Robertina ha tre anni e per niente al mondo perderebbe una lezione di danza. Quando la maestra le ha annunciato che avrebbe chiesto alle bambine un esercizio non alla portata della sua sedia a rotelle, cioè camminare dritta con le braccia spalancate, lei ha risposto che l’avrebbe fatto ugualmente. «Ed eccola lì, concentratissima a spingere le ruote con i gomiti e al tempo stesso stare con le braccia spalancate. La maestra si è rivolta a me spiegandomi che non c’era verso, che Robertina faceva sempre quello che si metteva in testa di fare», racconta a tempi.it Aldo Soligno, fotografo di un progetto speciale. Si chiama Rare lives: il significato di vivere una vita rara, lanciato da Uniamo, la federazione italiana per le malattie rare, per la giornata nazionale di sensibilizzazione che si celebrerà il 28 febbraio.
«COME FANNO A VIVERE?». Aldo Soligno si era già occupato di reportage umanitari per l’agenzia fotografica Echo Photo Agency, dove lavora. Discutendo diversi progetti, è saltata fuori l’idea di raccontare con le immagini il piccolo spaccato di società rappresentato da chi ha una patologia rara. Per questo Aldo è partito per un viaggio che ha toccato varie regioni d’Italia, durante il quale ha conosciuto sei famiglie diverse, dopo essere stato messo in contatto con loro da Uniamo. «Quando ho cominciato a incontrare queste persone, le guardavo chiedendomi come facessero a vivere così tranquillamente la loro vita, sembravano sereni. Poi ho iniziato a notare che era tempestata di piccolissimi escamotage, conquistati con chissà quanti tentativi. Come quello che mi ha raccontato Giovanna, affetta da acondroplasia (nanismo), che ha trovato quindici anni fa in una bancarella di un mercatino altoatesino un cucchiaio, lungo mezzo metro. Le serve da uncino per prendere tutto quello che non è alla sua altezza, non se ne separa mai. Poi c’è Valeria, che fa shopping con gli occhi di sua madre, perché si stancherebbe troppo a farlo di persona. “Mia mamma va in negozio, fotografa tutto quello che vede e me lo manda sul cellulare, e poi io scelgo. Faccio shopping on line attraverso la mamma”, mi ha raccontato, come se fosse la cosa più naturale del mondo».
IN GIRO PER L’EUROPA. Aldo ha passato una settimana, giorno e notte, con ogni famiglia incontrata. Da questa esperienza è nato un reportage molto toccante, pubblicato dal Venerdì di Repubblica. Poi il progetto si è allargato e Aldo ha fatto il giro dell’Europa, con il sostegno di Genzyme, società del gruppo farmaceutico francese Sanofi, focalizzata su terapie innovative per pazienti affetti da patologie rare e sclerosi multipla. Il progetto durato sei mesi ha coinvolto le famiglie di sei Stati europei e, se verranno raccolti i fondi necessari con il sistema del crowdfounding, ne usciranno anche un libro e una mostra.
«Lo scopo era quello di raccontare la differenza di vita tra un Paese e l’altro – continua il fotografo – e la differenza mi è apparsa evidente in tutta la sua brutalità. Ho incontrato due persone affette dalla Malattia di Fabry, che procura diverse problematiche al fisico. La prima era una ragazza olandese, che si sottoponeva a un ciclo di cure ogni settimana, per fermare il decorso della malattia. Le cure venivano sostentate dallo Stato e lei conduceva una vita normale. Stessa malattia ma Paese diverso, la Polonia: la vita del professore che ho incontrato era di tutt’altro genere. Nella sua nazione la Malattia di Fabry non è riconosciuta come invalidante, pertanto non riceve nessun aiuto. E si chiede ogni giorno per quanto potrà andare avanti».
FAMIGLIE SPECIALI. Le storie di questi malati non sarebbero le stesse senza le famiglie che hanno alle spalle. Il papà di Robertina non è un ingegnere, non è un medico, eppure è riuscito a costruire una carrozzina di ultima generazione, leggera e comoda, per la figlia affetta da Sma1, una malattia neurodegenerativa. La carrozzina è talmente bella che ne hanno richiesto un prototipo all’università di Pisa per replicarlo. Il papà ha cambiato la sua vita per fare stare meglio la figlia, fa i turni di notte per guadagnare qualcosa di più e quando smonta al mattino va con qualche collega a costruire una casa in campagna, quella in cui si trasferirà a breve con la famiglia. «Ha visto che sua figlia in piscina rinasce e vuole a tutti i costi costruirgliene una, se questo può renderla felice. Una volta stavamo parlando e si è addormentato per un attimo, di botto, per la stanchezza. Si è scusato tantissimo, ma cosa puoi dire a un papà così?».
Non solo genitori che aiutano figli malati, ma anche malati che diventano genitori. Come la ragazza di 25 anni di Lisbona, affetta da morbo di Pompe, che voleva diventare madre, prima che la malattia avesse la meglio su di lei: «Le ho fatto una foto mentre alza sua figlia, di pochi mesi. Mi ha raccontato che quella era la sua più grande vittoria, perché in breve tempo non avrebbe più avuto la forza per farlo. I medici le avevano assolutamente sconsigliato di avere figli, perché la possibilità di averli malati del suo stesso male era molto alta. Ma lei li ha sfidati, rifiutando anche i test di diagnosi prenatale, dicendo che l’avrebbe accettata così. La bambina è nata sana».
Credit Photo – Aldo Soligno/Echo