
L’ulivismo teologico di Prodi ha ingabbiato la sinistra nell’odio antiberlusconiano. Non ci resta che votare
L’immondizia napoletana e la mancata visita alla Sapienza di Benedetto XVI hanno creato le condizioni della crisi del governo Prodi, determinata dall’Udeur, che sospettava la mano dell’esecutivo dietro quella della magistratura, e ha quindi pensato che il soggiorno della famiglia Mastella in terra aliena dovesse terminare per trovare altro sbocco. Ma la cosa non è dispiaciuta a Romano Prodi, perché i due eventi precedenti gli avevano già mostrato l’impossibilità di presentare il suo governo come quello che avrebbe ammodernato l’Italia ed europeizzato il paese.
È stato Prodi, infatti, il primo a comprendere che il suo governo non funzionava, che il tempo era scaduto. Gli rimaneva solo di guidare il paese alle elezioni, con il consenso del centrodestra, e nel frattempo vedere se sia possibile sistemare le seicento nomine che cadono sotto la sua competenza nel tempo preelettorale. D’altro canto Prodi sa di mantenere le proprie quote nel Partito democratico, e di essere anche quello che gli dà forma politica attraverso la componente prodiana. Questa componente è una realtà singolare, perché nasce dal mondo cattolico ed è legata alla figura di don Giuseppe Dossetti, il quale pensava il Concilio Vaticano II come evento escatologico unico nella storia della Chiesa e la Costituzione repubblicana come il fondamento che permetteva agli italiani di esistere come nazione dopo la crisi del nazionalismo. È questa combinazione di Vaticano II e Costituzione repubblicana a dare forma alla corrente prodiana del Pd, la cui gestione partitica è affidata ad Arturo Parisi e la cui figura ideale è espressa da Rosy Bindi. Il prodismo è una ideologia teologica che, in questa forma, è estranea ai partiti della sinistra italiana, certamente a Rifondazione comunista. Ma che è servita per fondere in un’unica formazione tutto ciò che rimaneva di soggetti politici esterni all’area di centrodestra. Alle radici del prodismo sta la differenza teologica che esiste nel mondo cattolico italiano, quella differenza che papa Ratzinger ha individuato tra coloro che pensano il Concilio come evento unico e quelli che lo pensano come continuità della Tradizione. Il “veltronismo” avrebbe potuto essere l’occasione di una laicizzazione della sinistra italiana da quella concezione che, appunto, vede il Concilio e la Costituzione come eventi omogenei e fondanti, quindi come una ideologia teologico-politica. Ma non è stato così.
I diessini e i popolari, che compongono la maggioranza del Pd, non sono stati capaci di uscire da questa linea teologizzata che crea un odio nel principio senza motivazione nel fatto. Il prodismo come odio teologico sta alla base del fondamento politico della coalizione. Silvio Berlusconi ha sempre cercato di superare nella concretezza dei fatti politici questa forma irrazionale di odio che Rosy Bindi così manifestamente incarna. Per questo con l’asse Partito democratico-Partito delle libertà aveva pensato a un mutuo riconoscimento tra alternative legittime. Ciò lo aveva spinto a fondare un nuovo partito e a collocarlo nell’intesa con Veltroni, ma Veltroni si è eclissato. I popolari e i diessini non hanno dato segno di voler legittimare il centrodestra e di smettere di incriminare il suo leader come evasore fiscale e populista. Non sono riusciti a liberarsi dalla loro essenza politica, che ancora coincide con la legittimazione da parte della magistratura. Per questo andiamo a nuove elezioni di fronte a un popolo che non comprende per quale artificio teologico e politico sia obbligato a votare per la seconda volta un Parlamento.
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