
Ma che stregoneria è questa?
La data del 21 luglio 2007 viene scritta dagli inglesi come 07/07/21: per chi crede alla magia dei numeri, difficilmente si potrebbe dare una data più fausta: tre volte il sette, simbolo della perfezione dell’universo, l’ultima volta moltiplicato di nuovo per tre, altro numero perfetto. Ed è la data di uscita del settimo e ultimo volume della saga di Harry Potter, uno dei più clamorosi successi librari di tutti i tempi, oltre un milione e mezzo di copie già prenotate solo su Amazon. Capolavoro o bufala? Remake moderno della grande tradizione fantastica, il piccolo eroe buono e fragile chiamato a sfidare le potenze oscure del male? O ambiguo elogio della magia, che sotto spoglie innocenti nasconde un equivoco apprezzamento per forze sotterranee e diaboliche, come ha sostenuto a suo tempo uno che se ne intende, don Gabriele Amorth, esorcista capo della diocesi di Roma? Perfino il Papa venne tirato in mezzo alla disputa, per un biglietto scritto quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede in cui elogiava l’opera di una studiosa tedesca molto critica col maghetto. Già, ma lui aveva letto solo la stroncatura, ribattono gli estimatori, mica l’originale. In attesa di scoprire come si concluderà l’epopea – qualche protagonista morirà, si dice; ma l’autrice è maestra nel seminare false piste per stimolare l’attesa – Tempi ha raccolto il parere di qualche autorevole lettore “babbano” (così vengono chiamati nella saga tutti coloro che non sono maghi e streghe).
Maneggiare con cura
«Un importante scrittore come Michael O’Brian – è l’autore del recente Il nemico – ha chiarito perfettamente il problema dell’immaginario simbolico nella letteratura con una sorta di sillogismo: “se corrompiamo i simboli” ha detto “corrompiamo i concetti; se corrompiamo i concetti, corrompiamo la conoscenza; se corrompiamo la conoscenza, corrompiamo la coscienza; se corrompiamo la coscienza, corrompiamo le azioni”». Armato di questo criterio, Edoardo Rialti, esperto di fantasy, studioso di Tolkien e di Lewis – di quest’ultimo ha curato le raccolte Prima che faccia notte e Come un fulmine a ciel sereno – si lancia in una appassionata disamina dei rischi della saga di Harry Potter. «Da sempre nella letteratura fantastica il protagonista delle grandi storie è un ragazzo normale che vive un’avventura straordinaria. In questo contesto il mago e la magia hanno due connotazioni profondamente diverse. Da una parte la magia è, soprattutto e potentemente, l’opera del male: i maghi, le streghe in virtù di una potente conoscenza violentano la realtà, fanno sì che le cose non siano come dovrebbero essere. Dall’altro ci sono i maghi buoni, le fate, le armi incantate che sostengono il protagonista nel suo difficile cammino per sconfiggere il male. Ma questi sono immagini, simboli, della grazia: un dono gratuito, più grande delle capacità umane, dato all’uomo per il cammino doloroso e difficoltoso all’interno della realtà. Il male cospira contro ciò che c’è di bello nella realtà, ma l’uomo è sostenuto e accompagnato da qualcuno di più antico, più saggio, più potente di lui. Pensiamo a Merlino: è il consigliere di re Artù, colui che gli permette di trovare Excalibur; ma a impugnare la spada è la mano del ragazzo, considerato per anni un garzone di stalla. Questa traiettoria, che è presente in tutta la letteratura occidentale, trova il suo perfetto compimento in quel capolavoro della tradizione fiabesca e dell’educazione della tradizione cristiana che è Il Signore degli anelli. Qui il protagonista non è il saggio Gandalf, che pure è il perno della grande alleanza per proteggere il mondo dagli attacchi del Signore delle tenebre; non è nemmeno Aragorn, il re valoroso e gentile; il protagonista è Frodo, un “mezzuomo”, cioè un uomo piccolo, che apparentemente non ha grandi carte in mano per cambiare le sorti della battaglia; eppure è a lui che viene affidato tutto. Perché protagonista della storia non è uno dotato di particolari doti, ma uno che ha il cuore per dire di sì alla grande avventura che bussa alla porta della sua libertà».
