La lezione di Grygiel sulla libertà di credere e di agire

Di Rodolfo Casadei
11 Gennaio 2018
Le parole pronunciate dal filosofo polacco amico fraterno di san Giovanni Paolo II a un recente incontro in Italia

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«Non basta avere di che vivere per poter essere se stessi. Per poter essere qualcuno nel quale si rivelano la dignità e la libertà, bisogna avere di che morire. Avendo di che morire, l’uomo sa per che cosa egli vive. Solo allora sa che la sua vita ha senso, poiché sa che cosa sia colui che egli deve essere domani». Così esordì Stanislaw Grygiel, filosofo polacco amico fraterno di san Giovanni Paolo II, in apertura della sua recente conferenza sulla libertà. Perfetta confutazione del nichilismo melenso di “Imagine”, l’inno di John Lennon che anela a un mondo dove non ci sia niente per cui valga la pena morire. Ma mentre l’utopia distopica del leader dei Beatles è diventata colonna sonora mondiale di piazze piangenti dopo un attentato terroristico e di cerimonie di apertura di sessioni di enti Onu, per apprezzare il pensiero e la prosa di Grygiel bisogna tenersi informati sulle sue rare apparizioni, come quella del 15 dicembre scorso a Sesto San Giovanni, invitato dal locale Centro culturale Arca per un incontro dal titolo “Liberi di credere. Liberi di agire”.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Pensiero e prosa di Grygiel sono sempre stati un incrocio di filosofia, mistica e poesia, nei suoi scritti e nei suoi interventi le citazioni dell’amato Cyprian Kamil Norwid, poeta ottocentesco polacco, superano normalmente quelle di Agostino e Tomaso d’Aquino. Anche all’appuntamento di Sesto San Giovanni ha rivendicato la legittimità del suo approccio: «Non mi difenderò contro l’obiezione di pensare la libertà con l’aiuto delle categorie proprie dell’esperienza mistica della persona umana. La storia mi dice infatti che, ogni volta che viene consegnata al potere della ragione calcolante (ratio), la domanda sulla verità e sulla libertà trasforma sia la verità che la libertà nei concetti vuoti in cui i padroni che al momento amministrano il caos mettono i contenuti a loro comodi». La mistica, ovvero il rapporto con la Trascendenza, è irrinunciabile quando si parla di libertà fuori dalla sua riduzione odierna al libero arbitrio: «La dimenticanza della Trascendenza», ha proseguito nel suo paragrafo di esordio, «che traccia all’uomo la via verso il Futuro e lo chiama a camminare verso di esso, come si cammina verso la famigliare casa abbandonata, lo rende un senzatetto e lo fa andare ramingo per luoghi impervi in dipendenza da cose fuggevoli, con le quali non vale la pena identificarsi. È solo la Trascendenza a donare se stessa all’uomo. Essa vuole essere suo Futuro. Chiamandolo a se stessa, gli traccia la strada verso la libertà da tutto ciò che passa. Vietandogli invece di inginocchiarsi davanti ai “vitelli d’oro”, persino davanti a quelli costruiti dai suoi sacerdoti insieme con il popolo alla cui debolezza essi danno via libera, la Trascendenza difende sia i sacerdoti stessi sia il popolo contro il trasformarsi in una massa informe d’individui alienati dal tempo oppure, come dicono oggi, dalla storia».

Tutta la conferenza si è giocata sul parallelo fra la libertà radicata nella Verità, nella Trascendenza e nell’amore per l’altro uomo/donna, alleato sulla strada verso il Destino, che Grygiel chiama Futuro, e la libertà assoluta che per essere tale deve radicarsi nel nulla e nel caos dell’ateismo, ma anche nel disprezzo di fondo per l’altro uomo, come onestamente sintetizzava Jean-Paul Sartre: l’inferno sono gli altri, perché gli altri mi alienano. Perciò non è un caso che gli uomini che sperimentano la libertà frutto dell’adesione alla Verità abbiano dato vita a quelle comunità di persone che sono il matrimonio, la famiglia e la nazione, mentre gli uomini dediti alla libertà assoluta sono impegnati a destrutturarle in nome della libertà del singolo. Il lungo parallelo è ricco di passaggi suggestivi, come quello sui concetti di natura e di cultura, che la modernità ha stravolto e oggi gli stessi cristiani fanno fatica a recuperare. «Il termine “natura”, il participio futuro del verbo nascor, nasci, natus, nasco (naturus, -a, -um), indica ciò che è da nascere e verso cui un essere concreto è orientato. La natura della persona umana indica il futuro che le è dato come compito nella cui realizzazione avverrà il compimento dell’essenza dell’uomo. L’uomo continua sempre a nascere, egli sempre è ancora da nascere, cioè nascituro – “da acqua e da Spirito” (cfr. Gv 3, 5), adorando Dio “in Spirito e verità” (cfr. Gv 4, 23). Dio è il Futuro dell’uomo. Negano la natura dell’uomo quelli che dicono che egli è non naturus, ma producturus, vale a dire oggetto del fare produttivo. Essi eliminano la cultura, al cui posto introducono la “produttura”».

