L’italiano medio è più povero. E lo Stato non basta più

Di Matteo Rigamonti
18 Ottobre 2012
Secondo l'ultimo rapporto Caritas crescono i nuovi poveri in Italia. Per colpa della crisi, del Welfare inefficiente e un po' anche di Monti

Tempi duri per chi ha fame e sete nel Belpaese: gli italiani lottano contro l’indigenza ma lo Stato li abbandona. A lanciare il grido d’allarme è il rapporto sulla povertà della Caritas, pubblicato ieri. Due sono i dati che balzano subito all’occhio: il primo è la tendenza all’aumento delle situazioni di povertà economica dovute soprattutto alla perdita e precarietà del lavoro; il secondo è la crescente inadeguatezza del sistema di welfare nel far fronte ai problemi reali. La Caritas ha aperto le porte alla collaborazione con altri enti, sopperendo alle note lentezze della burocrazia italiana.

IL QUADRO. Nei primi sei mesi del 2012, come spiega la Caritas, sono in aumento (+15,2 per cento) gli italiani che fanno ricorso ai Centri di ascolto (Cda) e sempre maggiori sono i problemi di povertà economica (+10,1), mentre la percentuale di disoccupati è stabile, pari al 59,5 del totale di chi chiede aiuto. Gli utenti dei Cda sono 31 mila in tutta Italia, in maggioranza stranieri (oltre 20 mila, pari al 70 per cento, mentre gli italiani sono poco più di 8 mila, pari al 28,9). L’utente tipo dei servizi offerti dalla Caritas è un disoccupato (61,6 per cento dei casi) ma con domicilio (83,2). Rispetto al 2009 è forte l’aumento degli anziani (+51,3), delle casalinghe (+177,8), dei pensionati (+65,6), degli utenti con figli minori conviventi (52,9). Gente comune, insomma. E non che proviene da situazioni di disagio particolari. Il bisogno più frequentemente espresso è quello della povertà economica (nel 26 per cento dei casi), seguito dai problemi di lavoro (22,9). La richiesta più diffusa invece è quella di beni materiali (42,3).

LO STATO NON RISPONDE. Sul versante della risposta istituzionale, gli operatori delle Caritas diocesane non hanno che potuto constatare «l’evidente incapacità dell’attuale sistema di welfare a farsi carico delle nuove forme di povertà e delle nuove emergenze sociali derivanti dalla crisi economico-finanziaria». I principali limiti evidenziati dalla Caritas sono l’eccessiva dispersione delle misure economiche in una selva di enti e organismi nazionali, regionali e locali, senza logiche e regia alcune; il ritardo estremo nell’attivare le misure di sostegno; le sperequazioni nella definizione del livello di reddito della famiglia, spesso calcolato sulle condizioni socio-economiche dell’anno precedente, che ormai sono superate dall’evidenza dei fatti. Quest’ultimo aspetto è particolarmente grave perché ai livelli di reddito è vincolata la effettiva possibilità di usufruire di determinate prestazioni. E non è tutto: pesano anche il forte carattere categoriale di gran parte delle misure di sostegno, oltretutto estremamente diversificate, che contribuisce a creare vicoli ciechi difficili da prevedere all’avvio dell’iter di richiesta della misura. Da ultimo, è da sottolineare il progressivo restringimento delle disponibilità finanziarie nel settore socio-assistenziale dovute alle politiche di austerity del governo Monti.

VOLONTARIATO IN FLESSIONE. Uno degli aspetti che offre maggiore motivo di preoccupazione alla Caritas è la diminuzione del numero di volontari. Ma i segni di speranza non mancano. Soprattutto tra la gente bisognosa. Alle Caritas, infatti, stanno cominciando a pervenire sempre più richieste di ascolto personalizzato e inserimento lavorativo (+34,5 e +17 per cento). Aumentano anche le Caritas di orientamento professionale, a servizi e a attività formative (+122,5). E, infine, forse proprio a motivo del calo di volontari, cresce il coinvolgimento di altri enti e organizzazioni (+174,8) nell’opera dell’ascolto e risposta ai cittadini.

@rigaz1

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