
Logos e Corano
Tempi ha incontrato Farian Sabahi, musulmana sciita italo-iraniana, docente di Islam e democrazia all’Università di Torino, e Younis Tawfik, musulmano sunnita iracheno, editorialista, scrittore, uno dei sedici membri della Consulta islamica presso il ministero dell’Interno italiano, docente di Lingua e letteratura araba all’Università di Genova. Ecco una sintesi della conversazione.
È la prima volta che “relativisti” occidentali, governi “moderati” del mondo musulmano e islamisti militanti reagiscono in maniera molto simile. Non alla pubblicazione di vignette blasfeme, ma a una lezione tenuta da un papa in un ateneo europeo. La lezione di Benedetto XVI a Ratisbona. Voi siete entrambi docenti universitari, scrittori, esponenti del mondo islamico in Italia, fate professione di libertà intellettuale. Non vi sembra pericolosa questa china che, mentre ci consente di dire di tutto su Occidente e cristianesimo, ci sospinge verso l’autocensura con l’islam? Come si fa ad avere un dialogo aperto con il mondo islamico che non sia facile girotondo ecumenico?
Tawfik. Penso che il Papa sia stato travisato. I media occidentali hanno estrapolato alcune frasi del discorso e hanno dato adito a una polemica che non esiste. Ai media occidentali ha fatto da cassa di risonanza Al Jazeera. Che ha lanciato una sorta di preallarme, come se il Papa stesse elaborando i princìpi di una nuova crociata. Ovviamente le cose non stanno così: il Papa ha semplicemente tenuto una lezione magistrale in università. E tutti sappiamo che in una lezione magistrale si fanno citazioni. Vado oltre, dico che il discorso di Benedetto XVI potrebbe essere addirittura salutare per l’islam. Potrebbe spingere i musulmani a riflettere sulla loro fede. Mi spiego. Il Papa ha fatto riferimento al conflitto fra fede e ragione. Bene, io credo che nel mondo islamico la fede ha soverchiato, ha sommerso la ragione. E così scivola verso l’integralismo e il terrorismo. D’altra parte, in Occidente è la ragione che ha sommerso la fede. E così anche il materialismo sta creando danni. Sono entrambe esperienze dannose e fallimentari. Tant’è che il Papa ha cercato di mantenere l’equilibrio della sua analisi tra questi due percorsi. È possibile far camminare insieme fede e ragione? Credo sia questo il nucleo del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona.
Sabahi. Stiamo vivendo un’epoca difficile. È dunque opportuna una maggiore accortezza. I motivi per cui anche i musulmani moderati si sono irritati per il discorso del Papa a Ratisbona sono tanti. Innanzi tutto numerosi intellettuali hanno fatto notare che il Santo Padre non ha preso le distanze dalla citazione di Manuele II, come sarebbe stato opportuno: se ha ricordato una frase pronunciata alla fine del XIV secolo, deve averla ritenuta importante all’interno del discorso. E poi i musulmani sono confusi da questo continuo storpiare la parola “jihad”: guerra santa? Il jihad è innanzi tutto “lo sforzo individuale per migliorarsi”. Ma forse il motivo principale della rabbia scatenata dalle affermazioni del Papa tedesco proviene da tutta una serie di eventi storici percepiti dai musulmani come torti nei loro confronti: le crociate medievali, il colonialismo europeo e in tempi più recenti il fatto che il Vaticano abbia «svenduto Gerusalemme ai sionisti». E, ancora, il Papa non avrebbe preso la parola per condannare i tanti dittatori del Medio Oriente, come ci si aspetterebbe da un’autorità religiosa di prestigio internazionale. Infine, non infliggendo una scomunica agli Stati Uniti, il Papa avrebbe permesso agli americani (e ai loro alleati israeliani) di ridurre in macerie il Medio Oriente. Prima l’Iraq poi il Libano. Poco importa se in un caso il Santo Padre si chiamava Giovanni Paolo II e ora, nell’altro, Benedetto XVI. Queste sono le motivazioni dei tanti musulmani, intellettuali e non, che ho intervistato su questo tema delicato.
Ma voi, personalmente, condividete oppure no le motivazioni dei musulmani che si dicono “offesi”?
