«La grande crisi dell’auto», per dirla con un titolo apparso il 3 gennaio sul Corriere della Sera, esiste solo sui giornali e forse, anzi, non esiste proprio. Già, perché, quando leggiamo della «grande crisi che affonda soprattutto l’auto» in Italia (1,4 milioni di immatricolazioni nel 2012, pari al 20 per cento in meno del 2011, destinate a calare a 1,3 a fine 2013) come nel resto d’Europa (12,5 milioni di vetture immatricolate, uno in meno dell’anno precedente), bisogna capire cosa si intende. Di certo non si sta parlando dell’andamento produttivo e commerciale delle case automobilistiche europee, che in Cina, Russia, India e America, spostano le sedi produttive e vendono tutti i veicoli (e forse anche di più di quelli) che non riescono a piazzare nei paesi dell’asfittica, da un punto di vista economico, Eurozona. La «grande crisi dell’auto» è infatti in realtà una crisi dell’economia locale, dei consumi delle famiglie italiane ed europee, che calano perché hanno meno soldi di un tempo da spendere. E non è (soltanto) colpa delle politiche di austerity dei governi o del costo elevato del carburante – che pure gravano ulteriormente sui portafogli della gente – se le vendite dei nostri concessionari sono precipitate ai livelli di dieci o venti anni fa. Si tratta, piuttosto, di un cambiamento nel mercato di cui le case produttrici sembrano ormai avere preso atto.
I NUOVI MERCATI. Il mercato dell’auto americano, tanto per fare un esempio, ha chiuso il 2012 con 14,5 milioni di auto immatricolate in crescita del 13 per cento e ai massimi dal 2007, ovvero da prima della crisi finanziaria. Il Financial Times, invece, ha previsto, per il 2013, il sorpasso della Cina sul Vecchio Continente (19,6 milioni di vetture prodotte contro 18,3; nel 2012 i livelli si sono attestati rispettivamente a 17,8 milioni e 18,9). Anche in Brasile, Russia e India le vendite sono in crescita. Mentre in Germania (-2,9 per cento di immatricolazioni ferme a 3 milioni), Francia (1,9 milioni, pari al 13 per cento in meno del 2011) e Italia il calo si è verificato come da copione.
PRODURRE ALL’ESTERO. La Vda, l’Associazione dei costruttori tedeschi, ha previsto che il 2013 sarà positivo per le case automobilistiche tedesche e negativo per quelle francesi e italiane, ancora troppo dipendenti dalle vendite nell’Europa occidentale. Saranno Audi, Bmw, Daimler e Volkswagen, pertanto, a spartirsi la fetta maggiore dell’incremento atteso nelle immatricolazioni globali del 4 per cento circa, pari a 68 milioni di auto in più vendute nel 2013. Ed è per questo motivo che è stata da queste avviata la costruzione di nuovi stabilimenti in Messico (Audi), Stati Uniti (Volkswagen e Daimler), Brasile (Bmw), Russia e Cina (sempre Volkswagen). Non è un caso che proprio Volkswagen ha chiuso i primi 9 mesi del 2012 a 4,2 milioni di vendite (+10 per cento), con ottime performance in Asia, Sud America e Stati Uniti. Anche Fiat, negli Stati uniti, ha venduto quasi 50 mila Cinquecento; l’anno prima erano state 19 mila.
LE STRATEGIE DEL FUTURO. Niente macchina elettrica o ad idrogeno, dunque. E nemmeno progetti di futuristiche mini auto low cost. Si tratta di prodotti, questi, che possono puntare al massimo a nicchie di mercato. Per superare la crisi economica e dei consumi in Europa la direzione, invece, è già tracciata: occorre puntare forte sui nuovi mercati e insistere nella ricerca e progettazione, nell’attesa che anche nel Vecchio Continente qualcosa si sblocchi e i consumatori possano tornare a comprare. In questo senso, in Germania sicuramente, le case automobilistiche hanno tutte già pronte progetti di innovative vetture “Euro 8” ed “Euro 9”. Se non hanno, addirittura, cominciato a spingersi ancora più in là. Segretissimi progetti, intrapresi per tempo, ma da svelare al pubblico con molta calma, di modo anche da poter godere, nel tempo e per fasi, di nuove tranche di incentivi da non bruciare tutti subito.