
Ciò che è accaduto a Caivano in queste ultime settimane, paese di 35 mila abitanti alle porte di Napoli, ha colpito l’intero Paese. Il Parco Verde è considerato da anni una delle piazze di spaccio più importanti d’Europa, eppure, nessuno di noi ne conosceva il nome. Ciò che ha reso noto a tutti la realtà degradata e decadente di questo comune è stato lo stupro di due bambine da parte di un gruppo di giovani in gran parte minorenni. La storia, drammatica in sé, si è fatta ancora più oscena quando è trapelata la notizia che gli stupri possano essere stati filmati e rivenduti.
Tutto quel territorio, non certo solo Caivano, è segnato da un disagio sociale dove i cittadini spesso patiscono condizioni di vita molto al di sotto di quello che la comunità civile dovrebbe considerare accettabile. Un substrato fertile per la criminalità organizzata che si trova ad esser l’unica via di fuga per centinaia di ragazzi, uomini adulti, padri di famiglia.
«Sono tutti vittime»
Ciò che mi ha colpito, oltre all’orrore del fatto in sé, è stata la dinamica degli eventi e delle inevitabili reazioni. L’appello della madre di una delle due cuginette stuprate e quello di don Maurizio Patriciello, già sotto scorta per la sua opera sociale sul territorio non gradita ai clan. Il prelato ha chiesto al presidente del Consiglio Giorgia Meloni e addirittura al Santo Padre di recarsi sul posto, non solo per una pur nobile solidarietà, ma proprio per rendersi conto anche solo dell’impatto visivo che questi luoghi richiamano.
Il prelato in una chiesa semideserta nei giorni successivi allo stupro ha spiegato che la gente ha paura: «In questa vicenda sono tutti vittime, non solo le bimbe ma anche quei ragazzini, a cui abbiamo rubato la gioia di andare incontro all’amore con gradualità e tenerezza. Questi ragazzi sono precipitati nell’inferno della sessualità più feroce che hanno imparato dalla pornografia online: vogliamo affrontare il problema una volta per sempre? La verità va sempre detta, in chiesa ancora di più. O non si fa perché gli adulti sono i primi a usufruire di questa porcheria?».
Pacchetto sicurezza
La risposta delle istituzioni è stata immediata. Giorgia Meloni si è recata sul posto e dalla sua visita è scaturito un blitz delle forze dell’ordine con 400 uomini impegnati in una imponente operazione di controllo attivo sul territorio. È lecito domandarsi se l’intervento sarebbe avvenuto anche senza la visita del presidente del Consiglio. A seguito di tutto ciò è stata avanzata da parte del governo la volontà di spingere l’acceleratore su un nuovo pacchetto sicurezza, puntando a inasprire le pene sulla criminalità minorile.
Apparentemente le mosse delle istituzioni sono apparse ineccepibili. La vera domanda però sta altrove: la situazione di Caivano migliorerà grazie a questi interventi? È di questo che hanno bisogno le famiglie che vivono in quartieri fatiscenti, dove la povertà non è l’ordinata fila alla Caritas ma l’atroce promiscuità tra il male e la sopravvivenza?
Scuola, formazione, cultura
Senza nulla togliere alla pur necessaria azione di presenza delle istituzioni, io sono convinto che per bonificare territori come quello di Caivano sia necessario offrire una nuova speranza, una proposta di vita diversa da quella del Parco Verde dello spaccio. Io penso avessero ragione Giovanni Falcone e Gesualdo Bufalino: la mafia non si sconfigge solo con la repressione, ma «con la scuola, la formazione e la cultura», «con un esercito di maestre elementari».
