Mia sorella Down vale perché c’è, non perché è più o meno felice del «truculento Richard Dawkins»

Di Benedetta Frigerio
07 Settembre 2014
Una giornalista inglese scrive un articolo per descrivere, al di là di ogni stucchevole sentimentalismo, cosa significhi essere fratelli di un Down. Dando così una risposta convincente al filosofo che non li vorrebbe sulla faccia della terra

«Non dovremmo difendere il diritto alla vita delle persone con la sindrome di Down perché sono angeli coraggiosi. Piuttosto, dovremmo farlo semplicemente perché sono esseri umani come noi». Così Madeleine Teahan, collaboratrice del Guardian e redattrice del Catholic Herald, è intervenuta nel dibattito seguito alle parole di quello che lei definisce il «truculento Richard Dawkins», che «ha provocato l’indignazione di Twitter dicendo a una delle sue seguaci che se avesse scoperto che era incinta di un bambino Down avrebbe dovuto “abortire e riprovare”. Aggiungendo che “sarebbe immorale farlo nascere, se puoi scegliere”».

UN ALTRO PUNTO DI VISTA. La tesi della giornalista nasce dall’esperienza della sorella Anna, 23enne, affetta da trisomia 21. «Quando avevo sei anni – racconta Teahan – la mia maestra delle elementari ci lesse una storia su un anello magico che esaudiva il tuo desiderio quando lo strofinavi. (…) Non ho dovuto pensarci su molto. Mia madre era parecchio giù di morale da quando mia sorella era nata un anno prima. Perciò seppi da subito qual era il mio desiderio: che mia sorella Anna non fosse più affetta dalla sindrome di Down». Affinché «si dissolvesse» quella che Teahan definisce senza romanticismi «la nube grigia che sovrastava casa nostra».

IL PROBLEMA NON E’ LA FELICITA’. Resta l’utilitarismo feroce di Dawkins che, secondo la giornalista, «è scioccante, ma non sorprendente». Infatti, se si facesse un sondaggio, la media degli inglesi sosterrebbero che «abortire un bambino con la sindrome di Down è un atto di misericordia». Ma Teahan sostiene che anche chi è contro questa visione spesso si mette sullo stesso piano dell’utilitarismo, controbattendo che «molte persone con la sindrome di Down hanno superato tutte le aspettative mediche, vivendo felicemente, raggiungendo uno stato di vita indipendente». Purtroppo così «stiamo mancando il punto» ed «è conveniente dimenticarci di questo aspetto», perché «mentre molti bambini con la sindrome di Down frequenteranno le scuole tradizionali, avranno un lavoro e si gestiranno da soli, altri invece no. Mia sorella Anna faceva parte di questa categoria più promettente nei primi anni della sua vita (…). Ma ad Anna fu diagnosticata una rara forma di epilessia (…). Il mese scorso ha compiuto 23 anni, ora è sulla sedia a rotelle e dipende interamente dall’amore e dalla buona volontà di altre persone (…) ed viene idratata con un tubo». Inoltre «guardare una persona cara soffrire di un attacco epilettico può lasciarti fisicamente indolenzita dalla tristezza, in aggiunta allo sforzo nelle cure dei miei genitori a volte inimmaginabile».

OLTRE LE APPARENZE. Quello disegnato da Teahan sembrerebbe il ritratto desolante di una giovane donna malata e della sua famiglia. Ma solo «a prima vista», sostiene la giornalista, che descrive così di che cosa sia capace l’esistenza di una persona, per malata che sia: «Ciò che è altrettanto inimmaginabile è quello che Anna ha fatto per ogni persona che ha avuto il privilegio di conoscerla. Le persone come Anna rendono santi gli altri. E non manca mai di commuovermi quando vedo qualcuno – a volte una persona che ho escluso o sottovalutato – avvicinarsi a lei e parlarle con cura e rispetto (…). Niente mi rende più felice delle rare volte che la porto al centro di assistenza pomeridiano e vedo la faccia dei membri del personale illuminarsi al suo arrivo, dicendomi quanto amano mia sorella».

UN PRIVILEGIO PER POCHI. Che poi non ci sia differenza anche fra un genitore in attesa di un figlio sano o di uno malato, Teahan lo spiega ricordando che, «come ogni bambino, Anna ha portato ai miei genitori sia pena sia felicità. In fondo, sappiamo tutti che i mentalmente abili e i normodotati possono anche causare notevoli dolori ai genitori». Anzi, spesso le persone malate possono offrire qualcosa di più delle altre a chi le accoglie. «Mi rendo conto a quasi trent’anni – confessa la giornalista – che mentre i genitori di molti miei coetanei stanno divorziando o si allontanano quando i loro figli escono di casa, Anna rafforza il matrimonio dei miei genitori, in un modo in cui il resto di noi figli non sarebbe capace». Ma la gratitudine è anche dei fratelli. Infatti, «un bambino disabile richiede l’amore incondizionato e il sostegno di entrambi i suoi genitori e io ho il privilegio di essere testimone non solo del miglior esempio di ciò che sono una madre e un padre, ma anche di un marito e una moglie».

