L’Italia senza bambini e senza lavoratori
Qual è l’urgenza più grave che deve affrontare l’Italia? La natalità. Non è una fissa pro life, è un dato di fatto, lo dicono i numeri. Né quota 100 (voluta dalla Lega), né il reddito di cittadinanza (voluto dai grillini) sono provvedimenti che hanno aiutato o aiutano a risolvere la vera “questione capitale” del nostro paese: una popolazione vecchia che fa pochi figli e che non vuole fare i conti con la realtà dei fatti, ma, anzi, introduce provvedimenti che, anziché dare una svolta, aggravano ancor più la situazione.
Un nuovo Rapporto dell’Istat certifica lo stato delle cose: nuovo minimo storico di nascite dall’unità d’Italia. «Il record negativo di nascite dall’Unità d’Italia registrato nel 2018 – spiega l’Istituto nazionale di Statistica – è di nuovo superato dai dati del 2019: gli iscritti in anagrafe per nascita sono appena 420.170, con una diminuzione di oltre 19 mila unità sul 2018 (-4,5%)».
Più pensionati che occupati
Non solo. Quasi tutti i maggiori media italiani hanno riportato lo studio della Cgia di Mestre secondo cui «il numero delle pensioni erogate in Italia ha superato quello degli occupati». È un dato eclatante che dovrebbe far riflettere un paese che sta attraversando la maggior crisi dal Dopoguerra.
«In virtù degli ultimi dati disponibili – scrive la Cgia -, se nello scorso mese di maggio coloro che avevano un impiego lavorativo sono scesi a 22,77 milioni di unità, gli assegni pensionistici erogati sono superiori. Al 1° gennaio 2019 , infatti, la totalità delle pensioni erogate in Italia ammontava a 22,78 milioni. Se teniamo conto del normale flusso in uscita dal mercato del lavoro da parte di chi ha raggiunto il limite di età e dell’impulso dato dall’introduzione di “quota 100”, successivamente all’1 gennaio dell’anno scorso il numero complessivo delle pensioni è aumentato almeno di 220 mila unità. Pertanto, possiamo affermare con una elevata dose di sicurezza che gli assegni stanziati alle persone in quiescenza sono attualmente superiori al numero di occupati presenti nel Paese».
Le otto regioni del Sud
Chi avrà la pazienza di non fermarsi ai comunicati stampa ma di addentrarsi nello studio della Cgia, si troverà di fronte a una tabella assai significativa (la riproduciamo di seguito) dalla quale si evince che «tutte le otto regioni del Sud presentano un numero di pensioni superiore a quello degli occupati».
I lettori di Tempi conoscono bene il problema dell’inverno demografico, di cui abbiamo parlato più volte. L’emergenza Covid-19 lo ha, inevitabilmente, peggiorato, rendendo ancora più precaria la situazione del paese. Come annota anche la Cgia, l’Europa in generale e l’Italia in particolare «ha bisogno disperatamente di più bambini e di più persone al lavoro che possano sostenere gli anziani a riposo o bisognosi di cure».
La soglia dei 400 mila
Sul prossimo numero di Tempi, gli abbonati potranno leggere a questo proposito una lunga intervista al demografo e presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo. Uno degli scenari che si prospetta per il nostro paese, spiega Blangiardo nel colloquio con Tempi – è quello greco:
«Tra il 2008 e il 2013 il tasso di disoccupazione greca è passato dal 7,7 al 27,3 per cento. Nello stesso periodo si è registrato un calo delle nascite del 20,4 per cento e una riduzione del tasso di fecondità da 1,5 a 1,29 figli per donna, che poi è risalito leggermente nel decennio successivo. Se è realistico immaginare che non rivivremo il break del 1989 in Germania, la prossimità con l’esperienza greca non è affatto improbabile. E stimando una media di 1.500 nati in meno per ogni punto di disoccupazione, possiamo ipotizzare che se questa aumenterà di dieci punti perderemo 15 mila bambini in Italia. Prima di Covid immaginavamo che la soglia dei 400 mila nati sarebbe stata superata al ribasso in Italia nel 2032. La prospettiva ora è che questo avverrà nel 2021. Non è possibile non tenerne conto nel momento in cui il governo immagina azioni per un ritorno alla “normalità” (se di normalità si può parlare) post Covid».
Non sono oggetti di lusso
Servono più bambini e più lavoratori, questo è lo slogan che non può rimanere uno slogan. È una necessità indifferibile della nostra società, la sua prima priorità (altro che monopattini e corbellerie varie). Come dice il presidente dell’Istat nella stessa intervista:
«Dal secondo Dopoguerra non c’è mai stato un intervento demografico, solo azioni di contrasto all’esclusione e alla povertà, vedi tutti i vari bonus bebè o sistemi di agevolazioni fiscali che decrescono rapidamente al crescere del reddito, fino ad annullarsi per il ceto medio-alto. E questo non può essere un motivo di soddisfazione per nessuno: molto prosaicamente, chi si prenderà cura, chi procurerà le risorse umane e materiali per fronteggiare – Covid o non Covid – l’inevitabile crescita della popolazione anziana? I bambini non sono semplici oggetti di lusso, né beni di consumo privato in competizione con altre voci di costo, casa, auto, vacanze…».
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