
Il Deserto dei Tartari
Lo stupro e la contrattualizzazione del rapporto sessuale

Impagabile Amnesty International. Lancia una petizione intitolata “Il sesso senza consenso è stupro!” perché, scrive sul suo sito internet, «23 paesi dell’Unione europea hanno una definizione legale di stupro basata sull’uso della forza, minaccia di uso della forza o coercizione, senza alcun riferimento al principio del consenso. Tra questi 23 paesi c’è anche l’Italia». Ma due pagine web dopo è costretta ad ammettere: «Nessuno strumento internazionale o regionale per i diritti umani fornisce una definizione esatta di consenso», il che sembrerebbe un problema non da poco, per una campagna d’opinione che mette nel mirino le leggi italiane sulla violenza sessuale in quanto non esplicitano il concetto di consenso. I proponenti possono solo evocare l’articolo della Convenzione di Istanbul che sottolinea che esso «deve essere dato liberamente», quindi non può essere estorto.
Ma che cosa sia esattamente, come debba manifestarsi, quand’è che si può dire che c’è, in quale momento abbia inizio, tutte queste cose Amnesty non le sa dire. Sa solo dire che «può essere revocato in qualsiasi momento» dopo che è stato dato. In qualsiasi momento può essere revocata una cosa che i militanti dei diritti umani non sanno definire, il cui inizio non sanno collocare nel tempo e le cui modalità di manifestazione non si azzardano a descrivere. Però vogliono una legge sullo stupro centrata su questo concetto che rimane fluido. E del rompicapo si lavano le mani scrivendo nero su bianco: «L’Italia può decidere la specifica formulazione e i fattori da considerare per definire la nozione di consenso dato liberamente».
Deculturazione della vita
Il problema dell’approccio di Amnesty International, così come di tanti altri militanti benintenzionati del movimento “MeToo”, nato sull’onda della vicenda degli abusi sessuali e degli stupri per i quali è stato condannato il produttore cinematografico americano Harvey Weinstein, lo spiega magistralmente Olivier Roy nel suo ultimo libro L’aplatissement du monde: sta nella deculturazione della vita umana, di cui il sesso è parte integrante, e nella sua riduzione contrattualistica.
Amnesty e il movimento “MeToo” vorrebbero imporre al sesso la trasparenza di un contratto dove le clausole prevedono tutte le ipotesi possibili, ma il sesso, essendo qualcosa di estremamente vitale e affettivo, non è trasparente. Roy mostra il paradosso della “liberazione sessuale” promossa dagli hippie e dai sessantottini: le stesse persone che sessant’anni fa, in nome del desiderio, promuovevano l’abolizione delle norme che regolavano rigidamente i rapporti sessuali all’interno della società borghese, oggi chiedono che i rapporti sessuali siano dettagliatamente normati per evitare ogni possibilità di sopraffazione, col risultato che la paura (principalmente maschile) di essere accusati di violenza finisce per spegnere il desiderio.
Brutalizzazione dei sessi
È «il ribaltamento della rivoluzione sessuale su se stessa», che Roy spiega così: «La rivoluzione degli anni Sessanta aveva liberato la sessualità dalla costrizione culturale – il desiderio è buono, la cultura è repressione». Ma mezzo secolo dopo rapporti di dominazione e violenze esistono sotto nuove forme.
«La libertà sessuale sembra avere permesso un nuovo tipo di dominazione maschile, più brutale perché non è più limitato culturalmente (dalla galanteria, per esempio) e che dunque non può essere contrastato che dall’imposizione di codici di comportamento normativi, con la garanzia della costrizione giudiziaria».