Osservazioni applicabili anche a Harry Potter, in fondo. «La differenza – puntualizza Rialti – è che romanzi come quelli di Harry Potter, che pure contengono moltissimi elementi che si riallacciano alla sana tradizione, hanno un elemento profondamente sbagliato: protagonista della storia è un giovane mago. Il problema è che con la magia non è mai affidata all’uomo la possibilità di un cammino vero nella vita. Harry è un mago. Questo è un ultimo, sotterraneo gnosticismo. È come dire che il meglio della vita è acquisire una serie di conoscenze che ti permettono di fronteggiare il male al suo stesso livello. È la presunzione che ne Il Signore degli anelli viene incarnata da Saruman: un uomo di straordinarie doti intellettuali e morali che per fronteggiare il Signore delle tenebre si mette a studiare le sue stesse armi, cioè la magia, e alla fine ne diventa un’altra immagine. Non è un caso che tante volte mi capita di dialogare con dei ragazzi su Il Signore degli anelli e su Harry Potter e vedo che loro implicitamente colgono questa differenza. Una ragazzina poco tempo fa mi ha detto: “Mi è piaciuto molto Il Signore degli anelli, ma di più Harry Potter, perché mi fa credere che con la magia potrei ottenere quello che voglio”. Questo è un errore che è implicito nella proposta della magia come punto positivo per il cammino dell’uomo. Per questo è così importante la sottolineatura di Benedetto XVI, che ha parlato di neo-paganesimo rispondendo a quella giornalista tedesca. Il problema del paganesimo, anche quello antico, è che propone come risposta al problema della vita un percorso per pochi iniziati, che devono ottenere una serie di poteri scendendo a patti con una serie di forze».
Un grande mito popolare
«Un grande fenomeno di intrattenimento, brillante, scritto bene». A Pietrangelo Buttafuoco, giornalista, scrittore, ora conduttore estivo di Otto e mezzo su La7 (e con un passato da insegnante) Harry Potter piace. «È pieno di personaggi affascinanti, benissimo caratterizzati, secondo tutte le gradazioni dell’umano, dal più comico al più tragico. E poi mi piace molto la capacità della Rowling di costruire un mondo che cresce con l’età dei suoi protagonisti». Ma per uno scrittore così attento alla dimensione mitica le avventure del maghetto non possono essere solo un abile divertissement; e infatti «come Tolkien – prosegue – la Rowling ha costruito un mondo che per mezzo della fantasia e della metafisica riapre nel nostro mondo secolarizzato un varco alla religione. Hogwarts, come la Terra di mezzo de Il Signore degli anelli, risale alle spalle del protestantesimo, recupera quel fondo dell’Inghilterra medievale che costituisce il cuore della sua cultura, che costituisce la linfa della grande tradizione inglese, fino a Newman, a Eliot, a Ezra Pound (che inglese non era ma che tanto deve a Eliot e alle sue radici). Trovo che sia un grande mito popolare, utilissimo perché affeziona i lettori di un mondo secolarizzato all’idea che si possa guardare la realtà con occhi diversi, che possa esserci un mondo al di là dell’immediato. E non credo sia un caso che a Hogwarts si celebri il Natale».
Semplice ma non semplicistico
«Harry Potter non è stato ancora capito fino in fondo: rappresenta un mistero da esplorare, un mito da interpretare; un mito semplice, ma non semplicistico. La Rowling ha seminato nelle pagine incantate della saga di Hogwarts tanta saggezza, oltre che tanta bellezza». Paolo Gulisano, altro autorevole studioso del mondo del fantasy – tra i suoi numerosi libri le più autorevoli biografie di Tolkien, Lewis e Chesterton oggi disponibili in Italia; ultima fatica, un agile saggio che ricostruisce l’origine cattolica di Halloween, poi deformata dall’appropriazione protestante – è decisamente favorevole al mondo di Harry.
