Scarsità di metalli e minerali critici, il vero nodo della transizione energetica

Di Amedeo Lascaris
22 Maggio 2023
L'attuazione del Green Deal si tradurrà in un aumento esponenziale della domanda di materie rare come litio e rame. L’Italia ha bisogno di un piano minerario nazionale. La proposta di Torlizzi
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Il modellino di una cava di litio in Bolivia (foto Ansa)

I leader europei continuano a esaltare le virtù del New Green Deal che prevede che il blocco di 27 paesi diventi il ​​primo continente a emissioni zero entro il 2050. A oggi però manca un piano chiaro per comprendere in che modo poter portare un intero continente dall’impiego sostanziale di fonti fossili per la produzione di energia a fonti totalmente rinnovabili. Come sottolineato in un paper per il Luiss Policy Observatory da Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, il percorso verso la transizione energetica si tradurrà in un aumento esponenziale della domanda di metalli critici tra cui rame, litio, nichel, manganese, cobalto, grafite, molibdeno, zinco, terre rare e silicio.

La transizione energetica in Europa e il dominio della Cina

Secondo la Banca mondiale, la produzione di minerali, come grafite, litio e cobalto, dovrebbe aumentare di quasi il 500 per cento entro il 2050 per raggiungere gli obiettivi climatici, mentre i funzionari dell’Ue stimano che per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, l’Unione a 27 richiederà 18 volte più litio di quello che utilizza attualmente entro il 2030 e quasi 60 volte di più entro il 2050. Il litio è solo uno dei tanti elementi la cui domanda crescerà in maniera vertiginosa nei prossimi anni.

Prima la crisi dei chip avvenuta dopo la riapertura post-Covid e poi la crisi energetica scatenata dalla guerra lanciata dalla Russia contro l’Ucraina hanno reso ormai di uso comune il termine “scarsità” o “risorse scarse”, “critiche” o “rare”. L’Ue si è svegliata tardi e in modo raffazzonato per cercare di governare una crisi che si profila già all’orizzonte. Il cosiddetto Chips Act, il pacchetto legislativo europeo sui semiconduttori che mira al raddoppio della produzione entro il 2030, è stato approvato l’8 febbraio 2022 dalla Commissione europea, dopo una crescita alle stelle della domanda di microchip a seguito della riapertura delle catene di produzione post-Covid.

Sulle materie prime critiche, dove il dominio della Cina è noto da diversi anni, Bruxelles ha mosso i primi passi concreti solo lo scorso 16 marzo con una legge europea ormai nota come Critical Raw Material Act che punta a «garantire catene di approvvigionamento sicure e sostenibili per il futuro verde e digitale dell’Unione europea».

Velocizzare le procedure per estrarre materie prime

I risultati dei due pacchetti normativi si avranno solamente tra diversi anni. Sullo specifico nodo delle materie prime critiche il Critical Raw Material Act vuole rendere più facile attingere alle riserve interne dei minerali di cui i paesi Ue hanno bisogno per costruire tecnologie verdi come turbine eoliche e pannelli solari. Tuttavia, l’intenzione di velocizzare le procedure autorizzative per l’attivazione di siti estrattivi – che può arrivare fino a 15 anni – si scontra con rigide norme ambientali dei singoli paesi oltre che con la mancanza di piani e integrati volti a mappare, aggiornare e verificare la fattibilità di eventuali estrazioni in siti strategici come ad esempio il grande giacimento di litio francese di Tréguennec situato vicino alla costa della Bretagna nel nord-ovest della Francia, situato però nei pressi di una riserva naturale.

La Commissione europea sta valutando di consentire ai piani minerari strategici di essere designati come cosiddetti progetti di rilevante interesse pubblico, fornendo la priorità in caso di conflitti con altre normative dell’Ue, ad esempio con la legge sulla conservazione delle specie. Tuttavia, è soprattutto dai singoli Stati che servono piani chiari sul fronte minerario.

