Qualcuno ricordi a Macron che l’aborto non è un diritto, ma un delitto

Di Roberto Colombo
21 Gennaio 2022
Se l’ambiente è meritevole di tutela, come può non esserlo anche il concepito umano? Controcanto all’uscita del presidente francese davanti al Parlamento europeo
Emmanuel Macron al Parlamento europeo
Emmanuel Macron durante l'intervento davanti al Parlamento di Strasburgo all'inizio del semestre francese di presidenza dell'Unione (foto Ansa)

Il giorno successivo alla elezione a presidente del Parlamento europeo della maltese Roberta Matsola, il banchiere politico Emmanuel Macron, capo dell’Eliseo, arringa l’assemblea di Strasburgo con la richiesta di “aggiornare” la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea «per includere la protezione dell’ambiente e il riconoscimento del diritto all’aborto».

Stride non solo il fatto che Macron abbia lanciato questa provocazione proprio con a fianco la neo-eletta presidente Matsola, una donna impegnata in politica che non ha mai accettato (finora) l’aborto come uno strumento per promuovere i diritti femminili e non si è riconosciuta (prima di adesso) nelle strategie per la estensione della copertura giuridica sugli interventi di interruzione volontaria della gravidanza. È la stessa vicenda personale del presidente francese, la sua biografia, che avrebbe suggerito almeno un “bel tacere” sulla questione, se non altro per coerenza interna con la propria storia di educazione e formazione culturale.

Una saggezza dimenticata

Un invito a non accarezzare la corrente del “liberi tutti” di fronte alla vita umana nascente dovrebbe provenirgli dalla professione di famiglia: la madre Françoise Noguès, medico, e il padre Jean-Michel Macron, neurologo e docente alla Université de Picardie Jules Verne di Amiens; il fratello Laurent è un radiologo e la sorella Estelle una nefrologa. Una carriera familiare a servizio della vita umana che raccomanderebbe maggior rispetto verso di essa, soprattutto quando è fragile e indifesa, ancora nel grembo materno.

Anche i suoi studi alla facoltà di Filosofia di Paris X Nanterre, dove diventa, all’ultimo anno, assistente editoriale del filosofo Paul Ricoeur, farebbero supporre una maggiore ponderazione negli appelli alla libertà “incondizionata” – tutto ciò che si può fare è, per ciò stesso, ammissibile e insindacabile – quale fondamento dei pretesi nuovi diritti umani di fronte alla vita stessa del loro soggetto. In una intervista di Renato Parascandolo per Rai Educational, lo stesso Ricoeur afferma: «I tecnici dicono che tutto quello che si può fare è permesso, dato che lo si può fare. No! Ci sono delle cose che non si possono fare. Non tutto è permesso solo perché tutto è possibile. Come trovare il limite, come limitarsi in ciò che si può fare, se non praticando la phronesis?». Una saggezza cui il maestro Ricoeur amava riferirsi e che il “discepolo” Macron sembra avere dimenticato.

«Un male assoluto»

Ma è, anzitutto, l’educazione cattolica ricevuta presso il Lycée de la Providence di Amiens, scuola dei gesuiti, che avrebbe dovuto tenere lontano il presidente francese da una sponsorizzazione della tesi più radicale della ideologia abortista, quella dell’aborto come “diritto originale della donna”, diritto ritenuto fondamentale a prescindere dalla vita del figlio che sta sviluppandosi in lei.

Ed è proprio il Papa gesuita Jorge Mario Bergoglio, con le sue parole, a ricordare all’ex allievo dei gesuiti Macron che l’aborto non è un diritto, ma un delitto.

«L’aborto non è un “male minore”. È un crimine. È fare fuori uno per salvare un altro. È quello che fa la mafia. È un crimine, è un male assoluto. […] È un male in sé stesso, ma non è un male religioso, all’inizio, no, è un male umano. Ed evidentemente, siccome è un male umano – come ogni uccisione – è condannato» anche dalla Chiesa (papa Francesco, 17 febbraio 2016). «L’aborto è più di un problema, l’aborto è un omicidio. […] Senza mezze parole: chi fa un aborto, uccide. […] Questa vita umana va rispettata. Questo principio è così chiaro, e a chi non può capirlo io farei due domande: “È giusto uccidere una vita umana per risolvere un problema?”. Scientificamente è una vita umana. Seconda domanda: “È giusto affittare un sicario per risolvere un problema?”» (15 settembre 2021).

