
Lo scandalo della croce
Da quando il Papa ha chiesto di riattaccare il crocifisso sui muri degli ambienti pubblici si è letto di tutto, non ultimo Merlo che riesce a fare un parallelo nientemeno che, tra il riporto dei capelli dell’ex sindaco Giuliani dopo l’undici settembre e il crocifisso nelle scuole deciso dalla Moratti, dove il significato sarebbe che non è tanto importante un simbolo, capelli, croce, quanto quello che uno ha dentro, o dietro, o nei capelli! Che, se non fosse noto che a tutti capitano quelle mattine in cui non si sa cosa scrivere, e tutto viene tirato… per i capelli, bisognerebbe pure obbiettare. Ricordando che la nostra cultura si esprime in simboli, in immagini, in pinocchi e in divine commedie, in giotti, picassi, matisse, e se il poeta ci parla di chiare fresche dolci acque, sappiamo (o potremmo sapere se qualcuno ce lo dicesse) che non sono parole associate a caso, ma sono un fiume, la Sorgue, acqua che scorre chiara e fresca in Provenza. E così un crocifisso messo sul muro, sopra la cattedra, ci ricorda (o potrebbe se qualcuno ce lo dicesse) che tutti i simboli che l’uomo ha usato nel nostro mondo occidentale, cioè la sua cultura, parte da quella croce eretta, dall’uomo su quella croce. E, su un muro d’ospedale, non è forse segno di un dolore condiviso, chiunque tu sia? Che abbia ragione Chesterton quando, nella sua «Autobiografia», ci riferisce la storia del monumento ai caduti di Beaconsfield? «Venne fatta la semplice proposta di innalzare una croce» al che, tutti quelli che contavano nel paese, sollevarono «i seguenti temi: (1) la posizione della donna nel mondo moderno; (2) il proibizionismo ed il problema del bere; (3) l’eccellenza, o l’esagerazione, del culto per l’atletica…» …(i capelli di Giuliani?)… «Soprattutto, o meglio sotto tutto, poiché venne mascherata o suggerita simbolicamente in molti modi, la grande guerra di religione che non ha mai cessato di dividere le genti umane, specialmente da quando quel Segno venne innalzato in mezzo ad esse».
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