Memoria divisa

Di Lartaun de Azumendi
25 Ottobre 2007
La sinistra spagnola vuole riaprire con una legge le ferite lasciate dalla guerra civile. Destabilizzando così una convivenza faticosamente raggiunta

Madrid
Quando José L. R. Zapatero pronunciò il suo discorso di investitura all’indomani della vittoria elettorale del 14 marzo 2004, terminò citando una figura cruciale nella sua biografia che ha marcato buona parte della sua politica: suo nonno il capitano Lozano, un militare repubblicano che fu fucilato dai franchisti nel 1936. La questione non è di poco conto, perché non si trattava di un ricordo familiare aneddotico per dare inizio alla nuova legislatura: dietro quella citazione stava una concezione della storia più recente della Spagna che si sta facendo spazio in buona parte della sinistra. Questa nuova corrente ritiene che il periodo della Transizione, che permise di passare dalla dittatura alla democrazia in modo pacifico, si sia chiuso male, in quanto non è approdato a una condanna esplicita della fazione vincitrice della Guerra Civile e ad un’esaltazione della vittoria morale degli sconfitti. Il Partito popolare (Pp), che raccoglie il voto conservatore, ricorda che durante la Transizione tanto la destra che la sinistra decisero che il perdono e l’oblio erano la scelta migliore per superare uno scontro fratricida che solo portò dolore e distruzione. Sono passati trent’anni, e un ampio settore della sinistra non è più disposto a lasciar passare il tempo senza che si compia un riconoscimento esplicito della fazione repubblicana.
Con questa premessa il Governo cominciò da subito a lavorare ad una nuova legge il cui obiettivo, secondo il Partito socialista (Psoe), era di recuperare la memoria delle vittime del franchismo. Il percorso comimciò il 10 settembre di quello stesso anno, allorché fu approvato un Decreto Reale con cui si creava una commissione interministeriale incaricata di studiare la situazione delle vittime della Guerra Civile e del franchismo. L’iniziativa successiva fu di dichiarare il 2006 “Anno della Memoria storica”, con un obiettivo molto chiaro, così come fu definito il 7 luglio di quello stesso anno nel Bollettino Ufficiale dello Stato: «L’esperienza di oltre 25 anni di esercizio democratico permette oggi di affrontare, in modo maturo e aperto, il rapporto con la nostra memoria storica, tenendo conto che recuperare tale memoria è il modo più sicuro per porre le basi del nostro futuro di convivenza. Sicché oggi risulta opportuno ricordare e onorare coloro che si sforzarono di istituire un regime democratico in Spagna, coloro che soffrirono le conseguenze del conflitto civile e coloro che lottarono contro la dittatura in difesa delle liberà e dei diritti fondamentali di cui oggi noi godiamo».
Da allora il Psoe si è dedicato ad ottenere sostegno da parte di differenti partiti con l’obiettivo di approvare la legge. Alla fine ha acquisito l’accordo dei tre gruppi necessari perché fosse approvata: il Partito nazionalista basco, Convergencia i Unió (catalani di centro) e Izquierda Unida-Icv. Invece il principale partito d’opposizione, il Pp, e Esquerra Republicana de Cataluña (catalani indipendentisti di sinistra) si sono detti contrari. I primi la considerano non necessaria, i secondi la ritengono insufficiente.