«La saga di Harry Potter offre, nella migliore tradizione della letteratura fantastica inglese, una rappresentazione simbolica del mondo, con i suoi valori, le sue tragedie, i suoi conflitti. L’autrice scrive un testo per bambini, cercando di comunicare al piccolo lettore le verità di bene in cui lei crede, senza però discorsi moralistici, ma cercando di portare il lettore a comprendere che come il successo ottenuto senza fatica, la ricchezza, una vita eterna su questa terra, non sono niente, sono solo illusioni e come ciò che veramente conta sono l’impegno, l’amicizia, l’amore. Hogwarts, con le sue leggi e i suoi valori, è una piccola ma significativa risposta alle false certezze dell’uomo postmoderno, che cerca sicurezza nelle cose materiali, che usa gli altri come oggetti a propria disposizione, che ostenta superiorità cercando di affermare se stesso, perché in fin dei conti ha paura di tutto ciò che esula dal suo piccolo orticello. Infatti Harry è un eroe molto particolare: la realtà della vita l’aveva ben presto disincantato e le sue aspirazioni non potevano essere che piccole cose, scappare dal cugino per non farsi picchiare o andare a settembre in un’altra scuola. Tuttavia il suo destino è diverso, e ad un certo punto della vita egli viene letteralmente chiamato a cose grandi, alla meravigliosa avventura di Hogwarts, tra amici e maestri».
Ma come la mettiamo con l’obiezione che questa saga farebbe desiderare ai lettori di poter risolvere tutto con la magia esulando dal mondo vero? «L’importanza dell’amicizia, delle virtù personali, fa passare in second’ordine quella che apparentemente sembra l’aspetto più importante – e per i critici più ostili più inquietante – del mondo di Hogwarts: la magia. In realtà non è il possesso di una bacchetta che permette di avere tutto subito e senza fatica. Tanto che la magia stessa è un'”arte” da imparare con l’impegno, lo studio, la buona volontà, come Harry Potter sa bene. E comunque non è la magia che conta, ma l’amicizia, il dono di sé, il sacrificio, l’adesione a una verità non costruita a immagine dell’uomo stesso. L’uomo ha desideri grandi (vedi lo Specchio delle Brame), ma non può trasformarli in bisogni da soddisfare subito: se cerca di farlo perde la sua stessa identità di uomo; è invece chiamato ad aderire a un progetto che lo supera. Da chi viene questo progetto? La Rowling non lo esplicita chiaramente, ma lascia la domanda in sospeso, a disposizione della coscienza del lettore, per quanto piccolo egli sia».
«E correggiamo il Papa!»
Due anni fa, quando i giornali strillarono “Ratzinger contro Harry Potter”, Renato Farina si prese il lusso di intervenire per chiedere al Papa di ripensarci. Non è pentito. Anzi: «Se ha detto che è disposto a essere corretto perfino su Gesù, figuriamoci se non lo si può correggere su Harry Potter. Anche perché non si espresse sul libro direttamente, ma su un saggio che lo presentava in una luce negativa». L’opinionista di Libero ha continuato ad amare i libri del maghetto di Hogwarts. E ora ha un argomento in più: «Ho visto l’effetto benefico su mio figlio. Non è vero che fa coincidere il bene con la magia. Poi c’è un senso dell’autorità che è molto forte: loro seguono il preside, Silente, e lui li valorizza. Poi c’è l’amore decisivo della madre che ha permesso al figlio di vivere. E alla fine è la grande legge dell’amore che governa il mondo. Un mondo che ha a che fare anche con il male; che però non è un altro principio rispetto al bene, come in una visione manichea, ma è comunque subordinato rispetto all’amore. Poi ognuno deve giocarsela. Io non capisco – prosegue, allargando il discorso – perché dobbiamo accostarci a certe opere letterarie con un pregiudizio negativo, e non con una certa, sana ingenuità. Prendiamo per esempio Pinocchio; certamente è stato scritto da un massone anticlericale, ma il cardinal Biffi ci ha fatto vedere che è una parabola della condizione umana nella sua ribellione e nella ricerca di Dio. O prendiamo Cuore, anch’esso scritto da un massone socialista umanistico, privo di ogni riferimento religioso: perché la mamma di don Giussani lo leggeva tutti i giorni ai figli, tanto che lui ha ricordato questo fatto nella predica al funerale di lei? Perché, come il cardinal Biffi, dentro un’educazione cristiana vedeva anche quello che l’autore non sapeva di averci messo. Perché i libri hanno la loro storia, più grande dei loro autori, e lo sguardo cristiano sa spezzare anche gli equivoci dell’ideologia».
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