Sabahi. Comprendo ma non condivido, e le spiego meglio. Comprendo che, se gli obiettivi sono il dialogo interreligioso e la pace, il discorso di Ratisbona è stato un passo falso e il Papa dovrebbe chiedere scusa in modo esplicito. Ma non condivido perché, a mio parere, l’Europa dovrebbe continuare ad essere il luogo in cui tutti possono essere liberi di esprimersi, in qualsiasi forma. Anche nell’abbigliamento e, se mi permette di essere provocatoria, oserei dire: dal perizoma al burqa. Spesso mi capita di difendere, a parole, autori di cui non condivido le posizioni e i cui scritti non mi piacciono. Era successo con Versetti satanici di Salman Rushdie, che avevo trovato noioso, ma anche con le ultime opere di Oriana Fallaci. E ora con il Papa, che, secondo me, non tiene conto di due elementi importanti: il primo storico, relativo alle innovazioni effettivamente portate dal profeta Maometto rispetto all’epoca preislamica; il secondo teologico, relativo all’importanza della ragione in alcune sette islamiche e in particolar modo nello sciismo in cui l’ijtihad (interpretazione) ha un ruolo fondamentale.
Tawfik. Il Papa fa il suo lavoro. Riflette sulla fede e poi offre una sua analisi. Giovanni Paolo II era il Papa delle piazze. Benedetto XVI è il filosofo della Chiesa. È logico che in un discorso legato all’islam metta in discussione il rapporto tra fede e ragione, tema che, dopo Averroè, nell’islam non è stato più assolutamente ripreso e sviluppato. Noi abbiamo subìto un arresto, mentre in Occidente c’è stato uno sviluppo. Comunque sia, mettere in discussione i discorsi del Papa è come voler a tutti i costi aprire un conflitto. Sono convinto che in questa storia c’è qualcuno che ci ha giocato per interesse.
Un collaboratore di Tempi, impiegato in un’azienda lombarda, ha sottoposto ad alcuni lavoratori marocchini il discorso del Papa. Tutti gli uomini, sia gli integralisti che i non praticanti, hanno risposto secondo lo stereotipo di un papa che avrebbe “offeso” l’islam. Solo una donna, credente, in separata sede ha detto: «Ha ragione il vostro Papa. L’islam sarà pure una religione di pace, ma gli uomini islamici non ragionano. Aderiscono solo alla parola scritta nel Libro. Basta osservare la condizione di noi donne. Esiste una violenza profonda e invisibile che umilia e limita la nostra libertà. Non esiste dialogo. C’è solo l’obbligo di rispettare la legge coranica. Non capisco perché non difendete il vostro Papa». Cosa ne pensate?
Sabahi. La violenza contro le donne esiste in tutti i paesi, non soltanto in quelli islamici. Ma è anche vero che in alcuni Stati islamici le discriminazioni sono permesse dalla legge e, in particolare, dal diritto di famiglia che limita le possibilità (per le donne) di divorziare e di ottenere la custodia dei figli. Dire che gli uomini islamici non sono in grado di pensare è una generalizzazione. La capacità di pensare dipende da tanti fattori, non ultimo dall’ambiente in cui si vive, dagli stimoli che si ricevono e dal grado di cultura. Ma non solo: vi sono persone che non sanno leggere e scrivere ma sono sagge. In questo caso si tratta probabilmente di persone provenienti da un ceto sociale basso e analfabeti, come documentano tante statistiche sulla recente immigrazione da questo paese del Maghreb. La situazione è indubbiamente diversa nelle comunità di immigrati provenienti da altri paesi islamici. Difendere il Papa indipendentemente da quello che dice? Noi europei non potremmo comportarci così, perché nel nostro sistema scolastico i testi non sono imparati a memoria ma analizzati, con spirito critico. Ed è questa la carta da giocare: insegnare ai figli degli immigrati a usare la testa, a ragionare, a dubitare. È una partita, da giocare con questa generazione di giovani musulmani nelle scuole italiane. Si tratta di 500 mila ragazzi. Non possiamo permetterci di perdere, di perderli.
Tawfik. Quella donna ha ragione. Non perché dice che bisogna difendere il Papa – il Papa non ha bisogno di essere difeso – ma perché dice il vero quando sostiene che gli uomini non ragionano. È così. Però l’islam non è una religione fossilizzata e rinchiusa in se stessa. Avrebbe tutte le capacità e le possibilità di essere una religione aperta e adattabile ai nostri tempi. Ciò a cui invece si riferisce quella donna è un islam che io chiamo analfabeta. Un i-slam irrazionale, suscettibile. Che non accetta critiche né di mettersi in discussione. Tanti musulmani moderati vivono in esilio per questi motivi. Altri sono stati uccisi perché hanno osato mettere in di-scussione l’islam analfabeta.