Più educazione, più presenza sociale, più luoghi di aggregazione, più adulti capaci di offrire ai giovani che vivono in quei luoghi, prospettive più affascinanti di quella della criminalità che oggettivamente rappresenta uno status sociale per interi quartieri. Solo questo potrebbe rappresentare una vera alternativa al disagio e al degrado. Per quanto un blitz, seppur imponente, possa incidere, nel giro di ventiquattrore tutto ritornerà come prima. Accanto alle forze dell’ordine, sarebbe necessario mettere in campo una task force costituita da urbanisti, educatori di strada, maestri dei mestieri, imprenditori. Senza una cura dei luoghi, senza bellezza, pulizia, attenzione alle piccole cose, sostegno psicologico alle famiglie, non esistono vie d’uscita.
Non è ingenuità
Ad oggi l’unica risposta è stata più polizia, più sicurezza, più controllo, che certamente in situazioni d’emergenza hanno la loro utile funzione, ma non sono la risposta strutturale al problema. Eppure, sono certo che la via repressiva, l’inasprimento delle pene e dei controlli produrrà un comprensibile coro accondiscendente.
Viceversa, quale consenso politico potrebbe avere una proposta come quella che qui ho tentato, a grandi linee, di delineare? Forse un sorriso di circostanza misto ad un biasimo di ingenuità. Inevitabilmente questo mi porta a fare la considerazione più amara. Oggi viviamo un tempo dominato dalla reazione emotiva, dove le news rincorrono le news e tutto viene bruciato nei tempi brevi di un tweet, di un applauso, o di una rissa in tv. L’informazione vive per l’informazione, per suscitare, attraverso particolari sempre più triviali, la risposta più veemente.
Una saggezza smarrita
La politica e le istituzioni sembrano essersi assuefatti a questo clima, come se fossero costantemente alla ricerca di quelle soluzioni che possano suscitare consenso immediato ma che solo apparentemente rappresentano una risposta concreta. Da sempre la realtà ha costantemente bisogno di una lettura attenta, approfondita, che sia capace di andare a toccare le corde più sensibili, i nervi scoperti, i volti e le mani di chi compie i gesti. Perché da sempre sono i gesti a fare la storia.
Quanto mi preoccupa e mi lascia basito la constatazione che si è smarrita quella saggezza che deve essere propria dello Stato e di chi governa. Quella saggezza che è capace di prendersi un metro di distanza dalla reazione emotiva e a volte anche vendicativa, comprensibili per i famigliari delle vittime, ma che non può diventare il fattore determinante delle risposte della politica e dello Stato. Questa però forse è anche la conseguenza di un tempo in cui tutto tende a rappresentare il male come condizione ordinaria. I media e, sempre più, i social offrono all’utente-cittadino una costante, perpetua e talvolta asfissiante versione negativa e truculenta della realtà, suscitando quella rabbia e quell’ansia umana, del tutto comprensibile a fronte di un’angoscia agitata come specchio della vita.
Dare spazio al bene
Tutto questo mastodontico complesso, ha portato a guardare l’altro come un nemico, come un soggetto da cui sottrarsi, come intralcio per il proprio cammino. Ognuno di noi rischia di percepirsi come una monade isolata, incapace di vedere il bene, di intravvedere una risposta positiva ai drammi che si vivono nella società. Unica soluzione la risposta reattiva, emotiva e superficiale, che sappiamo non essere in grado, perché prescinde dall’umano, di risolvere le situazioni più difficili, calcificate dentro lo spettacolo dell’orrore e della morte.
Ebbene, se questa dinamica diviene anche quella della politica e delle istituzioni, si apre la strada ad un ben triste futuro, incapace di esercitarsi nella costruzione di risposte adeguate alla gravità delle situazioni. Forse proprio per questo motivo, oggi la speranza va riposta innanzitutto nella capacità di “azione” dei corpi intermedi, delle realtà associative di base, in chi cerca il bello ed il buono, anche dove sono rimaste solo macerie. Il male non è una condanna divina, è la distorsione di un mondo che ha perso di vista l’origine della propria ontologica genesi comune. Senza far intravvedere una possibilità reale di bene, una tangibile speranza, una proposta positiva la battaglia è già perduta. Per questo le istituzioni hanno il dovere di dare spazio al bene, non solo di contrastare il male.