«Il fatto che il sesso si sia reso autonomo dalla cultura ha provocato una brutalizzazione dei rapporti fra i sessi. La galanteria si fondava certamente su una diseguaglianza, ma era anche profondamente culturale, riposava su codici che erano essi stessi culturali: una visione sul posto che i generi dovevano occupare, un addomesticamento della sessualità bruta, un implicito condiviso in base al quale si supponeva che ciascuno conoscesse il suo ruolo e stesse al suo posto. (…) Quando scompare la codificazione culturale della sessualità, bisogna istituire una nuova codificazione, questa volta esplicita».
Il caso Assange
Per rendere esplicito il consenso che in passato si ammetteva fosse implicito, perché le persone si riconoscevano in una cultura comune che assegnava ruoli e indicava comportamenti relativamente al sesso, altro non c’è che il modello contrattualistico: «La formula dell’incontro sessuale è pensata secondo il paradigma del contratto sessuale, sottoinsieme del contratto sociale». I contratti sono fatti di clausole, e quando si vogliono applicare clausole agli atti sessuali in base alle quali se ne giudica la liceità o illiceità, si percepisce chiaramente che va persa la sostanza emotiva, affettiva, carnale del sesso. Si spegne il desiderio.
Roy fa l’esempio di Julian Assange, accusato di stupro da una donna che aveva accettato di dormire con lui, e le cui accuse potevano essere giudicate solo applicando il criterio del «sequenziamento del rapporto sessuale».
La citazione è prolissa ma illuminante: «Non si tratta soltanto di determinare se la denunciante ha acconsentito inizialmente al rapporto sessuale, ma di verificare se, a ogni tappa della relazione, si può o no stabilire il consenso (…). Perché non accontentarsi di verificare il consenso iniziale all’atto? Come accade spesso, questo consenso è complicato da definire: la donna non voleva veramente, ma tuttavia ha lasciato fare, ponendo delle condizioni – che si usasse un preservativo – che l’uomo non ha rispettato, ma accettando tuttavia di trascorrere un’altra notte con lui, durante la quale egli le ha praticato una penetrazione mentre dormiva. A partire da questo, ci sono due soluzioni: o ammettere che la sessualità non può essere contrattualizzata, o al contrario considerarla come una successione di atti precisi, descrivibili, dove ogni sequenza sarebbe suscettibile di essere accettata o rifiutata, cosa che equivale a rinunciare a vivere la sessualità come un tutto, nel quale luce e oscurità sono inestricabilmente legate fra loro. Perché questo sequenziamento è in fondo di tipo pornografico, cioè ogni segmento dell’atto sessuale è autonomo in relazione all’insieme costituito dal rapporto sessuale e in relazione al rapporto affettivo che può esistere fra i soggetti. Ma, contrariamente alla pornografia, ogni sequenza è pensata con un giudizio di valore destinato a escludere da essa ogni rapporto di dominazione. La psicanalista e filosofa Clotilde Leguil sottolinea la difficoltà di rendere esplicito il consenso: “Non esiste il consenso informato. Questa espressione, che rimanda all’ambito giuridico e medico, maschera ciò che c’è sempre di oscurità e di enigma nel consenso (…) Poiché il consenso impegna il corpo ed è anche un’esperienza corporea, e non un atto di ragione, esso comporta un’oscurità per il soggetto che lo conduce talvolta a lasciarsi andare al di là di quello che desiderava”. Ma proprio nella logica della codificazione e del rifiuto di ogni zona d’ombra che caratterizza la deculturazione contemporanea, quest’ultima posizione non è più considerata legittima».
La legge della California
Il desiderio senza i limiti della cultura (quindi della morale) non sfocia nella liberazione, ma nella brutalità. Nell’era della sessualità liberata, non più sottoposta alla “repressione” del desiderio, dove ogni ragazzo e ogni ragazza può fare tutte le esperienze che vuole senza che la società e spesso nemmeno la famiglia stigmatizzi i suoi comportamenti, siamo assediati dalle notizie di molestie, violenze sessuali e stupri nei college americani, alle feste con calciatori e giovani imprenditori rampanti, fra le star e i produttori dell’industria cinematografica, nelle redazioni delle grandi catene televisive e nei dintorni dei consigli di amministrazione delle multinazionali: proprio coloro che non dovrebbero avere nessun problema con la frequenza dei rapporti sessuali, scivolano più facilmente nella sopraffazione sessuale.
