
Melandri, la Bindi dello Sport
Quando divenne Ministro dei beni culturali, Giovanna Melandri, pensò che il massimo del rischio fosse rappresentato dalla difficile scelta tra gonna e pantaloni per la consegna dei David per il cinema o tra la cena del Gambero Rosso con i migliori cuochi italiani e sei ore di Wagner in lingua originale (senza sottotitoli) alla prima della Scala. Ovviamente (e per questo meriterebbe il voto) preferì la cena del Gambero e si beccò la furia del maestro Muti. Con stupore ha capito presto, però, che la parte più onerosa del suo ufficio riguarda lo sport. E’ una che impara, però, e infatti si è gettata a capofitto nella riforma del Coni. E si è trovata contro i vertici dell’ente e quasi tutte le federazioni sugli atleti eleggibili. Sull’argomento ha scritto una lettera durissima (fate come volete, ma sappiate che io la penso così) provocando un risentito editoriale del direttore della Gazzetta, Cannavò. Secondo il ministro basta aver praticato uno sport, a qualsiasi livello, per un paio d’anni (adesso i suoi consiglieri vogliono salire a otto) per sedere nei consigli. Praticamente chiunque potrebbe farsi eleggere: da Giampiero Galeazzi (ex canottiere) a Natalia Estrada (danza moderna). Nei corridoi del Coni sostengono che uno dei suoi occulti ispiratori sia il Cofferati del calcio, Campana. La verità, forse, è più semplice: al di là delle regole più o meno condivisibili è il vecchio, inossidabile principio statalista a muoverla. Lo sport, come la scuola, come la sanità, sono cose troppo importanti per farle fare a sportivi, insegnanti, genitori, medici. Cioè a noi. Infatti, se ci fate caso, prima di Giovanna Melandri, il ministro dello sport si occupava di tutto, tranne che di sport.
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