Lo stesso Concilio Vaticano II ha condannato con molta severità l’aborto, definendolo “abominevole delitto”:

«La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura: l’aborto o l’infanticidio sono abominevoli delitti» (Gaudium et spes, n. 51).

San Giovanni Paolo II, nell’enciclica Evangelium vitae (1995) ricorda che

«nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa» (n. 62).

Benedetto XVI è tornato, a più riprese, sul tema dell’aborto, affermando esplicitamente che «non può essere un diritto umano» (7 settembre 2007) e rimane sempre «una grave ingiustizia» (5 aprile 2008).

«A trent’anni da quando in Italia venne legalizzato l’aborto, come conseguenza ne è derivato un minor rispetto per la stessa persona umana, valore questo che sta alla base di ogni civile convivenza, al di là della fede che si professa» (12 maggio 2008).

L’ambiente sì e la vita no?

La vita dell’uomo, sin dal suo concepimento e fino alla morte, non è solo un bene della persona, ma anche un bene della società, e – come tale – deve essere tutelata e promossa, sempre. Sorprende e preoccupa che Macron abbia accostato l’aborto alla “protezione dell’ambiente”, collocando il primo sullo stesso piano giuridico della seconda nella richiesta di integrazione della Carta dei diritti fondamentali. Se l’ambiente è meritevole di tutela (un’affermazione ragionevolissima), come non ritenere a fortiori che anche il concepito umano lo sia? Se l’Europa decide di proteggere l’ambiente, la “casa comune” dei cittadini, dal suo degrado e di promuoverne la “salute” per il bene comune, come potrebbe non proteggere l’embrione e il feto umano – l’uomo all’inizio della sua esistenza – promuovendo la sua vita come il bene che è a fondamento di ogni altro bene di tutti e di ciascuno dei cittadini?

Non c’è libertà della donna e dell’uomo sulla terra senza la loro vita: il soggetto di ogni atto di libertà è qualcuno che vive, che è nato perché la libertà di un altro soggetto ha detto “sì” alla sua vita. Contrapporre la libertà della gestante alla vita di colui che è gestato è inconcepibile: non è una strada percorribile per la giusta e doverosa promozione della vita e della dignità della donna in Europa e nel mondo. Se non si sostengono e difendono i diritti fondamentali di tutti, anche i diritti di alcuni o di molti cadono, perdono forza e diventano solo un “flatus vocis”.

Con le unghie e con i denti

La sorpresa per l’esternazione del capo dell’Eliseo dinnanzi al Parlamento europeo, in realtà, non dovrebbe essere tale. L’affermazione ha, infatti, un retroterra culturale francese ed europeo: l’oblio delle radici religiose del nostro continente. Lo aveva già messo in luce, con limpida incisività, san Giovanni Paolo II.

«Nel ricercare le radici più profonde della lotta tra la “cultura della vita” e la “cultura della morte”, non ci si può fermare all’idea perversa di libertà sopra ricordata. Occorre giungere al cuore del dramma vissuto dall’uomo contemporaneo: l’eclissi del senso di Dio e dell’uomo, tipica del contesto sociale e culturale dominato dal secolarismo, che coi suoi tentacoli pervasivi non manca talvolta di mettere alla prova le stesse comunità cristiane. Chi si lascia contagiare da questa atmosfera, entra facilmente nel vortice di un terribile circolo vizioso: smarrendo il senso di Dio, si tende a smarrire anche il senso dell’uomo, della sua dignità e della sua vita». (Evangelium vitae, n. 21).

A ogni donna e uomo che coltiva l’urgenza, l’irriducibilità del proprio senso religioso e di quello della storia ebraico-cristiana dell’Europa, il compito di ricostruire lo spazio dell’autentica libertà di tutti dove la vita di ognuno possa venire accolta, protetta e promossa. Uno spazio da difendere con le unghie e con i denti, dentro e fuori i parlamenti e i palazzi di governo, per il bene nostro e dei nostri figli. Ogni silenzio pavido è una responsabilità cui veniamo meno, un’abdicazione al nostro essere cittadini italiani ed europei.

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