E la società deculturata che non conosce più i chiaroscuri e le ambiguità del sesso, che sono poi quelli dell’umano come tale, cerca la soluzione in codificazioni che sfociano nel ridicolo. Come la legge approvata dalla California nel 2014 per mettere un argine al fenomeno delle violenze sessuali nei campus universitari.
Leggiamo al primo comma del primo articolo della legge, intitolato “Norma di consenso affermativo per determinare se le due parti hanno acconsentito a un atto sessuale”: «”Consenso affermativo” indica l’accordo affermativo, cosciente e volontario di impegnarsi in un atto sessuale. È responsabilità di ogni persona implicata nell’atto sessuale di assicurarsi che essa ha il consenso affermativo dell’altro o delle altre persone (viene normato anche il caso delle orge! – ndt) per dedicarsi all’atto sessuale. L’assenza di proteste o di resistenza non significa consenso, così come il silenzio non indica consenso. Il consenso affermativo deve essere continuo per tutto il tempo che dura un atto sessuale e può essere revocato in qualsiasi momento. L’esistenza di una relazione amorosa fra le persone implicate, o il fatto che ci siano stati in passato rapporti sessuali fra di loro, non deve mai essere considerato in sé come un’indicazione di consenso».
Non sappiamo cosa pensino le promotrici del MeToo o Amnesty International della legge californiana, che immagina un rapporto sessuale intervallato da pause nelle quali i partecipanti (anche più di due) si accertano positivamente della continuità del consenso dato all’inizio. L’abolizione dell’implicito, pensata per proteggere dalla violenza, sfocia in un radicale impoverimento del rapporto, dove le preoccupazioni giuridiche prendono il sopravvento sul godimento.
Che fine farebbe Balzac?
La contrattualizzazione del rapporto sessuale prevede ovviamente la possibilità del recesso, che può avere luogo «in qualsiasi momento». Ma a causa della sua genetica estraneità alla reale natura della sessualità non prevede nulla per il caso opposto: il “no” iniziale che diventa un “sì”. Non come conseguenza di una sopraffazione, ma del sottile gioco psicologico della seduzione, o come esito della dinamica dei litigi e delle riconciliazioni fra sposi o fra amanti.
Un intero continente del mondo dei rapporti sessuali resta fuori dalla portata dei nuovi esploratori, impegnati a ricodificare i comportamenti. La contrattualizzazione e la giuridicizzazione della vita implicano la generalizzazione; non conoscono il caso particolare, la pluralità umana. Che sono lo specifico di pratiche oggi spinte ai margini e in via di estinzione: la pastorale cristiana, le terapie psicanalitiche, la letteratura.
A quest’ultimo proposito qualche tempo fa Alain Finkielkraut ricordava alcune pagine di Balzac: «Ebbra di virtù, madame de Mortsauf, l’eroina de Il giglio della valle, respinge ostinatamente le avances del suo spasimante, Felix de Vandenesse. Sul suo letto di morte, gli scrive un’ultima lettera nella quale compare questa strana confessione: “Ho a volte desiderato da voi qualche violenza”. “A volte, ma non spesso né sempre, qualche violenza ma non ogni violenza”, commenta Mona Ozouf. Questa sottigliezza diventa incomprensibile. Ogni violenza ormai è criminale. Non c’è più posto, all’epoca della grande lotta, “per il mondo di perplessità, di ambivalenza, di ambiguità in cui ci fa entrare la letteratura”» (L’après littérature, pp. 42-43).
Oggi Balzac diventerebbe un bersaglio di MeToo e Amnesty International ne chiederebbe l’incriminazione da parte della Corte penale internazionale.
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