Lombardia, sì al referendum pro case chiuse. La furia della comunità di don Benzi: «Il peggiore dei mali»
È deluso Roberto Girali, all’indomani dell’approvazione da parte del Consiglio regionale della Lombardia di un referendum per l’abolizione parziale della legge Merlin in vista della riapertura delle case chiuse auspicata da Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle (contrari Pd, Ncd). Girali è responsabile del servizio anti-tratta e prostituzione della Comunità Papa Giovanni XXIII, opera messa in piedi da don Oreste Benzi negli anni Settanta, che ogni giorno cerca di strappare dal marciapiede decine di prostitute e offrire loro un’esistenza migliore. E a chi è convinto che “legalizzare” il servizio delle lucciole sia il modo migliore per liberarle dagli sfruttatori, risponde senza giri di parole: «Si illudono, anzi è il peggiore dei mali».
I DATI DI OLANDA E GERMANIA. In realtà, perché la proposta di referendum approvata dal Pirellone diventi realtà, manca ancora il parere positivo di altre quattro assemblee regionali, ma per i sostenitori della riapertura delle case chiuse il voto di ieri in Lombardia è parsa già una vittoria. «Il bello è che questi politici dicono di essere favorevoli ad aiutare le ragazze vittime delle tratte e dello sfruttamento. Ma non s’accorgono che una decisione così non elimina la criminalità, anzi», accusa Girali. Dalla sua ci sono i dati: «In alcuni Paesi europei, penso all’Olanda e alla Germania, dal 75 all’80 per cento delle donne che si prostituiscono sono ancora vittime del racket, e questo nonostante là siano in vigore regolamentazioni come quelle cui vorremmo applicare anche qui. Una legge così non fa altro che deporre a favore degli sfruttatori».
GUARDARE AL NORD EUROPA. Per Girali bisognerebbe invece seguire il modello dettato da alcuni Paesi del Nord Europa come Norvegia e Svezia, che «hanno capito che la domanda è la prima fonte di ogni sfruttamento. È quella che va punita: bisogna multare il cliente». Per altro queste sono le linee guida che ha evidenziato anche la risoluzione approvata dall’Unione Europea lo scorso 26 febbraio, quelle individuate dalla parlamentare britannica Mary Honeyball in un report dettagliato e corredato da testi e raccolte scientifiche dove viene dimostrato che, nei Paesi che hanno detto sì alle case chiuse e a forme di prostituzione legale, i problemi legati allo sfruttamento e alla violenza sono andati tutt’altro che risolvendosi. «Anche l’Europa invita a prendere spunto da questa linea dura: è incredibile vedere come in Regione Lombardia abbiano fatto finta di niente».
E LA “PARITÀ DI GENERE”? Naturalmente però l’intenzione di liberare le prostitute dallo sfruttamento è più che altro un discorso di comodo: quello che interessa veramente è ripulire i marciapiedi, cioè togliersi le lucciole da sotto gli occhi. Neanche questo obiettivo, comunque, sarà raggiunto: «Questo significa non conoscere il fenomeno», continua Girali, che questa mattina è stato al Pirellone proprio per portare ad alcuni membri del Consiglio il parere della sua associazione sul referendum. «Chi legifera non sa minimamente cosa accade nelle nostre strade. Non potete immaginare il dramma che vivono queste donne, quello che hanno passato e provano. Manca il contatto diretto con le persone». Fa specie poi che una scelta simile sia stata presa proprio in un periodo in cui la politica non fa che rilanciare slogan sulla “parità di genere” tra uomo e donna: «Da questo punto di vista non c’è niente di peggio della prostituzione: quel che accade è che il maschio può comperare la femmina, usarla per il suo piacere senza scrupolo e ritegno». Per questo, chiude Girali, è importante guardare il modello individuato dall’Europa che punta a punire prima di tutto la domanda: «È un invito anche ai giovani, con uno scopo educativo per riaffermare il valore della donna».
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A dire il vero la cronaca spesso ci insegna che chi legifera il fenomeno lo conosce benissimo.