Luigi e Lele. E una compagnia per cui non possiamo che dire grazie

Di Giancarlo Cesana
10 Novembre 2021
In memoria di due amici scomparsi improvvisamente che, ormai senza sbavature, continuano a parlarci del destino e a guidarci verso di esso
Luigi Amicone

Luigi Amicone

Pubblichiamo il ricordo di Luigi Amicone e Raffaele Tiscar scritto da Giancarlo Cesana per il numero di Tempi di novembre 2021, un numero “speciale” dedicato al fondatore del nostro giornale, mancato improvvisamente il 19 ottobre.

* * *

È il 21 ottobre 2021. Un mese fa è morto Pier Alberto, tre giorni fa sono morti Lele Tiscar e Luigi Amicone. Se ne sono andati tre amici con cui ho condiviso la ricerca del senso della vita: uno con cui sono cresciuto e due che ho visto crescere. Sono tempi duri, come si intitolava la prima editrice del giornale fondato da Amicone. La pressione della morte fa capire che la vita è una cosa seria; molto seria e drammatica. Non si può giocare sull’orlo dell’“abisso”, come papa Benedetto ha chiamato la morte quando è mancata una delle memores che lo assistono. L’unico argine a tale abisso è la resurrezione di Cristo, che anticipa e promette anche a noi, che poco o tanto abbiamo giocato, il perdono della vita eterna. Ci si potrebbe fermare qui, nell’affermazione di un mistero grandioso e consolante. Ma a noi, che rimaniamo doloranti e sbigottiti, non basta. È necessario documentare, renderci e rendere ragione della speranza, il vero e unico sostegno dell’esistenza.

La Chiesa indica il giorno della morte come dies natalis, il momento il cui la vita di una persona non è, come per un neonato, un’ipotesi, un’aspirazione o addirittura una seccatura, ma la manifestazione di una comunicazione e di un compimento definitivo per chi sopravvive. I nostri amici morti, ormai senza sbavature, continuano a parlarci del destino e a guidarci verso di esso.

Per quel che riguarda me, di Pier Alberto ho cercato di dire nel numero precedente. Lele e Luigino avevano la stessa età, 65 anni. Sono morti entrambi improvvisamente e inaspettatamente lo stesso giorno: Lele in un incidente; Luigino per il collasso acuto dell’unico polmone che gli era rimasto dopo un intervento per tumore. Un comune amico mi ha detto che alle 22.15 Luigi gli aveva mandato un messaggino chiedendo se era vero che Lele era morto; dopo due ore era morto anche lui. Per entrambi si stanno accumulando condoglianze e ricordi che ne descrivono l’umanità non comune e spesso affascinante, ben oltre il “de mortuis nisi bonum”, con cui si rende il convenzionale “onore delle armi” al caro estinto.

Ho conosciuto Lele e Luigi quando avevano vent’anni o poco più, verso la fine degli anni Settanta, in piena contestazione. Anche loro si conoscevano perché erano i capi, o più propriamente i leader, delle comunità universitarie di Comunione e Liberazione (Clu) rispettivamente a Firenze e in Cattolica a Milano. Periodicamente, con varia frequenza, ci si vedeva nei momenti di responsabilità del Clu, in genere con don Luigi Giussani. Avendo otto anni più di loro li guardavo e penso di essere stato guardato come un fratello maggiore.

Lele e Luigino

Lele era, o almeno mi sembrava, un tipo introverso, pensoso e forse un po’ timido. Era tuttavia generoso e pieno di passione. Lo si capiva dalla decisione e dalla intensità della sua appartenenza a Cl e poi dalla serietà e dedizione del suo impegno in politica, prima assessore in Comune a Firenze e poi parlamentare, dopo una campagna elettorale memorabile. Quando comprese che la politica non faceva per lui si ritirò e non fece fatica a trovare un lavoro date le sue doti di organizzatore e di manager. Devo molto a Lele e sua moglie Paola perché quando nel 2000 morì, anche lei per incidente, mia moglie Emilia, abitando vicino, ospitarono regolarmente a pranzo mia figlia Caterina quando tornando da scuola non trovava nessuno a casa. Caterina è diventata grande amica della loro figlia Eugenia, adesso in America con una famiglia piena di bambini. Da oltre 10 anni, la grande ospitalità dei Tiscar si è confermata e per così dire ampliata nell’accoglienza di diversi bambini in affido presso la Cometa, a Como. Le condizioni di vita e l’attività lavorativa ci hanno allontanati fisicamente ma non per l’amicizia, che la tragedia di questi giorni riscuote con prepotente nostalgia.