Qualcuno osserva che c’è la tendenza a considerare la umma musulmana come una sorta di grande giardino dell’infanzia. Bambini fragili e sensibili, vittime dell’imperialismo occidentale. In Tunisia, che come si dice è un paese islamico “moderato”, nei giorni scorsi il governo ha ordinato la distruzione di tutte le copie del Figaro, perché ospitava un articolo (non papista, ma laicista) che denunciava esattamente questo vittimismo che produce frustrazione e violenza, come si vede nelle banlieue francesi. Non sarebbe ora che i laici come voi facessero sentire la loro voce e si unissero in una battaglia culturale che sia capace di realismo autocritico e non si nutra solo di alibi, per esempio del monotono ritornello che imputa all’America e a Israele le colpe di tutte le ingiustizie del mondo?
Sabahi. I moderati (laici ma anche religiosi) fanno sentire la loro voce, ma non sempre ci riescono. Soprattutto in Italia, dove a fare notizia sono sempre i fondamentalisti. Riguardo alla Tunisia, è vero che le donne hanno maggiori diritti rispetto ad altri paesi islamici: per esempio, la poligamia è vietata e possono abortire senza il consenso del marito, e non solo per motivi terapeutici. Ma non definirei la Tunisia un paese che rispetta i diritti della persona. Al contrario. Di conseguenza non mi stupisce che in Tunisia il Figaro sia stato censurato.
Tawfik. Ho sempre ribadito che non possiamo continuare ad appendere i nostri problemi sugli attaccapanni israeliani e americani. Perché i problemi sono nostri, sono nati dalla nostra società, dai nostri pensieri e modi di vivere, e vanno risolti da noi. Israele e America in questo caso non c’entrano assolutamente. C’entra invece il fermento che c’è all’interno dell’islam tra le due componenti conservatrice integralista e moderata modernista. Gli intellettuali come me si stanno muovendo (ad esempio la Consulta islamica italiana è composta da 13 laici moderati su 16). Scrittori e giornalisti si danno da fare in tutto il mondo. Purtroppo siamo solo agli inizi. Del resto anche in Occidente ci è voluto molto tempo prima di riuscire a separare il potere politico da quello religioso; e per poter dare i diritti alla donna ci è voluta una società laica. Per noi ci vuole innanzitutto una società istruita e non in maggioranza analfabeta. Ci vuole una società che abbia un minimo di benessere per poter avere contatti e dialogare con le altre società. Soltanto il dialogo tra Oriente e Occidente può aiutare i nostri popoli a conoscere altre esperienze per affrontare i nostri problemi. E poi occorre che la politica venga separata dall’islam. Che l’islam non venga tirato in ballo per risolvere i conflitti israelo-palestinese, iracheno, afghano o i rapporti con gli Stati Uniti. L’islam non c’entra con tutto questo. È una fede che va praticata nelle moschee e nei cuori dei fedeli.
Il vicedirettore del Corriere della Sera Magdi Allam ci sta mettendo in guardia da tempo, con i suoi articoli e i suoi libri, sulla diffusione del fenomeno jihadista in Europa. Che opinione avete delle sue denunce?
Sabahi. Sono d’accordo con Magdi Allam: il fenomeno jihadista in Europa è sottovalutato dai governi. Per rendersene conto basterebbe infiltrare agenti bilingui in certe moschee (ma non in tutte) per smascherare il doppio discorso: aggressivo in arabo e su toni completamente diversi in italiano. Questo succede in tutti i paesi, in particolare nelle moschee finanziate dai sauditi wahabiti. A Stoccolma, per esempio, la grande moschea è stata sotto accusa in seguito ai sermoni infuocati dell’imam Hassan Mousa che all’indomani della guerra in Iraq nel marzo 2003 aveva dichiarato ai fedeli in moschea, in arabo, che «l’America sta stuprando l’islam», ma la traduzione inglese e svedese non conteneva questa frase. Magdi Allam non è il solo ad avere messo in guardia, giustamente, le autorità dell’Occidente. Lo ha fatto in Germania Bassam Tibi, studioso siriano di passaporto tedesco, secondo cui sono le regole della nostra società democratica a permettere agli integralisti di agire indisturbati.
Tawfik. Ho grande rispetto per Magdi Allam, ma non sono d’accordo con lui su certi aspetti. È un estremista della moderazione. Cerca di inculcare la paura nell’animo dell’occidentale e induce un altro tipo di estremismo: la difesa. Esagera e sta creando una specie di islamofobia.
a cura di Michelle Nouri
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