«L’unica Chiesa che illumina è quella che brucia. Contribusici!». È la scritta che compare sopra un pacchetto di fiammiferi inserito come opera d’arte all’interno della mostra “Un saber realmente útil”, allestita due settimane fa al Museo nazionale Regina Sofia di Madrid dal collettivo femminista Mujeres públicas. Realizzata con il sostegno dell’Unione Europea, l’esposizione servirebbe «a sostenere il pensiero critico», ha spiegato il direttore del museo Manuel Borja-Villel.
I SANTI «IDIOTI». Oltre alla citata scatola di fiammiferi, fra le “opere” esposte c’è anche un’immagine della Vergine Maria insieme ad alcuni santi con sopra scritto «idioti», e compaiono slogan a favore dell’aborto e la preghiera del Padre nostro rivisitata così: «Padre nostro, concedici il diritto di decidere del nostro corpo e la grazia di non essere né vergini né madri». Borja-Villel, però, è convinto che la mostra rappresenti «un importante catalizzatore per il pensiero e il dibattito pubblico». E la cosa piace anche al ministro dell’Istruzione e della Cultura, José Ignacio Wert, perché «trasforma il museo in un laboratorio».
LA DENUNCIA. La notizia ha suscitato proteste in tutta la Spagna. L’Associazione nazionale degli avvocati cristiani ha denunciato il direttore del Regina Sofia per ingiuria e incitamento all’odio e alla violenza, chiedendo anche la sua sospensione da qualsiasi incarico pubblico; mentre una petizione contro la mostra firmata da 50 mila cittadini chiama in causa il ministero della Cultura, dal quale dipende il museo (che vanta circa 3 milioni di visite all’anno).
LIBERTÀ DI ESPRESSIONE? Si sono invece affrettati a prendere le difese di Borja-Villel, informa El País, il Comitato internazionale dei musei e delle collezioni di arte moderna, la Confederazione internazionale di arte contemporanea e il Consorzio spagnolo della gallerie d’arte, i quali contestano un «tentativo di censura» da parte di «alcuni gruppi religiosi». L’Associazione degli avvocati insiste però che «il museo, come istituzione pubblica, deve rispettare la libertà di espressione degli artisti», ma anche «le credenze e la libertà di opinione delle persone». Come sostenuto dalla stessa Corte europea dei diritti umani: «La libertà di espressione non include tutto e non può incitare alla violenza».
LIBERTA’ A SENSO UNICO? Le parole più dure nei confronti del direttore, comunque, sono quelle contenute in una lettera che secondo El Confindencial alcuni dipendenti del museo – senza firmarla «per paura di ritorsioni», spiegano – avrebbero inviato alle autorità responsabili della struttura. Pur dichiarandosi «per la maggior parte agnostici», gli impiegati del Regina Sofia parlano nella missiva di ideologizzazione dello spazio pubblico e di «indottrinamento». «Siamo di fronte alla difesa, l’elogio, la giustificazione o l’inazione su questioni contrarie alla legge», recita il testo. «Come lavoratori del Museo Regina Sofia, non desideriamo avere a che fare con questo tipo di mostre, che oltre alla loro scarsa qualità artistica, o proprio per questo, nascondono messaggi di odio». Inoltre, criticando il «pensiero unico che si è imposto negli ultimi anni da parte della direzione», i firmatari della lettera domandano provocatoriamente: «Cosa succederebbe se una qualunque opera esposta nel Museo Regina Sofia incitasse a bruciare omosessuali, sinagoghe, moschee, razze diverse dalla nostra o collettivi di femministe? Noi protesteremmo allo stesso modo».