MAI SOTTOMESSA

Di Lenzi Massimiliano
21 Aprile 2005
«L'ISLAM HA BISOGNO DI FARE AUTOCRITICA», «L'OCCIDENTE NON PUO' RIFUGIARSI IN UNA FALSA TOLLERANZA CHE DICE "E' LA LORO VISIONE DELLE COSE"». PARLA AYAAN HIRSI ALI, LA SCENEGGIATRICE DI "SUBMISSION", IL FILM "PROIBITO" DI THEO VAN GOGH

Una donna accovacciata sul pavimento, la schiena solcata dai segni violenti delle frustate mascherati dalle scritte a inchiostro dei versetti coranici. Una giovane con il volto tumefatto, coperta e scoperta dal velo, lo sguardo puntato verso terra. Sono i fotogrammi di una sottomissione senza uscita. Sono le immagini del film Submission, realizzato dal regista olandese Theo Van Gogh finito sgozzato dall’integralista islamico Mohammed Bouyeri in una strada di Amsterdam il 2 novembre 2004. Una pellicola che mette in scena (sottraendolo al silenzio ed alla paura) il dramma delle donne sotto l’islam. E con loro la storia di chi quel film lo ha sceneggiato, la somala Ayaan Hirsi Ali, amica personale di Theo. Nella pancia di Van Gogh, ormai cadavere, l’assassino fanatico piantò un coltello con un biglietto. C’era scritta una condanna: «Presto la stessa fine toccherà alla Ali».
Da allora la vita di questa 36enne, infibulata a sei anni, profuga in Arabia e poi in Kenya, scampata ad un matrimonio combinato dal padre con un cugino ed approdata in Olanda in cerca di libertà, è diventata a rischio. Vive sotto protezione in un luogo segreto, si sposta con la scorta ma, nonostante tutto, non molla. E continua a mandare avanti la sua battaglia: «Riformare l’islam, toglierlo dal suo oscurantismo». Lo fa con tutti i mezzi, parlando, denunciando, scrivendo. Proprio in questi giorni, per Einaudi, è in uscita il suo ultimo libro: Non sottomessa, un volume che non fa sconti all’integralismo islamico e grida, pagina dopo pagina, la sua voglia di libertà.

cancellato dal cartellone
Lunedì 18 aprile lo ha presentato al pubblico italiano durante la trasmissione “Otto e Mezzo” di Giuliano Ferrara e Ritanna Armeni, su La7. è stata l’occasione per ascoltarla, per scavare nel suo presente gravato dall’ombra del terrore binladiano senza rete, per chiederle della sua impavida scelta di libertà. Partendo da Submission, il film che, dopo l’esecuzione rituale di Van Gogh, è stato cancellato dal cartellone del Festival di Rotterdam in gennaio e, in aprile, dal festival di Locarno. Lo stesso produttore del film Gijs Van Vesterlaken si è detto d’accordo nel ritirare la pellicola visto che dai servizi segreti era arrivato l’ammonimento: «Il film è pericoloso per chiunque vi si avvicini». Cosa ne pensa Hirsi Ali? «è molto difficile – spiega Ayaan – dirlo oggi. C’è da chiedersi se la pellicola proiettata pubblicamente possa produrre nuove vittime. Io ho compreso la scelta del produttore perché proiettandolo in Olanda può mettere a rischio la vita di molte persone». La Ali si ferma un attimo, sospira, poi riprende a parlare del suo rapporto con l’islam. «La mia posizione è di critica della religione di provenienza dove non esiste la possibilità di apostasia e, quindi, neppure di riforma all’insegna della libertà. Quello che nel mondo cristiano è già avvenuto da secoli, nell’islam non esiste. Invece dobbiamo cambiare, smetterla di sgozzare le persone che criticano i valori etici dettati dalla religione musulmana. L’unica via per farlo è l’autocritica, la necessità di modificare la propria cultura ed i propri valori morali. Io, in Olanda, ho fatto esattamente questo. Naturalmente – prosegue la Ali – se si definisce l’islam come civiltà e senso di identità, una parte della mia persona, anche se ho smesso di credere, mantiene comunque un orizzonte culturale di provenienza musulmana. Ma si deve poter essere dei musulmani illuminati». E qui Hirsi tocca il nodo cruciale dell’integralismo islamico. «Se si tratta, invece, di seguire alla lettera le indicazioni del profeta Maometto avremo delle gravi e insormontabili difficoltà a riformare l’islam. Prendiamo, ad esempio, il ruolo e la figura della donna. A cominciare dall’abbigliamento, seguendo alla lettera i dettami maomettani, bisognerebbe comportarsi come le mogli dei profeti. Sottomesse. Una parola che, spesso, non è compresa neppure in Occidente, dagli uomini e dalle donne libere che, troppo legate al multiculturalismo ed al relativismo culturale del “è la loro visione delle cose”, non riescono neppure a comprendere sino in fondo chi, da musulmana, si ribella alla propria religione».

senza un minimo di libertà
«Sono – si rammarica Ayaan – le incomprensioni verso chi si ribella al proprio destino. Quello che sto facendo io significa infatti ribellarsi all’islam. Naturalmente, da individuo, non la faccio contro la mia famiglia (che è musulmana) questa ribellione. Ma contro un sistema, un mondo chiuso alla democrazia. L’ultimo rapporto sui paesi arabi denuncia che ne esistono ben ventidue senza un minimo di libertà. Ecco, in Occidente, i relativisti morali sorvolano su questo. Ed io non posso accettare che il ruolo di donne schiave sia giustificato in nome del multiculturalismo. E credo che questa strategia relativista peggiori i problemi e la possibilità di un’autocritica dell’universo musulmano. Perché, e lo dico alle donne occidentali, quando io sono arrivata in Europa nel 1992, loro erano già libere. Libere di vestirsi a modo loro, libere di scegliersi il marito, libere di lavorare, libere di muoversi. Ma non possono pensare che queste libertà siano scontate e per sempre. Bisogna sempre lottare per mantenerle, non indietreggiare mai altrimenti si rischierebbe di perderle. Un solo esempio, olandese: nella città di Rotterdam ci sono interi quartieri musulmani chiusi dove si riproducono stili di vita integralisti. E se una donna libera e occidentale si trova ad attraversarli non può farlo in minigonna perché verrebbe presa a sputi. Allora, per adeguarsi (e in nome del relativismo culturale con l’idea di rispettare le abitudini più integraliste di questi quartieri) quando devono transitarvi le signore occidentali si coprono. E questo è già un cedimento sul fronte della libertà».

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