
L’Osservatore Romano dice che greco e latino sono morti. Resuscitiamoli
Il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI ha spinto l’Osservatore romano a riproporre il dramma del greco e del latino quali lingue non solo morte, ma a rischio di polverizzazione come le mummie egizie. E poiché sulle loro fondamenta è nata l’Europa, schiere di intellettuali, opinionisti, politici, educatori, associazioni di grecisti e latinisti si interrogano con angoscia sul futuro di due lingue in cui si incarnano il Logos e il Verbum della nostra civiltà. Su come salvarle dall’oblio, in un tempo travolto dalle forze barbariche e irrompenti della globalizzazione, le opinioni sono molte e, finora, tutte inefficaci.
Giovanni Gentile aveva fatto una scelta organica e coerente: greco e latino quali assi del Liceo classico, e il Liceo classico il punto più alto dell’educazione dell’umanità. Più alto e perciò anche privilegiato: l’accesso era concesso ai pochi destinati alle professioni liberali e all’otium intellettuale. Gli addetti al negotium contadino, operaio e commerciale erano esclusi. Nel Dopoguerra, cattolicesimo politico e sinistra comunista si sono alleati nel tentativo di allargare le strette maglie del privilegio. Celebre resta il discorso di Concetto Marchesi al V Congresso del Pci il 6 gennaio 1946: una sorta di gentilianesimo di popolo. Tuttavia i risultati sono divenuti sempre più deludenti, man mano cresceva la scolarizzazione di massa. Il greco e il latino si stanno perdendo, anche nel Liceo classico. È un fatto. Assegnare a queste due lingue un valore formativo universale e uguale per tutti è solo un “wishful thinking” della retorica neo-licealista.
E allora? Stabilito che il greco e il latino debbono continuare a far parte della Ratio studiorum europea, l’uovo di Colombo sta in piedi così: che il greco e il latino debbono diventare oggetto di specializzazione professionale così come lo è la Ragionieria per i ragionieri o l’Elettronica per gli ingegneri. Chi sono i professionisti? Intanto i preti. Nei seminari le due lingue non sono più studiate in modo professionale. Solo infarinatura. E poi chiunque voglia insegnarle. E le facoltà di Filologia, Letteratura, Storia ecc. Per costoro le due lingue debbono entrare nel core curriculum fin dal primo anno delle superiori e proseguire nell’indirizzo di specializzazione fino alla fine degli studi secondari e poi all’Università. E il valore formativo universale dei classici? Basteranno una buona traduzione garantita dai professionisti e un buon insegnamento.
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