Perché l’Italia ha bisogno di un piano minerario nazionale

Secondo il paper di Torlizzi, intitolato “Perché l’Italia ha bisogno di un piano minerario nazionale”, al fine di raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050, saranno necessari una quantità di metallo per un controvalore di 10 mila miliardi di dollari e una quantità di 242 milioni di tonnellate dalle attuali 52 milioni di tonnellate. Inoltre, le dimensioni della rete elettrica globale dovranno quasi raddoppiare «fino a raggiungere i 152 milioni di chilometri entro il 2050, richiedendo enormi quantità di acciaio, rame e alluminio».

Nel documento si legge che le sole reti assorbiranno gran parte della domanda di rame, rispetto alle altre applicazioni della transizione energetica, mentre le turbine eoliche costituiranno l’applicazione che consumerà la maggior quantità di metalli entro il 2050, soprattutto acciaio.

Le miniere del Congo controllate da Pechino

Il paper redatto dal fondatore di T-Commodity si concentra in particolare sul ruolo della Cina, che vanta una leadership globale praticamente incontrastata nel campo dell’estrazione e, soprattutto, della raffinazione delle materie prime critiche. Nella sola Repubblica democratica del Congo, che vanta una quota del 60 per cento della produzione di Cobalto, la Cina possiede 15 delle 17 miniere del Paese, controllando il 97 per cento delle forniture indonesiane, secondo produttore al mondo. Le cifre sono ancora più preoccupanti nel comparto intermedio della filiera che vede Pechino controllare l’85 dei processi di raffinazione delle terre rare.

La raffinazione è dunque un puto chiave per comprendere le leve della Cina sulle ambizioni europee e non solo. Nel paper si legge, infatti, che nella transizione energetica stanno divenendo sempre più fondamentali i magneti in terre rare impiegati nelle turbine eoliche, veicoli elettronici, smartphone e armi, «rappresentando un materiale chiave per i settori della riduzione del carbonio e dell’alta tecnologia».

Cosa può fare l’Italia

A fronte di una situazione del genere, il piano proposto da Torlizzi per l’Italia prevede una serie di azioni: aumento della produzione nazionale di metalli raffinati; diversificazione dei paesi fornitori con accordi government to government; Creazione di campioni nazionali, anche in joint venture con gruppi minerari stranieri, per lo sfruttamento minerario nazionale e internazionale; sviluppo degli stoccaggi.

In particolare, il primo punto si presenta come quello più complesso, ma anche più strategico per avere almeno una base, seppur minima, di produzione interna per compensare la scarsità di materia prima sui mercati. Per fare ciò, il piano proposto da Torlizzi prevede anzitutto una mappatura geologica aggiornata del Paese che dovrà andare in parallelo con l’aggiornamento delle normative che regolano l’attività mineraria che sono addirittura ferme al Regio Decreto N° 1443 del 1927 (poi successivamente modificato in modo da includere, tra gli anni Ottanta e Novanta, le Regioni).

Lo Stato dovrà anche riconoscere «l’importanza dell’attività mineraria, nella tutela dell’interesse nazionale», intervenendo attivamente nella strategia di approvvigionamento, mettendo davanti il concetto di sicurezza nazionale davanti a quello della convenienza economica.

La crescita degli attori dell’industria mineraria

Altro punto cardine è quello della raffinazione, in caso del ritrovamento di giacimenti idonei. Come indicato da Torlizzi e dall’esempio della Cina, la lavorazione dei minerali (come avviene nel settore petrolifero) risulta più strategica rispetto all’attività mineraria in sé. Il riciclo e il disincentivo – anche con pressioni in sede europea  all’esportazione di rottami ferrosi e non ferrosi è un altro punto importante del piano di Torlizzi.

Altro aspetto riguarda la crescita degli attori dell’industria mineraria. Infatti, come osserva il documento, nel perseguimento delle politiche per raggiungere le zero emissioni al 2050 le difficoltà per l’Italia riguarderanno anche la reperibilità di capitali finanziari e le competenze tecniche: «Occorre pertanto incentivare lo sviluppo non solo delle realtà produttive italiane già presenti nel nostro Paese, ma anche di nuove che potranno nascere dall’incontro pubblico-privato. Le nuove realtà non dovranno necessariamente operare all’interno del Paese ma anche all’estero attraverso partecipazioni, joint venture in progetti di estrazione e raffinazione».

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