
Melanie Phillips
La Northcliffe House è un bel palazzo a vetri al 2 di Derry Street, stradina laterale di una delle arterie dello shopping londinese, Kensington High Street. Da qui, dal terzo piano dove ha sede la redazione del tabloid Daily Mail, Melanie Phillips conduce la sua quotidiana battaglia contro il politically correct e l’islamizzazione della società britannica. Lo fa attraverso i suoi articoli pressoché giornalieri, lo fa attraverso libro scomodi come Londonistan, campione di vendite nella sezione attualità di moltissime librerie della capitale e non solo. Lo fa dopo una vita passata a sinistra, dalle battaglie femministe fino all’assunzione al Guardian dove in meno di due anni divenne responsabile dei servizi dedicati alle tematiche sociali. Poi, lentamente e in maniera sofferta, l’allontanamento «da quel clima soffocante, ideologico ma soprattutto miope verso la realtà»: l’esilio non proprio dorato all’Observer (il domenicale del Guardian), lo sbarco al prestigioso ma “ingessato” Sunday Times e infine l’approdo allo status di libera pensatrice, polemista al vetriolo e penna acuminata del Daily Mail, tabloid ultra-conservatore e tradizionalista. L’aspetto di Melanie Phillips non fa giustizia al suo temperamento e al suo coraggio: minuta, sempre vestita in perfetto stile british con colori che solo Oltremanica si possono indossare senza porsi troppi quesiti, occhialini a riverberare uno sguardo sempre acceso, attivo, curioso. In un momento come questo, percorso da turbolenze in varie parti del mondo a causa del jihad globale, verrebbe spontaneo cominciare l’intervista parlando di Afghanistan, Libano, Iraq o quant’altro ma Melanie Phillips è solita guardare prima nel giardino di casa sua per poi ampliare la prospettiva al mondo. Il suo ultimo provocatorio editoriale, infatti, era una fulminante invettiva contro la Gran Bretagna, rea di aver arrestato un attivista evangelico che distribuiva un volantino contro l’omosessualità durante un gay-pride a Cardiff, in Galles.
Signora Phillips, non le sembra di aver esagerato titolando il suo fondo “Come la Gran Bretagna sta trasformando il cristianesimo in un crimine”? Lo crede davvero?
Lo credo davvero, eccome se lo credo. Ma ci rendiamo conto, il signor Stephen Green è stato arrestato e processato per aver tenuto un comportamento ritenuto offensivo e minaccioso. Bene, sapete cosa ha fatto di tanto grave? Distribuiva volantini. E sapete cosa c’era scritto sui quei volantini? «Pentitevi dei vostri peccati e sarete salvati». La Bibbia, insomma, non insulti omofobi. Certo in molti hanno detto che il signor Green è un fanatico, un evangelico estremo ma questo non è il problema: la cosa grave è che questa società è talmente sottosopra da ritenere criminale niente più che un caposaldo del cristianesimo. Nello stesso momento, nello stesso paese, la polizia si rifiuta però di perseguire zelanti islamici che insultano la libertà britannica insegnando l’odio contro l’Occidente. Che piaccia o meno, la Bibbia è il codice morale sotteso alla nostra civiltà: ragionando in base alle categorie morali che hanno portato all’arresto di Mr. Green dobbiamo evincere che la Bibbia predica odio e va quindi bandita e messa fuori legge.
Un paradosso?
Assolutamente sì. Questo è lo scotto che paghiamo alla società dei diritti umani, un mantra che trasforma automaticamente le minoranze in soggetti non solo da tutelare ma da porre in posizione preminente. Partendo da questo assunto, nessuno può dire nulla di critico verso una minoranza senza essere tacciato di discriminazione o pregiudizio. È assurdo. Per quanto riguarda il cristianesimo, è ovvio che non possa ritenere l’omosessualità niente più che un peccato. In base alle norme imperanti, però, questo giudizio va a toccare i presunti diritti di una minoranza, quindi non si può neppure pronunciare, altrimenti scatta l’accusa di discriminazione. La stessa Chiesa d’Inghilterra è divisa sul tema, roba da matti. Non fosse spaventoso, sarebbe davvero divertente. La verità è che il cristianesimo sta diventando un credo del quale non si può proferire liberamente il nome. D’altronde in una nazione dove il sindaco di Londra, Ken Livingstone, si permette di dire che «questa non è più una nazione cristiana perché la gente non va più in chiesa» tutto può succedere. Il caso del signor Green, d’altronde, non è unico.
Quanti ne ricorda nella storia recente?
La scrittrice Lynette Burrows ha ricevuto un avvertimento scritto dalla polizia metropolitana dopo aver scritto che i gay non sono adatti a diventare genitori adottivi. La stessa cosa l’ha detta anche Iqbal Sacranie, ex leader del Muslim Council of Britain, ma in quel caso tutto fu più sfumato: la parola omofobia spaventa la polizia inglese ma islamofobia la terrorizza proprio! Come dimenticare poi Harry Hammond, un vecchio predicatore evangelico, processato per aver appeso un poster che invitava all’abbandono di pratiche come l’omosessualità maschile e femminile e l’immoralità sessuale in genere. Non importa il fatto che per questa battaglia fu pesantemente insultato e anche picchiato, l’unico a finire davanti al giudice fu lui. Poi ci sono Joe e Helen Roberts, una coppia di ottantenni del Lancashire, fermata e interrogata per oltre un’ora dalla polizia per aver chiesto alle autorità comunali di non tenere sullo stesso piano la letteratura cristiana e i testi che parlano di omosessualità negli edifici pubblici. Ci sarebbero altre decine di episodi simili: questo paese è ormai gambe all’aria, completamente sottosopra!