IL BENE ALIMENTATO. Pur ammettendo che, come da bimba, chiederebbe ancora la salute di Anna «risparmiandole il dolore sofferto», Teahan, si rende conto «ora che se Anna non avesse la sindrome di Down allora non sarebbe la sorella minore che, per grazia di Dio, nutre senza sforzo tutto il bene che c’è in me». Perciò, pur credendo che la sorella «sia più felice della maggioranza delle persone che conosco», la giornalista ripete che il valore della vita non va discusso tramite «una lista di attributi fisici e mentali (…). Il modo di contrastare l’atteggiamento agghiacciante di Dawkins non è quello di convincerlo di quanto le persone con la sindrome di Down possano essere fisicamente o mentalmente abili, ma di affermare che il diritto alla vita è inalienabile, indipendentemente dalla capacità».

«DAWKINS MI FA PENA». Sopratutto «il nostro punto di partenza deve essere quello di affermare la loro comune umanità», perché «quando Anna soffre o vive, io sono colpita per il fatto che lei è un essere umano. Ed è perché lei è proprio come me – non perché è diversa – che mi chiede silenziosamente di essere migliore e più coraggiosa». È il motivo per cui Dawkins «mi fa pena», perché non può «comprendere il valore inestimabile delle persone come Anna e perché lei non potrà mai cambiare la sua vita nel modo in cui ha cambiato le vite di altri».

@frigeriobenedet

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15 commenti

  1. Cris

    Anch’io come chi l’autrice sono legato a mio fratello “perchè c’è”.

    Tuttavia non è vero che un figlio disabile unisce, le statistiche attestano il raddoppio delle possibilità di divorzio. Uno dei due non ce la fa.
    La maggioranza dei genitori ne esce spezzata mentalmente ed economicamente in un modo che li segnerà per tutta la vita, ci sono impatti drammatici anche sui fratelli e ancora di più sulle sorelle.

    E’ vero anche che c’è una ristretta minoranza di genitori che superano la tempesta e diventano persone più ricche e complesse, dei monumenti all’umanità, ma purtroppo è appuno una minoranza.

  2. marilena

    “Le persone come Anna rendono santi gli altri” un’affermazione davvero crudele! Sono la mamma di Giorgio, persona con sindrome di Down di 35 anni, autonomo, chiacchierone, consapevole della sua diversità e per questo non felice. Non sono credente e comunque trovo inammissibile pensare che una persona sfortunata serva per santificare quelli che le stanno vicino e l’aiutano, io per mio figlio andrei in capo al mondo senza aspettarmi un premio soprannaturale che non esiste. Ho letto anni fa che madre Teresa, assistendo un morente distrutto dalla sofferenza,gli ripeteva che ogni dolore era una carezza di dio:” si tenga le sue carezze!” gli rispose l’uomo. Se dio esistesse, secondo me non potrebbe tollerare idee del genere. Buona sera

    1. giovanna

      Marilena, credo che tu abbia del tutto frainteso quella frase che critichi, in quanto è una frase dolcissima e rispettosa di qualsiasi persona che soffre e perciò interroga noi “sani ” e ci dà un’occasione di dare amore.
      E’ questo il premio, la santità sulla terra, riconoscere Dio nel prossimo, soprattutto nel prossimo sofferente, proprio qui sulla terra è il premio.
      Lo posso dire anche mettendomi nei panni dei malati, ne ho tutto il diritto !
      D’altra parte, ammetti di non essere credente, per cui veramente non ci puoi arrivare, parli senza sapere di cosa stai parlando, diciamo pure che parli un pochino a vanvera.

      1. giovanna

        Poi, scusa Marilena, ho letto un tuo altro intervento, circa di novembre, e ti volevo dire qui che ho notato una profonda contraddizione nelle tue parole.
        Ti sei lamentata, più che giustamente, del fatto che tuo figlio Giorgio sia pochissimo, quasi niente , supportato dalla società . Ma poco prima, avevi scritto che secondo te si deve essere liberi di decidere se accogliere o meno un bambino con la stessa sindrome di tuo figlio.
        Dunque, se questi ragazzi sono considerati meno di niente, persone che si possono tranquillamente eliminare a seconda del proprio sentimento o volere, non trovi più che logico che ragazzi a cui non è assegnato un valore infinito, come tutti, possano essere discriminati e non considerati dalla società?
        Cioè, cosa può accadere di peggio che perdere la vita, ad un essere umano ? Se si possono uccidere, si può anche non sostenerli nel trovare un lavoro o comunque in una vita sociale.
        Se non valgono niente…

  3. beppino

    E’ un bene sentire testimonianze che mostrano la “possibilità di vita normale” e non di “sicuro inferno” come alcune persone preventivano.

