«Mia madre si sente in colpa, allora non si rendeva conto che io avrei avuto tutti questi problemi. Mi ha detto un giorno: se solo l’avessi saputo, non l’avrei mai fatto. Oggi non lo rifarei più». Così la 36enne belga Stephanie Raeymaekers, nata in provetta dall’unione dell’ovulo materno e del seme di uno sconosciuto, confessò a Tempi la sua frustrazione e crisi identitaria. Oggi quella stessa esperienza è stata confermata da un terzo dei bambini intervistati nell’ambito di una ricerca della Cambridge University, presentata alla conferenza annuale ad Helsinki della European Society for Human Reproduction and Embryology.
MADRI SINGLE. Lo studio si è svolto su un campione di 51 madri single che si sono sottoposte alla fecondazione artificiale eterologa in una clinica di Cambridge. Si tratta soprattutto di donne benestanti, che arrivate alla soglia dei 40 anni temono di non riuscire ad avere figli e decidono di produrli in laboratorio tramite la “donazione” di sperma. «Le madri single, senza partner», affermano i ricercatori, «sono il 15 per cento di quelle registrate dalle cliniche della fecondazione artificiale. E anche se i numeri restano piccoli (952 nel 2013, secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Hfea), dal 2006 sono cresciuti del 226 per cento».
PARLANO I FIGLI. Oltre alle donne sono stati intervistati anche i loro figli (dai 4 ai 9 anni, come non era mai avvenuto finora nell’ambito di ricerche simili). Di questi oltre un terzo ha ammesso che vorrebbe cambiare la sua famiglia. Il 27 per cento prova «sentimenti contrastanti» rispetto alla mancanza di una figura maschile paterna, mentre l’8 per cento esprime un giudizio negativo per la privazione che ha subìto. Il 39 per cento invece ha espresso un parere né positivo né negativo.
RICERCATORI. Sophie Zadeh, tra i ricercatori, ha spiegato che «la grande maggioranza non parla della mancanza del padre o del concepimento da donatore. Tuttavia, in alcuni casi, questi bambini sono gli unici nelle loro classi senza un padre a casa» e se «dalle dichiarazioni delle madri è chiaro che molti dei bambini fanno domande sull’assenza del padre», ciò accadrebbe «perché vivono in un mondo in cui la famiglia nucleare è ancora la norma». In realtà, per quanto riguarda l’accoglienza sociale, il 63 per cento dei figli di madri single ha detto di non avere disagi, la restante parte invece ha problemi relazionali, ma non a causa della discriminazione per la situazione familiare. Significa che le difficoltà non possono attribuirsi al contesto sociale.
«PERCHÉ NON HO UN PAPÀ?». Una delle donne intervistate ha chiarito: «Mi ricordo la prima volta che mi ha fatto una domanda, quando aveva circa 3 anni, e stavamo tornando dalla piscina e la sua piccola voce dal fondo dell’auto ha detto: mamma ma perché non ho un papà?». Un’altra madre di due gemelle di 7 anni ha aggiunto: «Non parlano del donatore, ma della figura del padre e dicono: devi uscire e trovare qualcuno che ci faccia da papà. Non parlano del padre biologico perché non hanno fatto il collegamento».
Per Zadeh, «in termini psicologici sembra che i bambini si adattino». Le madri «in maggioranza preferirebbero una vita familiare», anche se i ricercatori leggono il dato per spiegare che quindi «non sorprende che dicano che i loro figli vivono negativamente o abbiano sentimenti contrastanti circa l’assenza paterna».
«CONSEGUENZE SUI BAMBINI». Un membro del Family Education Trust di Londra, Norman Wells, ha sottolineato che «nel loro zelo a voler essere in prima linea rispetto alle innovazioni della nuova tecnologia riproduttiva, la comunità scientifica e le istituzioni politiche hanno dato insufficiente considerazione alle implicazioni e alle conseguenze sui bambini prodotti artificialmente. Molti bambini prodotti senza alcuna connessione con il padre biologico affrontano sfide psicologiche significative. I bambini nati tramite donatore di sperma si chiederanno chi sono e perché sono qui». Esattamente come Raeymaekers, che pur allevata da un padre non biologico, si chiede: «Mi sento come se mancasse un pezzo del puzzle».
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