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Il delitto del piccione di Michael Bay e il reato di lesa maestà ambientalista

«Non l'ho ucciso, amo gli animali», tuona contro l'Italia il regista di "6 Underground", presunto piccionicida. Il fatto sarebbe avvenuto a Roma nel 2018, ma Bay non intende dichiararsi colpevole della più infamante delle accuse per un attivista

Caterina Giojelli
14/01/2023 - 5:30
Spettacolo
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Il regista Michael Bay si prepara a lasciare la sua impronta insieme a quella del suo cane Rebel sull'asfalto del TCL Chinese Theatre a Hollywood
Il regista Michael Bay si prepara a lasciare la sua impronta insieme a quella del suo cane Rebel sull’asfalto del TCL Chinese Theatre a Hollywood (foto Ansa)

Fermi tutti, in pieno MeToo italiano i riflettori si spostano sul regista e produttore Michael Bay che «nega le accuse». «Sono innocente», «non l’ho ucciso io», «ci sono prove video e una infinità di testimoni che mi scagionano», scrolla le spalle, «C’è un caso giudiziario in corso, quindi non posso entrare nei dettagli. Ma sono sicuro che vinceremo in tribunale». Manca solo «ho fiducia nella magistratura», ma non c’è niente di scontato nell’incredibile vicenda giudiziaria denunciata dallo stesso regista di Bad Boys, Armageddon e Transformers a The Wrap.

Una «fonte anonima» accusa Bay di aver fatto fuori un piccione

Dopo tre faticosi e infruttuosi tentativi avanzati dal suo team legale nell’ultimo anno per non andare a processo, Bay è infatti ora costretto a rivelare al mondo che le autorità italiane gli hanno rivolto la più infamante delle accuse: piccionicidio. Uccisione di un piccione viaggiatore. Ucciso nel 2018, durante le riprese per Netflix di 6 Underground, da un dolly, cioè quella specie di carrello-gru su cui si montano macchine da presa o videocamere. I fatti, scrive greve il Corriere «sarebbero accaduti sul set del film con Ryan Reynolds girato tra la capitale e Firenze»: secondo «un insider», racconta The Wrap, «un piccione viaggiatore sarebbe stato ucciso dal carrello nel bel mezzo di una ripresa a Roma» una «fonte anonima» che si trovava sul set, assistendo all’incidente, avrebbe «scattato una foto e sporto denuncia alle autorità italiane».

In un paese serio i Monty Python avrebbero campato un mese con lo sketch del commissario romano che raccoglie la denuncia, mentre a Settebagni un uomo insegue con la balestra i cinghiali e le nutrie passeggiano per piazza Cavour o posano a Castel Sant’Angelo per i turisti americani che si chiedono «what is it?», invece la vicenda ha assunto subito i contorni del drama ecodistopico giudiziario «l’Italia ha una legge nazionale che rende illegale ferire uccidere o catturare qualsiasi uccello selvatico, compresi i piccioni – è ancora la rivista americana -. I piccioni sono anche protetti nell’Ue ai sensi della direttiva “Uccelli”».

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In assenza di «commenti da parte di Netflix» il Corriere batte il martelletto: «Il piccione in Italia è considerato come animale selvatico, in base alla sentenza della corte di Cassazione sez. III pen. n. 2598 del 2004 e in quanto tale ne è vietata l’uccisione e la cattura, come previsto dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157, che identifica come appartenenti alla fauna selvatica “le specie di mammiferi e uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di libertà naturale nel territorio nazionale”. Uccidere un animale selvatico equivale a un atto di bracconaggio».

Capite? Bay, il signore dei mastini inglesi, della lotta per salvare i gorilla di montagna e i pachidermi africani dai trafficanti d’avorio, accusato di bracconaggio. Il regista gioca dunque la carta “non posso essere omofobo, ho molti amici gay” in chiave piccionesca: «Amo gli animali, lo sanno tutti che sono un amante degli animali, un attivista. Nessun animale coinvolto nella produzione è stato ferito. Come in nessun altro progetto nei miei 30 anni di carriera».

Un attivista non può avere un piccione sulla coscienza

E come può un attivista tollerare di avere un piccione sulla coscienza? Non può. Semplicemente il fatto non può sussistere. «Mi è stata offerta dalle autorità italiane la possibilità di risolvere la questione pagando una piccola multa – rivela Bay indignatissimo – ma ho rifiutato di farlo perché non mi sarei dichiarato colpevole di aver ferito un animale».

Va da sé che un minuto caso di piccione spiaccicato diventasse un attentato a una grande causa, in pratica come accusare Greta Thunberg di organizzare pigiama party sui Boeing 737, o Jonathan Bazzi di grigliare maiale a Pasquetta o le attrici di #apriamolestanzediBarbablù di eccesso di hashtag operettistico. In un paese serio il caso Bay sarebbe insomma finito con una multa e un selfie con turisti, cinghiali e nutrie, ma vuoi mettere il delitto di un piccione con il reato di leso attivismo?

Tags: ambientalismoanimalismoCinemagreta thunberg
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