Simboli al bando
Gli obiettivi di questa legge secondo il Governo sono di riconoscere e ampliare i diritti di coloro che patirono persecuzione o violenza, per ragioni politiche o ideologiche, durante la Guerra Civile e la dittatura, promuovere la loro riparazione morale e il recupero della loro memoria personale e familiare. Gli articoli prevedono, fra le altre cose, la prima condanna esplicita del franchismo per legge, l’ampliamento degli indennizzi alle vittime della guerra e del franchismo, il diritto di intentare cause al fine di ottenere riparazioni personali o l’occupazione temporanea di terreni affinché le amministrazioni pubbliche si coinvolgano nella ricerca di fosse comuni. Tale riparazione morale, che spetterà principalmente alle vittime appartenenti alla fazione repubblicana, comprende alcune iniziative che hanno sollevato i sospetti di buona parte della società spagnola.
L’articolo 15, per esempio, fa riferimento ai simboli franchisti e obbliga a rimuoverli dagli edifici statali e di tutte le amministrazioni pubbliche, compresi municipi e comunità autonome (le regioni spagnole, ndt). Per la realizzazione di ciò impegna l’esecutivo a realizzare un inventario di tutti i simboli franchisti affinché siano ritirati. Per quanto riguarda le istituzioni private, l’articolo presenta un passaggio nel quale si annota che quelle che si rifiuteranno di rimuoverli senza valide giustificazioni potrebbero non ricevere più fondi pubblici. Molti sindaci non si sono mostrati entusiasti, coscienti del grosso lavoro che hanno davanti. Solo nella città di Madrid la legge obbligherà a cambiare nome a 160 strade.
La sinistra spagnola considera un trionfo storico il consenso raccolto per l’approvazione della legge. Secondo Zapatero «molti degli obiettivi e delle grandi aspirazioni» della II Repubblica sono oggi «pienamente vigenti» grazie anche all’accordo raggiunto su questa norma. Come ha dichiarato il portavoce socialista Diego López Garrido con questa legge si vogliono «chiudere definitivamente le ferite» e lo si fa con giustizia: «Crediamo che le insufficienze che ancora oggi esistono per i danni sofferti dalle vittime della guerra civile e della repressione attuata dalla dittatura devono essere soddisfatte definitivamente». Sulla stessa linea si è espresso Santiago Carrillo, ex segretario generale del Partito comunista, che ha vissuto in prima persona la guerra civile e che notoriamente fu responsabile degli atti di repressione che i repubblicani compirono nei confronti dei franchisti. Secondo Carrillo, «adesso che sono passati trent’anni, e quasi settanta dalla fine della Guerra Civile, è logico che nelle nuove condizioni i vinti di allora, che per il modo in cui si svolse la Transizione non reclamarono in quel momento la condanna esplicita del passato, cerchino di ristabilire la verità storica».

I buoni e i cattivi
Per il Pp, al contrario, la legge mette in pericolo la stabilità che si era raggiunta dopo la dittatura. Il Pp sottolinea il valore che la Transizione ha avuto per gli spagnoli come fattore di unità e di equilibrio. «Perché tornare a rimestare un periodo storico doloroso, nel quale tanto una fazione come l’altra hanno fatto cose di cui pentirsi? Non è meglio girare pagina come gli spagnoli hanno già fatto trent’anni fa e perdonarci reciprocamente?», si chiedono i dirigenti del Pp. In fin dei conti, fu proprio la sinistra a chiedere l’oblio (sotto forma di amnistia) al termine della dittatura. Pochi giorni fa Mariano Rajoy, leader dell’opposizione, ricordava come durante la Transizione persone «di diversa provenienza», alcune «del regime di Franco» e altre «dell’esilio», si misero d’accordo su temi fondamentali come la Monarchia, il sistema di governo, la bandiera. Ci furono rinunce a destra e a sinistra con l’obiettivo di perseguire il bene comune. La cosa giusta, secondo Rajoy, è guardare al futuro, costruire il presente e chiudere il passato. E diversi settori della società hanno chiesto pubblicamente che non venga riportato sulla scena politica uno scontro che tanto male ha causato al paese. Un membro della Real Academia de la Historia, Luis Suárez, ha commentato che «bisogna lasciare le cose come stanno. In Spagna è stato fatto uno sforzo per passare sopra questi odî che scatenarono la Guerra Civile. Quando si cerca di modificare le cose per dire che questi sono i buoni e questi sono i cattivi, non solo si sta mentendo, ma si sta risvegliando l’odio».
Nonostante la sinistra assicuri che ormai si può affrontare con maturità la questione, i fatti indicano il contrario. In ambito accademico il dibattito continua: alcuni definiscono la Repubblica come un regime democratico e moderato, ingiustamente abbattuto dal fascismo. Altri evidenziano la deriva comunista di buona parte dei dirigenti repubblicani che avrebbe trasformato la Spagna in un satellite dell’Unione Sovietica. Fra la gente della strada ci si chiede se, in definitiva, davvero valeva la pena riaprire il dibattito.

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