire ancora più emarginati i detenuti?
Non solo loro. San Vittore, come tutte le case circondariali e gli istituti penitenziari, ha al suo interno una città di persone. Ci sono cuochi, personale di servizio, agenti, ma soprattutto ci sono le famiglie, che vanno a fare visita ai propri cari, ci sono i bambini. Spostare San Vittore dal centro città, ben servito dai mezzi pubblici, alla periferia, farebbe sorgere subito il problema del trasporto. Non basterebbe aggiungere una linea di autobus pubblica, perché avrebbe comunque degli orari fissi, magari incompatibili con gli orari delle visite. Pensiamo poi alla difficoltà che avrebbero anche i bambini che vanno a trovare i genitori in carcere, magari rischierebbero di perdere un’intera giornata di scuola. Io stessa quando mi devo recare al carcere di Bollate, parto in anticipo, calcolando il tempo di tragitto come una vera trasferta. E ogni volta che vado là, mi cade lo sguardo sul capannello di persone che aspetta l’autobus nei pressi del carcere.

Secondo lei i milanesi sentono la presenza di San Vittore? O, se venisse spostato, non se ne accorgerebbero nemmeno?
Innanzitutto lo vedono, e quindi anche solo una piccola riflessione guardandolo possono farla, cosa che non accadrebbe se fosse spostato altrove. Inoltre, all’interno della casa circondariale vengono fatte spesso iniziative, penso ad esempio all’annuale “Frutti del carcere”, che si terrà sabato 11 giugno, o all’aperitivo organizzato dalle detenute donne presenti a San Vittore, nata con Expo e che verrà replicata questa estate. Iniziative che aprono le porte, che invitano i milanesi e che rispondono sempre con enfasi. Sono iniziative di incontro, che hanno successo proprio perché si trovano al centro della città. Nel carcere di Bollate è stato aperto il ristorante “InGalera”, in maniera fissa, e sta richiamando molti avventori. È stata pensata questa formula proprio perché si trova in una zona periferica, mentre a San Vittore funzionano di più altre modalità, in grado di sviluppare socialità e far conoscere la realtà delle cooperative carcerarie. Sarebbe un peccato perdere quest’occasione.

Uno dei problemi più gravi di San Vittore è il sovraffollamento. Un problema che d’estate, con il caldo, diventa emergenza. Cosa si potrebbe fare per trovare una soluzione?
A San Vittore si scontano pene brevi, molto spesso inferiori all’anno. In quanto magistrato, ritengo che bisognerebbe ricorrere di più alle misure di pena alternative, valutando caso per caso, perché potrebbe essere anche un mezzo di contrasto al sovraffollamento delle carceri. Inoltre un detenuto che sconta una pena alternativa avrà un rischio di recidiva di reato nettamente inferiore rispetto a uno che rimane in carcere senza far nulla, e magari non ha l’occasione di poter far parte di una cooperativa. È stato lo stesso Dap a ribadire l’importanza delle misure di pena alternative in una recente circolare del 1° aprile 2016. Il pensiero comune spesso ritiene che il carcere non debba essere troppo tenero, che alla fine sia quasi giusto che il detenuto in cella sia scomodo, soffra il caldo, non abbia agi. Non dobbiamo cedere alla tentazione di pensarla così, anzi, la pena scontata sarà tanto più giusta quanto più non metterà il detenuto in condizione di soffrire più del dovuto. Un detenuto sta già soffrendo per la perdita della libertà, fargli patire anche il freddo che valore potrebbe mai aggiungere alla sua rieducazione?

Foto da Shutterstock

Tags: carcereemergenza carceriGiovanna Di RosaMilanosan vittoresovraffollamento
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