Mani pulite fu un pogrom. La lettera di Sergio Moroni a Napolitano
Sergio Moroni, parlamentare socialista, fu raggiunto da due avvisi di garanzia nell’estate del 1992. Il suo nome finì sui giornali e fu la solita gogna. Si tolse la vita con uno sparo in bocca il 2 settembre dello stesso anno. «Ho letto che era gravemente malato», disse ai giornalisti il procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio entrando nel suo ufficio. Non è vero, gli risposero i cronisti. «Allora – commentò D’Ambrosio – si vede che c’è ancora qualcuno che per la vergogna si uccide».
Qui di seguito pubblichiamo la lettera che Moroni inviò all’allora presidente della Camera dei deputati, Giorgio Napolitano.
Egregio Signor Presidente, ho deciso di indirizzare a Lei alcune brevi considerazioni prima di lasciare il mio seggio in Parlamento compiendo l’atto conclusivo di porre fine alla mia vita. E’ indubbio che stiamo vivendo mesi che segneranno un cambiamento radicale sul modo di essere nel nostro paese, della sua democrazia, delle istituzioni che ne sono l’espressione. Al centro sta la crisi dei partiti (di tutti i partiti) che devono modificare sostanza e natura del loro ruolo. Eppure non è giusto che ciò avvenga attraverso un processo sommario e violento, per cui la ruota della fortuna assegna a singoli il compito delle “decimazioni” in uso presso alcuni eserciti, e per alcuni versi mi pare di ritrovarvi dei collegamenti. Né mi è estranea la convinzione che forze oscure coltivano disegni che nulla hanno a che fare con il rinnovamento e la “pulizia”. Un grande velo di ipocrisia (condivisa da tutti) ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento. C’è una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste regole.
Mi rendo conto che spesso non è facile la distinzione tra quanti hanno accettato di adeguarsi a procedure legalmente scorrette in una logica di partito e quanti invece ne hanno fatto strumento di interessi personali. Rimane comunque la necessità di distinguere, ancora prima sul piano morale che su quello legale. Né mi pare giusto che una vicenda tanto importante e delicata si consumi quotidianamente sulla base di cronache giornalistiche e televisive, a cui è consentito di distruggere immagine e dignità personale di uomini solo riportando dichiarazioni e affermazioni di altri. Mi rendo conto che esiste un diritto d’informazione, ma esistono anche i diritti delle persone e delle loro famiglie. A ciò si aggiunge la propensione allo sciaccallaggio di soggetti politici che, ricercando un utile meschino, dimenticano di essere stati per molti versi protagonisti di un sistema rispetto al quale oggi si ergono a censori. Non credo che questo nostro Paese costruirà il futuro che si merita coltivando un clima da “pogrom” nei confronti della classe politica, i cui limiti sono noti, ma che pure ha fatto dell’Italia uno dei Paesi più liberi dove i cittadini hanno potuto non solo esprimere le proprie idee, ma operare per realizzare positivamente le proprie capacità e competenze.
Io ho iniziato giovanissimo, a solo 17 anni, la mia militanza politica nel Psi. Ricordo ancora con passione tante battaglie politiche e ideali, ma ho commesso un errore accettando il “sistema”, ritenendo che ricevere contributi e sostegni per il partito si giustificasse in un contesto dove questo era prassi comune, ne mi è mai accaduto di chiedere e tanto meno pretendere. Mai e poi mai ho pattuito tangenti, né ho operato direttamente o indirettamente perché procedure amministrative seguissero percorsi impropri e scorretti, che risultassero in contraddizione di “ladro” oggi così diffusa. Non lo accetto, nella serena coscienza di non aver mai personalmente approfittato di una lira. Ma quando la parola è flebile, non resta che il gesto. Mi auguro solo che questo possa contribuire a una riflessione più seria e giusta, a scelte e decisioni di una democrazia matura che deve tutelarsi. Mi auguro soprattutto che possa servire a evitare che altri nelle mie stesse condizioni abbiano a patire le sofferenze morali che ho vissuto in queste settimane, a evitare processi sommari (in piazza o in televisione) che trasformano un’informazione di garanzia in una preventiva sentenza di condanna. Con stima.
Sergio Moroni
Nel corso della commemorazione in aula del collega Moroni, il presidente Napolitano pronunciò queste parole.
Non a caso il collega Moroni si è rivolto al Presidente della Camera come destinatario e come tramite delle sue estreme «brevi considerazioni» (così da lui stesso definite). Egli ha creduto di dover in questo modo sollecitare una riflessione comune, non di parte, sui problemi tormentosamente vissuti dal momento in cui era stato coinvolto nel procedimento avviato dalla procura della Repubblica di Milano. E in effetti noi dobbiamo, come istituzione, misurarci con quei problemi, collocati oggettivamente nel contesto della crisi politica e morale che il paese sta attraversando.
Dobbiamo farlo — abbiamo già cominciato a farlo — mediante iniziative appropriate ed efficaci, volte a rimuovere le cause di una crisi così grave affrontandone concretamente tutti gli aspetti essenziali. Ma potremo nello stesso tempo convenire sulle modalità di un dibattito generale sulla questione morale, in cui si riassume oggi il malessere dell’opinione pubblica nel rapporto con la politica e con le istituzioni. Un dibattito da cui possa uscire il quadro di insieme degli impegni di risanamento e di riforma da perseguire.
Faremo così — io penso — la nostra parte anche come destinatari dell’ultimo messaggio del collega Sergio Moroni. Cogliendo il senso del riconoscimento del proprio errore e della denuncia di comportamenti altrui considerati non giusti, che insieme si ritrovano in quella lettera. Rispettando il corso della giustizia. Rispettando una sconvolgente decisione personale, che appartiene alla sfera più intima, in qualche modo insondabile, della coscienza di un uomo.
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