
Libertà è appartenenza
Prof. Allam, cosa mette in discussione del discorso dominante intorno al multiculturalismo l’omicidio di Theo Van Gogh e le violenze che ne sono seguite?
Anzitutto sottolinea che le società multiculturali, che in Europa e in Occidente sono numerose, appaiono estremamente fragili e dunque deboli di fronte ad una tendenza pericolosa presente oggi un po’ in tutto il mondo: la comunitarizzazione della politica; essa indebolisce la convivenza fra gruppi etnici, linguistici, religiosi diversificati.
In secondo luogo, questo omicidio evidenzia che il multiculturalismo si trova di fronte a un vuoto. Qual è questo vuoto? Il fatto che il multiculturalismo si riduce alla giustapposizione delle comunità. Ma non può ridursi a questo: il multiculturalismo pone il problema di un linguaggio politico che “traduca” le società multiculturali, pone il problema della governance di queste società.
In terzo luogo, il multiculturalismo è attaccato dal suo interno da chi usufruisce della società multiculturale ma in partenza la nega, la rifiuta completamente: mi riferisco al fondamentalismo islamico. Basta leggere i testi del fondamentalismo, la letteratura politica del radicalismo islamico per capire subito che i primi che contestano il multiculturalismo sono loro.
In generale, quali sono i punti di forza e quali sono i punti di debolezza, gli equivoci del discorso multiculturalista oggi in Europa?
I punti di forza sono il fatto che comunque, al di là del caso islam, la conoscenza di altre culture, di altri orizzonti anche religiosi, è sempre comunque un arricchimento, che lo vogliamo o no. Però rimane il problema che noi non sappiamo gestire questo fenomeno. E la fase storica che viviamo attualmente rende tutto ancora più difficile, perché l’idea che sia in corso uno scontro fra le culture è presente nell’immaginario collettivo, e questa idea rappresenta un freno alla ricerca di soluzioni, di sistemi in grado di creare la governance necessaria a ogni forma di multiculturalismo. Si incrociano l’enorme conflittualità internazionale e le inquietudini della società multiculturale, rese più acute dalla questione dell’islam politico. Il mondo islamico sta attraversando un’enorme crisi che fa apparire due cose: da una parte il fatto che l’islam contemporaneo subisce un monopolio dell’interpretazione coranica di tipo fondamentalista, e dall’altra parte l’emergere di un pensiero critico all’interno del mondo islamico, ma che non riesce a diventare massa critica anche per la turbolenza storica che stiamo vivendo.
Le cito una brano di un articolo del sociologo olandese Paul Scheffer a proposito della società multiculturale in Olanda: «Si parla molto di doppia lealtà, ma la verità è che ci sono lealtà dimezzate o mancanti. Troppo spesso il pensiero è: voglio far uso dei diritti di più comunità, ma non sento nessun legame con un paese particolare; appartengo a tutto e quindi in fondo a nulla. Ma la libertà non può essere vissuta senza un senso di appartenenza». Cosa pensa di queste sottolineature?
Meriterebbero un’ampia riflessione. Purtroppo la lealtà si traduce nel fatto che spesso i giovani islamici hanno costruito delle società parallele, forum islamici che propagano un’estrema violenza. Il problema del dialogo fra le culture è il problema del rapporto fra storia e memoria. Nella realtà dei rapporti fra islam e Occidente non riusciamo a far passare la storia come memoria condivisa. Il fatto che viviamo l’epoca del divorzio fra storia e memoria fa sì che i meccanismi di integrazione siano sempre più deboli, e questa assenza di meccanismi di integrazione fa sì che stiamo creando una cultura nella quale c’è il nulla. Tutto funziona come occultamento delle vere problematiche, e questo fa sì che il luogo nel quale si vive appaia un mondo del tutto irreale, che può diventare facilmente vettore di un’estrema violenza. Si può benissimo avere il diritto di voto, ma sentirsi completamente estranei a questo mondo. E questo crea dei meccanismi schizofrenici preoccupanti. Tutto sta oggi veramente nel capire l’altro, ma per capire l’altro bisogna essere consapevoli e riconoscere le proprie radici, nel caso dell’Europa le radici giudeo-cristiane, perché io posso accogliere solo se sono capace di riconoscere la mia identità.
Dunque anche lei è d’accordo che la libertà non può essere vissuta senza un senso di appartenenza.
Certo, c’è bisogno di contenuti alla libertà, altrimenti la libertà è il luogo in cui si può accettare sia la bellezza che la ferocia. Non si possono scindere norme e valori, nel momento in cui sono scissi abbiamo un declino accelerato.
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