Luigino era il contrario di Lele, estroverso, coinvolgente e assai poco manager. Aveva tuttavia la capacità di comprendere le personalità che aveva davanti. Era a mio avviso un grande educatore, un trascinatore. Dopo Scienze politiche prese una seconda laurea in Lettere perché io insistevo che facesse il professore a scuola e il leader degli studenti di Gs. Preferì la battaglia culturale nel giornalismo e fondò Tempi, che sviluppò originalmente, seguendo e valorizzando un gruppo di ragazzi appena laureati. Ha avuto ragione. Tempi è veramente una testata originale, unica.

Anche Luigino, insieme ad Annalena, ha costruito una grande famiglia con sei figli. Anche lui si è buttato in politica. Anche lui non si è mia piegato alle convenienze. Ha partecipato alle ultime elezioni comunali, quasi sicuro di perdere. Per tirare sassi, diceva, in un mondo che si sta imbarbarendo e perdendo nell’insignificanza. Un sassolino ha riguardato anche me. Per la sua insistenza, nel 2016 il Comune di Milano, per meriti nell’amministrazione (insieme a validissimi collaboratori) del Policlinico, ha concesso la benemerenza dell’Ambrogino a me, che avevo pubblicamente sostenuto Parisi contro Sala nell’elezione a sindaco. Non racconto altro.

Come già accennato, in questi tre giorni, le storie e i riconoscimenti della personalità e dell’impegno di Amicone sono di una ricchezza stupefacente da parte di amici, colleghi e soprattutto avversari. Essi dimostrano che avere, proporre e difendere un’identità può non essere fattore di inimicizia, ma di stima, apertura e anche collaborazione.

«Il mio problema minore è il cancro»

Con Luigino non ci siamo mai persi di vista. Frequentavamo lo stesso gruppo di fraternità, di amicizia stretta, ciellina. Ci vedevamo abbastanza regolarmente ogni quindici giorni e parlavamo di tutto: del sentimento della vita, del giornale che aveva fondato, della sua cronica necessità di soldi, del Movimento, della famiglia, della incessante battaglia che è la vita e del gusto di vivere, della grandezza del vivere avendo scoperto il senso della vita. «Il mio problema minore è il cancro», diceva. Ha vissuto la malattia con la consapevolezza che essa non potesse essere l’ultima parola sulla vita. L’ultima parola sulla vita e su tutto la dice Dio.

È vero che Giussani prediligeva Amicone, come prediligeva quelli in cui l’intelligenza nasceva dall’affetto. Ascoltiamo l’intelligenza di Luigino attraverso la lettera che scrisse a Giussani, pubblicata da Tracce, la rivista di Cl, nel 1998:

Caro Gius, ti saluto e ti penso sempre con grande, grandissima riconoscenza. Tu sei padre e autore nostro, come diceva quella bellissima e semplicissima lettera di un giessino che era a Roma il 30 maggio e che su Tracce ha scritto il suo grazie per la tua vita, senza la quale non avrebbe conosciuto la Vita. Per conto mio, benché claudicante in tutto, resto presente alla consegna e mi meraviglio continuamente che la misericordia di Dio sia superiore a ogni immaginazione e che la fede in Cristo, la gloria che Gli dobbiamo in ogni pensiero, azione e opera, sia la sola cosa al mondo desiderabile, poiché ha il potere di farci vedere distintamente il destino di felicità che ci possiede, anche nei momenti più delicati, difficili e, talvolta, ripugnanti della vita.

Ti voglio bene per il bene che mi hai dato e che mi dai, cioè Lui, di cui noi siamo stirpe e speranza in questo mondo. Il mondo che, per quanto si sforzi di voltare la faccia a Colui che fa tutte le cose, non può non cogliere – almeno negli uomini più pensosi – quanto sia ridicolo, prima ancora che malinconico, l’esito di ogni suo tentativo di prendere il posto di Dio ed ergersi a giudice di quel lucignolo fumigante che è l’uomo stesso. In questo tempo, fatuo e vanesio prima ancora che malvagio, bisogna molto amare, perché non c’è altro che si capisca e che persuada più dell’amore proprio di Cristo.

Luigi Amicone, direttore di Tempi

Don Giussani, i nostri amici nella fede, quelli vivi e quelli morti, puntualmente ricordati oggi al funerale di Luigino, sono in effetti una parola e una compagnia di Dio, che continua il mistero della sua incarnazione e presenza tra di noi. E noi non possiamo che dire grazie, per quanta vita sia costata e costi sostenere la nostra speranza.

Una versione di questo articolo è pubblicata nel numero di novembre 2021 di Tempi.

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