Terra di nessuno

Il gioco segreto dei ricordi

Piazza del Duomo, Milano

Articolo tratto dalla rubrica di Marina Corradi nel numero di Tempi di novembre

Milano – All’Arco di Porta Nuova, in una delle ultime mattine tiepide di ottobre, accanto alle mura romane dorate la signora A. si vide passare davanti un gruppo di bambini che uscivano dalla scuola accanto: ridendo, vociando, come fanno le scolaresche appena liberate dai banchi. Le bambine avevano il grembiule bianco e il fiocco blu, i maschi una casacca scura. La signora A., matura milanese solitaria, sorrise di quella boccata d’allegria che riempiva piazza Principessa Clotilde. Poi notò che le bambine portavano le trecce, cosa strana ormai, e che sulle spalle non avevano zaini ma cartelle, come una volta. Nessuno con le scarpe da ginnastica, nessuno col cellulare in mano. Intanto, in un istante la frotta di bambini si era dileguata, come svanita nel nulla. La signora A. capì: ricordi, ancora.

Erano i suoi ricordi, quelli che le erano passati davanti in una folata di voci infantili. Da un po’ di tempo i ricordi di A., infinitamente numerosi nella Milano in cui era stata bambina, le tendevano agguati ad ogni angolo. Le si palesavano davanti così veri, così concreti, che lei impiegava qualche secondo a realizzare che non erano reali. Pareva che si divertissero, quegli sciami di ricordi, a farla cadere nella loro imboscata. Era una cosa che non le era mai successa. Doveva essere un segno dell’età, pensò A., specchiandosi in una vetrina.

Nei giorni successivi la signora passò dai Giardini di via Palestro. Era presto, in giro nessuno. Alla grande fontana tonda con il getto verticale le sembrò di avvertire uno scricchiolio alle spalle, e un rumore di zoccoli. Si voltò di scatto e colse solo un’ombra, che si dileguò. Ma fu certa che quello era il rumore del carretto tirato da un asino, che negli anni Sessanta ancora portava i bambini in giro per i viali, e dopo un largo giro costeggiava lo zoo di via Manin, e ne veniva nelle narici l’acro odore delle bestie prigioniere.

La mattina dopo tornò da quelle parti, sedotta ormai da quel gioco segreto, quando in piazza Cavour, davanti all’ex Palazzo dei giornali, sussultò: parcheggiata in sosta vietata c’era la sua vecchia Mini giallastra, detta Senape, con cui a poco più di vent’anni, all’alba, andava a lavorare per un giornale del pomeriggio allora molto diffuso. Era proprio lei, con la sua leggera ammaccatura sulla portiera sinistra e le ruote non raddrizzate, come di chi parcheggia malamente, perché è di corsa. E A. sempre lo era, alle sei e mezza del mattino, quando morta di sonno arrivava in redazione. Come poteva essere Senape parcheggiata lì? Arrivò un autobus e con la sua sagoma nascose la piccola automobile. Quando fu passato, la Mini non c’era più. Ricordi, scosse la testa A., come parlasse di bambini che si divertono a prenderti in giro.

Una sera invece, in auto, passò dalle parti di Niguarda, dove c’è una piazzetta e una piccola chiesa. Una folla ne stava uscendo, come fosse appena finita Messa. Da dentro risonava l’eco di Tu scendi dalle stelle. Le passò davanti una coppia con un bambino sui sei anni per mano, e due, piccoli, infagottati in tute invernali, molli sulle spalle dei genitori nel sonno, profondamente addormentati. Che belli, si intenerì lei, ma come la giovane madre si voltò verso l’auto la riconobbe: era lei stessa, con suo marito e i bambini, in una lontana notte di Natale. Quel ricordo però era stato doloroso come una lama fine nel cuore, e A. non ebbe più voglia di giocare.

Cominciò a uscire poco. Agli incroci si guardava attorno, guardinga, casomai quei briganti fossero appostati. I vicini la guardavano stupiti, era ancora giovane la signora A, per andar via con la testa. Lei, in realtà, era lucidissima. Sapeva perfettamente che quelle immagini non erano reali. Tuttavia, ormai la tormentavano. Forse volevano dirle che era vecchia, che da quella città se ne doveva andare.

Una mattina che si sentiva serena però A. uscì, e sfidando le sue paure, andò diritta in piazza del Duomo. Nella marea di piccioni che becchettavano sul sagrato incrociò una bambina sui cinque anni, con la treccia, che teneva in pugno dei chicchi di grano e li gettava agli uccelli. Ciao, le disse piano A. La bambina la guardò stupita, come se l’avesse salutata un’estranea. Certo, non puoi riconoscermi, si disse A., restando a osservarla. Ricordi? Fantasmi? A. decise che avrebbe cominciato a frequentarli. Che le venivano su dal cuore, e non c’era da averne paura.

Foto Duomo di Milano da Shutterstock

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