    C’é anche da dire che la nostra società fa la sua parte ed é pronta ad accogliere questi nostri fratelli e sorelle “meno” fortunati. Finché si sono coppie disposte ad accogliere e subentrare post parto ai genitori naturali bisognerebbe prender atto che é sempre più discutibile la decisione di interrompere una gravidanza.

    1. Beppino

      La donna può partorire in ospedale in pieno anonimato lasciando il bambino alla struttura sanitaria. In Italia esiste una legge incivile sul procurato aborto ma esistono anche norme destinate a dare una alternativa alle gravidanze non desiderate salvaguardando indirettamente il diritto del concepito:

      C.C. art. 250: …la donna ha il diritto ad essere aiutata e informata sul fatto che può partorire senza riconoscere il figlio e senza che il suo nome compaia sull’atto di nascita…

      L.798/1927 art.9 : …la donna ha il diritto ad una rigorosa protezione del segreto del suo nome, qualora non voglia riconoscere il figlio… é rigorosamente vietato rivelare il nome della madre che non intende riconoscere il figlio. Coloro che per motivi d’ufficio sono venuti a conoscenza del nome della madre, hanno il rigido divieto di rivelare tale conoscenza e commettono reato se lo rivelano…

      L.127/97 art. 2: … la dichiarazione di nascita è resa indistintamente .. rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata…

      Costituzione Artt. 2-3-31: …la tutela della vita e della maternità impongono al legislatore la tutela della riservatezza della donna…

      Legge 184/83, art.11: …il tribunale, qualora il minore non sia riconosciuto dalla madre, non può fare ricerche sulla paternità del bambino…nel caso in cui non risulti l’esistenza di genitori naturali che abbiano riconosciuto il minore, il Tribunale dei Minorenni, senza eseguire ulteriori accertamenti, provvede immediatamente alla dichiarazione dello stato di adottabilità…

  4. Filomena

    Certo che Tempi pur di contraddire l’opinione generale sarebbe disposto anche a negare l’evidenza dei fatti e cioè che le famiglie con un figlio disabile grave sono quasi sempre distrutte. E questo oggettivamente al di là del giudizio di valore che si può dare a determinate scelte sia in un senso che nell’altro.

    1. Toni

      @ Filomena
      idem:
      Uno è per ammazzare …. l’altro no….. e sono “Punti di vista” …”Entrambi personali, entrambi non vincolanti per nessuno.” ….. Stai guadagnando posizioni nella graduatoria della disumanità

    2. doctor

      Il disagio familiare non è una scusa per uccidere uomini.

    3. unafides

      Se anche prendessimo per buono quello che dici, servirebbero dei dati incontrovertibili secondo cui “quasi tutte le famiglie con figli disabili gravi vengono distrutte”. Sono convinto che ci fornirai questi dati per sostenere la tua tesi

    4. Giannino Stoppani

      A quello che hanno replicato i miei predecessori alla solita rivoltante disumanità del solito “ebetroll” multinick, c’è da aggiungere che il disagio alle famiglie non è causato dalla nascita di un figlio diversamente abile (dizione esatta in politicamente correttese), bensì dalla insufficienza strutturalmente malvagia di una società di merda (mi perdoni la spettabile redazione, ma non trovo termine più adatto di questo) che promuove l’egoismo a scapito della vita dei deboli, nelle vesti di uno stato liberticida, rapinatore, prevaricatore, affamatore e, per di più, con turpe vocazione al totalitarismo becero di stampo massonico.

  5. enja

    Wow, Valentina! Serviva proprio sentire del politically correct!

  6. Valentina

    Punti di vista. Quello della giornalista e quello dello scienziato. Entrambi personali, entrambi non vincolanti per nessuno.

    1. Sebastiano

      Il solito relativismo evanescente. Cosa non si fa pur di non dare un giudizio di valore. Ma quest’ultimo impegnerebbe almeno la propria coscienza.

    2. Toni

      @ Valentina

      Uno è per ammazzare …. l’altro no….. e sono “Punti di vista” …”Entrambi personali, entrambi non vincolanti per nessuno.” ….. Stai guadagnando posizioni nella graduatoria della disumanità

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