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Ma quale Cura Italia, «serve una cura da cavallo o sarà una catastrofe»

La fase 2 costerà altri 10 miliardi di fatturato a migliaia di Pmi pronte a riaprire in sicurezza. «Un altro mese di chiusura e chiuderanno per sempre» spiega Painini (Confesercenti)

Caterina Giojelli
28/04/2020 - 4:00
Economia
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Diciamolo subito, la fase 2 costerà altri 10 miliardi di fatturato alle imprese. Per lo meno quelle costrette a un prolungamento del lockdown fino a giugno, che già si stavano già preparando a implementare al dettaglio tutti i protocolli di sicurezza per riprendere gradualmente il lavoro. E che stanno ancora aspettando di fruire delle misure di sostegno di marzo, dal bonus all’accesso al credito agevolato. «Dire che siamo in alto mare è un eufemismo. Prendiamo atto che non c’è alcuna logica a governo delle decisioni prese sulla riapertura, né capacità di immaginare un futuro prossimo o concreto: che senso ha richiamare il principio sacrosanto della responsabilità sanitaria quando lo stesso principio viene accantonato davanti alla disperazione delle imprese? La cura non funziona».

“UN ALTRO MESE DI CHIUSURA SIGNIFICA CHIUDERE PER SEMPRE”

Nessuno vuole portare a spasso il virus, spiega a tempi.it Andrea Painini, presidente Confesercenti Milano, nessuno, chiedendo maggiore “libertà”, pensa di esserne immune o che non dovrà fare i conti con una profonda rivoluzione dei consumi e approccio agli acquisti una volta rialzate le serrande, «ma sia chiaro che un altro mese di chiusura per molte attività commerciali, bar, ristoranti e servizi alla persona significherà chiudere per sempre». Eppure protocolli e intese a tutti i livelli erano già stati discussi e «un corposo report che illustrava come avrebbe inteso riaprire e autogestirsi ogni categoria nel pieno rispetto delle misure di sicurezza e distanziamento sociale lo abbiamo già recapitato alla task force guidata da Vittorio Colao». Il risultato sono state le parole del premier Conte nel corso dell’ennesima diretta serale, tutta sommi capi e docce fredde per le pmi: «Spiegatemi che senso ha aprire i mercati scoperti ma costringere alla serrata migliaia di botteghe dedicate alla cura personale, parrucchieri o estetiste, che facilmente possono lavorare con tutti i dispositivi di sicurezza, un cliente per volta su appuntamento e sanificare i locali esattamente come qualsiasi altra attività a cui è stato concesso di ripartire a maggio». 

IL CAPPIO DELLA CRIF

L’esempio calza: dietro a quelli che in fase 1 sono già stati bollati come “acquisti non essenziali” ci sono le facce, i volti e le famiglie di imprenditori che rischiano di non riaprire neanche a giugno. Confesercenti, che ha avviato interlocuzioni a tutti i livelli, associa 350 mila realtà nazionali, 18 mila in Lombardia, grandi hotel e franchising ma anche commercio di prossimità, negozi sotto casa, «dal salumiere al bottegaio al chiosco di fiori dove l’attività imprenditoriale coincide con l’attività di famiglia, e il titolare dell’impresa è un cittadino che vivendo esclusivamente di un’economia di cassetto non solo ha visto azzerarsi gli incassi, ma deve far fronte a oneri e scadenze. Spesso poi l’azienda coincide con la persona, e se la persona – le sto raccontando storie vere dei nostri associati – è stata in passato segnalata nel registro della Crif (centrale rischi finanziaria) perché ha pagato in ritardo le rate di un divano, questa vecchia segnalazione è sufficiente perché la banca neghi il famoso finanziamento fino a 25 mila euro con fondi garantiti dallo Stato. Non è pensabile rilanciare l’economia a suon di bonus o proclami, la verità è che si stanno lasciando le famiglie sul lastrico». 

