È partito il processo alla strega Metsola, donna ma colpevole di debolezze prolife
Si chiama Roberta Metsola, ma sembra sia stato eletto Mario Adinolfi. Almeno a leggere tutta quella sbirraglia progressista che strepita isterica sull’elezione della neopresidente dell’Europarlamento: antiabortista, amica della destra italiana, eletta col sostegno dei sovranisti, evasiva in tema di immigrazione, antiabortista, non è degna di succedere a Sassoli, conservatrice, piace a Salvini, Meloni, Polonia e Ungheria, l’ha salutata Berlusconi.
E ancora: antiabortista (l’abbiamo già detto?), sposterà il parlamento a destra, l’ultradestra si fa establishment, è di Malta dove l’aborto è ancora illegale, è la prova che non basta che il prossimo presidente della Repubblica sia una donna qualunque ma una donna di valore, «il problema non è dire “voglio una donna” ma una donna competente: oggi al Parlamento europeo hanno eletto una donna antiabortista, anti unioni civili, antigay, contro gli immigrati».
Metsola manda ai matti gli eurointegralisti
A parte nascere a Malta («uno stato non laico che solo nel 2011 ha sancito il diritto al divorzio», copy il tollerante Tpi), e votare contro il rapporto Tarabella del 2015 che prevede per le donne il «pronto accesso all’aborto» e il rapporto Matic – che definisce l’aborto un «diritto umano» e chiama l’obiezione di coscienza «negazione all’assistenza medica» -, che ha fatto la 43enne eurodeputata del Ppe Roberta Metsola per meritarsi questa pacatissima reazione della stampa eurointegralista, partiti di sinistra, analisti di Twitter, femministe e radicali (sì, l’ultimo virgolettato era di Emma Bonino)?
Metsola – di cui Linkiesta riassumeva già a novembre una delle «carriere più fulgide al Parlamento europeo» – non somiglia affatto alla donna oggetto della grande indignazione a strascico di questi giorni. Competente lo è, il suo nome figura quale consulente, membro, coordinatore, relatore di intergruppi, commissioni e fascicoli più significativi d’Europa (competente e sgamata – sottendono non troppo velatamente i giornali ricordando la sua presenza nella commissione d’inchiesta sui Panama Papers, scandalo che ha visto coinvolto il marito, il finlandese Ukko, oggi direttore generale della sezione europea di Clia, l’associazione internazionale delle linee da crociera).
Non proprio Orban con la gonna
Eppure sulla bilancia sembra pesare poco il suo impegno parlamentare in battaglie per la parità, i diritti della comunità Lgbt, il piano per la migrazione della Commissione europea (dal ruolo di relatrice ombra per il Ppe sulla “Tabella di marcia dell’Ue contro l’omofobia e la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”, approvata nel 2014 e alla base di molte recenti leggi antidiscriminazione, a quello di portavoce di una relazione non vincolante su la crisi migratoria europea del 2016).
Così come sembrano pesare poco le risposte che ha dato – non esattamente dichiarazioni da Orban con la gonna ma nemmeno da star del Family Day – alla sua prima conferenza stampa da presidente: «Le mie posizioni sull’aborto saranno quelle del Parlamento europeo che ora rappresento. Le promuoverò all’interno e all’esterno di questa Camera». I voti del passato «facevano riferimento a posizioni di carattere nazionale. Io non voterò più su temi come l’aborto», ha sottolineato la terribile antiabortista ribadendo che il parlamento Ue «ha sempre detto che voleva che questi diritti dovessero essere meglio protetti. Questa è la posizione dell’aula, e io mi impegno nei confronti di tutti riguardo». E ancora: «Questo Parlamento dirà di no a coloro che minacciano la democrazia, lo stato di diritto, la libertà, i diritti fondamentali, a chi prende di mira le donne e nega i diritti delle persone Lgbt».
Per Macron è sempre l’ora dell’aborto
Alla faccia del prolifeismo spinto, della diplomazia e della donna indegna di succedere al progressista David Sassoli. «Questa sua promessa – “io non voterò più sui temi dell’aborto e le mie posizioni saranno quelle del Parlamento che ora rappresento – immagino rasserenerà le tante donne impegnate sui nostri e suoi diritti, mai sicuri, sempre in pericolo. È così che si arriva ai vertici della democrazia, mantenendo i propri principi ma adeguandosi a quelli della maggioranza, anche opposti ai suoi», è il bislacco ragionamento di Natalia Aspesi, autrice di una lettera appello alla neopresidente su Repubblica, «lei ha onestamente chiarito la sua posizione, piuttosto ambigua però».
Il fideismo abortista, che rasenta il fanatismo religioso in un’Europa che tra risoluzioni e proposte di risoluzioni è riuscita ad approfittare anche dell’emergenza Covid per arrogarsi competenze sulle interruzioni di gravidanza, è tale che all’indomani dell’elezione di Metsola, Macron ha pensato fosse un buon giorno per «aggiornare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea per riconoscere in maniera più esplicita il diritto all’aborto e la protezione dell’ambiente». Difficile fare di più di quanto è già stato fatto per chiarire che l’Europa considera un valore fondamentale negare il diritto alla vita di un nascituro, tuttavia ora c’è Metsola, c’è una antiabortista che eredita lo scranno che fu della «grande Simone Veil, che riuscì in Francia a far depenalizzare l’aborto» (è il paragone più scomodato da Aspesi come da giornaliste ben più isteriche fino al partito delle fragoline98 dei social).
Simone Veil o Rocco Buttiglione
Il fatto che Simone Veil non abbia mai parlato di aborto come diritto fondamentale bensì come «eccezione per casi senza speranza», «fallimento», «dramma» (ma sulla strumentalizzazione di Veil da parte di Macron ed eurointegralisti dell’aborto torneremo), ha poca importanza: alternative al tic di chi grida “donne al potere” avendo in mente solo e soltanto un certo tipo di donna, cioè di sinistra e abortista, o quello di chi, raggiunto il “potere”, sa che dovrà fare due fusa al mainstream, perché ciò che pensa non sia indice di oscurantismo, non ce ne sono. A meno che Metsola non voglia fare la fine di Rocco Buttiglione e conquistare, oltre a quelli di terza e più giovane presidente dell’europarlamento, il titolo di prima donna oggetto di fatwa del Parlamento europeo. Così laico e democratico da riservare un trattamento di intolleranza di tutto rispetto (chiamato, oggi come allora, il processo alla strega cattolica) a chi ancora è reo di avere opinioni diverse dalla maggioranza.
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