Restiamo in Gran Bretagna: in un articolo sullo Spectator lei ha paventato un “rischio libanese” per la nazione, avanzando l’ipotesi di cellule Hezbollah in sonno pronte ad entrare in azione. Lo pensa ancora?
Nessuno sa se vi siano davvero cellule Hezbollah in sonno in Gran Bretagna, certamente tutti sanno che ci sono promotori del khomeinismo. Ciò che volevo dire con il mio articolo è che l’Iran ed Hezbollah rappresentano una reale minaccia per la Gran Bretagna e per l’Occidente tutto, non solo perché dichiarano di odiarci ma soprattutto perché – e questo è incredibile – una larga parte del mondo occidentale ritiene Hezbollah un legittimo movimento di resistenza e non una minaccia che travalica Israele e va a mettere in pericolo l’intero mondo libero. L’idea che la presenza Onu in Libano possa neutralizzare la minaccia che questi movimenti rappresentano per l’Occidente è assolutamente irrealistica.
Dopo gli arresti del 10 agosto per un possibile attentato con aerei di linea, il settimanale americano New Republic ha provocatoriamente scritto che la più grande minaccia alla sicurezza degli Usa viene proprio dalla Gran Bretagna…
È un’iperbole assurda. L’Iran rappresenta nei fatti la più grande minaccia globale. Comunque sia, è vero – come ho scritto nel mio libro Londonistan – che il livello del fondamentalismo islamico in Gran Bretagna è inversamente proporzionale alla capacità delle nostre autorità di contenerlo e combatterlo. Da questo punto di vista la Gran Bretagna rappresenta davvero l’anello debole nella difesa del mondo libero. Il mio paese continua a produrre ed esportare terrorismo perché continua a non voler affrontare le radici del problema fondamentalista in patria, la radicalizzazione dell’islam nella nostra società prosegue senza sosta anche grazie all’inadeguatezza delle istituzioni. Non per nulla Al Qaeda ha fatto sapere di guardare alla Gran Bretagna come al più grande bacino di reclutamento del mondo. Un quarto dei musulmani britannici ha dichiarato di supportare la scelta dei kamikaze del 7 luglio 2005, la polizia sta controllando migliaia di potenziali estremisti e sono addirittura 24 le inchieste aperte su altrettante possibili trame nel nostro paese. E come risponde il governo a questa emergenza? Imbarcando in tavoli di dialogo membri dei Fratelli Musulmani, nella falsa speranza di poter così controllare e neutralizzare il loro veleno. Una follia.
Se il multiculturalismo è morto, quale pensa che sia il nuovo approccio da utilizzare in un paese dove l’81 per cento degli islamici si sente prima musulmano e poi britannico?
Questo dato è la miglior fotografia del grado di paralisi che la politica malata del multiculturalismo è riuscita a inoculare negli anticorpi delle nostri istituzioni, è il figlio legittimo della sbornia mediatica e politica conosciuta come “diritti delle minoranze”, una vera intimidazione sociale. Io penso che il solo futuro della Gran Bretagna sia quello che passa attraverso la riaffermazione di un’identità nazionale che si basi sulla cultura, la storia, la religione, la legge e la tradizione britannica. Tutte le minoranze devono legarsi e riconoscere questa identità, la stessa che paradossalmente – ma non vogliono ammetterlo – gli garantisce un ampio ombrello di libertà sotto cui professare liberamente e in sicurezza la loro fede. Qualunque essa sia. Ma sia chiaro: quando i valori delle minoranze confliggono con quelli della maggioranza su temi come la libertà di parola o i diritti delle donne, allora non deve esserci mediazione: devono essere spazzati via. Ci deve anche essere una chiara distinzione tra pubblico e privato, tra ambito nazionale e locale, una riaffermazione dei veri valori britannici. Questa è l’unica strada affinché una società possa continuare a ritenersi liberale e svolgere la sua coerente funzione di entità nazionale.
Ritiene Tony Blair e il suo governo responsabili per quanto sta accadendo in Gran Bretagna?
Questa situazione è il risultato di venti anni di negligenza e ignoranza di Stato sul problema del radicalismo islamico in Gran Bretagna, una colpa che ricade in larga misura anche su quegli intellettuali che hanno portato l’assalto ai valori, all’identità e alla cultura del paese. Certamente questo disastro non è cominciato con Tony Blair, ma è comunque vero che l’attuale governo ha una grande colpa, ovvero quella di essere sceso a patti con il fondamentalismo nella speranza di indebolirlo: così facendo, invece, l’ha rinforzato.
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