La fiera dell’ipocrisia intorno a Gheddafi – scaricato come un lebbroso oggi che il popolo si è ribellato e sembra sul punto di sconfiggerlo, onorato e riverito quando padroneggiava la situazione con gli stessi mezzi che usa oggi – non è limitata ai sacri confini patri italiani. I governi stranieri che oggi si affrettano ad approvare sanzioni in sede Onu e deferimenti di Gheddafi alla Corte penale internazionale, e a minacciare no-fly zone o addirittura interventi militari dalla parte degli insorti, sono gli stessi che fino a pochi mesi fa stringevano la mano al colonnello e facilitavano l’ascesa della Libia ai più alti livelli della diplomazia internazionale.
Non dieci o venti anni fa, ma appena nove mesi fa, la Libia di Gheddafi è stata eletta membro del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite con 155 voti a favore su un totale di 192 paesi aventi diritto. Nel 2003, quando della materia all’Onu si occupava un altro organismo di nome Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani, la Libia venne addirittura eletta alla sua presidenza, con 33 voti a favore, 17 astensioni e solo tre contrari (Usa, Canada e Guatemala). Attuale vicepresidente del Consiglio dei Diritti Umani è lo svizzero Jean Ziegler, già premio Gheddafi per i diritti umani nel 2002.
Tale premio, istituito dal colonnello nel 1988, è stato attribuito a molti discoli della politica internazionale e a personaggi controversi, purchè di sicura fede antimperialista e/o antisionista: il leader cubano Fidel Castro, il presidente venezuelano Hugo Chavez, il presidente nicaraguense sandinista Daniel Ortega, il presidente boliviano Evo Morales. Ma anche a personaggi considerati rispettabili e che frequentano senza problemi le cancellerie internazionali, come il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan (che si è dichiarato contrario alle sanzioni contro la Libia perché farebbero “soffrire il popolo”) e addirittura al premio Nobel per la pace Nelson Mandela.
I rapporti fra il primo presidente del Sudafrica multirazziale e la guida della Jamahiriya risalgono ai tempi in cui il primo languiva nelle carceri dell’apartheid e il secondo finanziava e ospitava sul suo territorio l’African national congress (Anc, il partito di Mandela), guardato con sospetto dai paesi occidentali per i suoi rapporti preferenziali con l’Unione Sovietica. Mandela giurò lealtà eterna a Gheddafi in quei giorni, e difatti ebbe modo di sdebitarsi nella seconda metà degli anni Novanta, quando la Libia era isolata a causa delle sanzioni per gli attentati di Lockerbie e del volo UTA. Mandela allora si recò a Tripoli, violando l’embargo, e promise mediando con le autorità britanniche: «Non abbandoneremo mai la Libia».
A proposito degli anglosassoni, oggi molto intransigenti sulla necessità di abbattere definitivamente il regime della Jamahiriya, va ricordato che i più immorali accordi con Gheddafi li hanno fatti proprio loro: prima hanno finto di credere che l’attentato di Lockerbie fosse responsabilità di due agenti isolati dei servizi segreti libici, uno soltanto dei quali è stato condannato da un tribunale “neutrale” dell’Aja e poi consegnato alle autorità scozzesi; quindi, l’anno scorso, i britannici hanno finto di credere che al-Meghrai, l’unico condannato per l’attentato, fosse in fin di vita e lo hannno liberato sotto forma di “scarcerazione umanitaria”.
In realtà il rilascio era motivato esclusivamente dalla necessità di ingraziarsi le autorità libiche per arrivare alla firma di ricchi contratti petroliferi. Nel 2010, nelle stesse ore in cui Gheddafi faceva il suo show a Roma, il segretario di Stato Hillary Clinton, «per conto del presidente Barack Obama», faceva gli auguri al popolo libico per l’anniversario del colpo di Stato del 1° settembre 1969. E anche il New York Times, coscienza critica del mondo politico liberal americano che oggi titola scandalizzato a proposito del “macellaio libico”, un anno fa aveva concesso a Gheddafi ampio spazio nella pagine delle opinioni per un lungo articolo nel quale il colonnello riproponeva la sua soluzione per il conflitto israelo-palestinese: la creazione di un unico Stato tra Israele e Palestina, da chiamare Isratine. E allora avanti così, è la carica dei farisei.