Cultura viene dal verbo latino “colere” che significa coltivare. Si coltiva una pianta sapendo che per sua natura darà certi frutti. «La provenienza del termine “cultura” è agricola. È participio futuro del verbo colo, colere, cultum, coltivare la terra. Non ci serviamo della terra così come ci serviamo delle macchine che producono oggetti. La terra genera. La generazione si unisce con l’amore e l’amore con la libertà. Per me immagine della libertà della persona umana è la libertà dell’uomo che coltiva la terra per la futura messe. La sua libertà avviene nella verità della terra che gli è stata donata e nella verità del suo lavorare nella speranza, in cui matura al Futuro che gli è promesso. Nascendo per esso, diventa libero. Gli uomini alienati (…) vogliono produrre tutto da soli per non dipendere da nessuno e non appartenere a nessuno. Pensano di essere qualcuno in quanto possiedono qualcosa. Per poter essere, devono avere sempre di più. La loro libertà si contrae al possesso di una sempre più grande quantità di oggetti. Loro appartengono a ciò che possiedono. Non esitano a produrre persino degli uomini, cosa che J. W. Goethe ha genialmente previsto nel Faust, dove lo scienziato Wagner produce in provetta un uomo nuovo e lo chiama omiciattolo (homunculus). Lo scienziato gode come un bimbo del proprio successo, mentre Mefistofele, che l’aveva ispirato a farlo, se ne ride come di un imbecille che non comprende la tragedia alla quale lo stesso Wagner ha dato inizio. Il satana sa che colui che è stato trattato come oggetto nel primo istante della sua esistenza, sarà trattato così fino alla fine della vita».

Bellissimo anche il passaggio che il discorso ha riservato alla questione dei diritti: «Gli homunculi (…) si circondano di nuovi diritti moltiplicati all’infinito per la propria difesa come di un muro fortificato. Tuttavia non si sentono sicuri nel loro ambito. Infatti, per la persona muro fortificato (moenia) non è che un’altra persona. Edificare questo muro costituisce il dovere (munus) di entrambe. Vivendo con questo dovere (cum munere) che è l’altra persona, le persone creano la comunità (com-munio), in cui ognuna è libera e sovrana. Tutti i diritti della persona sono radicati in questo essere reciproco dovere, l’una per l’altra. Tali diritti orientano la persona verso le altre persone. Senso di questi diritti è l’amore spinto fino al dare la vita per gli altri, quando la Parola presente in loro chiama l’uomo a offrire se stesso eroicamente. È della libertà che pervade gli uomini pronti a dare la vita per la verità dell’amore che avviene tra di loro, che Cristo parla a Nicodemo, quando questi di notte pone la domanda sulla cosa più necessaria: “Come può un uomo nascere quando è vecchio?” (Gv 3, 4). Libero è soltanto l’uomo che riceve e dona se stesso fino al “consummatum est!”».

Al termine dell’incontro, moderato con grande perizia da Elisa Grimi, co-autrice con Remi Brague del libro Contro il cristianismo e l’umanismo. Il perdono dell’Occidente, abbiamo chiesto a Grygiel di esprimersi sulle vicende dell’attualità polacca, cioè sulla demonizzazione del governo polacco da parte degli organi dell’Unione Europea e del Rosario del 7 ottobre scorso da parte di molti media europei. «Gran parte delle critiche fatte oggi alla Polonia», ci ha risposto, «dipendono dal fatto che i polacchi hanno deluso tutti quegli osservatori che pronosticavano un rapido declino del cristianesimo nel paese quando questo avesse cominciato a beneficiare di più alti livelli di benessere economico: così non è stato, come dimostrano le statistiche sulla pratica cristiana ed eventi come il Rosario del 7 ottobre, e questo ha prodotto tanta rabbia in certi ambienti. Il Rosario è stato un gesto spontaneo e di popolo, contro il terrorismo e non contro i musulmani o gli immigrati. La Polonia, paese con un reddito pro capite ancora modesto, accoglie già entro i suoi confini più di 300 mila immigrati regolari. Le riforme giudiziarie contro cui si scaglia Bruxelles sono necessarie per mettere da parte magistrati dell’epoca comunista che ancora condizionano la vita pubblica della Polonia. L’attuale governo, anche dopo che il già ministro delle Finanze Mateusz Morawiecki è succeduto a Beata Szydlo a capo dell’esecutivo, si ripromette di mettere fuori legge l’aborto con poche eccezioni. Sono cose come queste che scatenano le critiche malevoli contro la Polonia».

@RodolfoCasadei

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