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SOLIDARIETÀ REALE E FINANZIAMENTI PLATONICI

Qualche vittoria è stata riportata: le agenzie di intermediazione immobiliare (parte della filiera dell’edilizia e “cugini” degli assicuratori, agenzie che nelle prime tre settimane di lockdown hanno visto sospendere e in parte annullare oltre 20 mila atti di compravendita di immobili), potranno riprendere il 4 maggio insieme alle attività manifatturiere, di costruzione e commercio all’ingrosso, e l’interlocuzione avviata a livello nazionale e regionale ora si sposterà sul comunale e sovracomunale. «Facciamo presente che nessuno è rimasto con le mani in mano: nonostante le innumerevoli indicazioni contraddittorie provenienti da Stato, territorio, prefetture, sono innumerevoli i gesti di solidarietà delle imprese italiane, che fin dall’inizio dell’emergenza hanno cercato di darsi da fare. Pensiamo agli albergatori che hanno ospitato gratuitamente i medici, ai panificatori che hanno consegnato le colombe negli ospedali, ai commercianti che hanno riconvertito la loro produzione primaverile nella realizzazione di mascherine. O agli artisti di strada che hanno creato una vera e propria rete solidale per sostenersi economicamente a vicenda. Ora questo mondo vive nella totale incertezza, in tutte le stanze risuona il verbo del “finanziamento a fondo perduto” ma di verbo si tratta e basta: ad oggi, con le modalità previste dal Cura Italia, è impensabile gettare questo mondo nell’ulteriore indebitamento ed è evidente che posticipare i tributi locali non è sufficiente. Qui serve una cura da cavallo».

IL MODELLO “DIMENSIONALE” TEDESCO

Lo stop (nonostante i bonus) è già costato agli autonomi 1,8 miliardi di euro di reddito a cui si aggiunge il reddito perso dai dipendenti in cassa integrazione. Confesercenti ha sempre spinto per il “modello tedesco”, ovvero dimensionale: in Germania si è prevista la riapertura delle attività commerciali con superfici inferiori agli 800 metri quadrati, che oltre a garantire proprio per la minore metratura un minor rischio di assembramento e una più facile sanificazione degli ambienti, grazie alla “prossimità” ai consumatori avrebbero incentivato la riduzione degli spostamenti. Del resto i negozi di vicinato rimasti aperti in fase 1 (forni, edicole, riparatori, tabaccherie e poi librerie e negozi per bambini) hanno dimostrato senso della responsabilità e rispetto delle regole nonché un aiuto a ricreare senso di comunità che in molti quartieri delle grandi città era andato perduto. 

SOLO LA FIDUCIA SALVA DAL DISASTRO

Nel “modello Italia” invece i soldi della Cig non li ha visti ancora nessuno, i commercianti dovranno aspettare il 18 maggio, bar, ristoranti e servizi alla persona i primi di giugno. Nessuno ha inoltre la minima idea di cosa accadrà al comparto turistico e, racconta Painini, molti albergatori si sono messi l’animo in pace, «certi adeguamenti sono così costosi e invasivi che solo un pazzo potrebbe avere interesse a riaprire una struttura prima che venga varata una manovra economica seria. Ma chi è disposto a mettersi in gioco c’è, la possibilità delle vendite d’asporto è positiva ma ristoranti, bar e servizi alla persona possono organizzarsi in totale sicurezza per riaprire prima. Chiedono solo di essere messi nelle condizioni di potere affrontare i costi di adeguamento e sanificazione, quello che sarà reinventarsi l’esperienza del cliente spetterà poi a loro. Parliamoci chiaro: chi andrebbe ora a cenare in un ristorante circondato dal plexiglass e col clima teso e il terrore dell’altro che ci stanno mettendo addosso? Nessuno. Ma per ricostruire questa esperienza e fiducia servono le imprese, serve chi sa fare questo mestiere. Penso ai bar ma anche a tutto il settore dell’intrattenimento e della cultura. Non rimetteremo in moto un paese senza dar loro fiducia. Ognuno faccia la sua parte. Quella del governo ora è trovare leve economiche virtuose».

Foto Ansa

Tags: bonusconfesercentiCoronaviruscura italiafinanziamentiripresa
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