
Lettera teologica ma non proprio fuori di cronaca di don Gianni Baget Bozzo
Caro Luigi,
come ho detto, non avrei più scritto articoli per Tempi, ma inviato lettere. Scelgo cioè temi che non siano legati alla contingenza del momento, dove ripeterei cose che già scrivo sul Giornale o Panorama. Ma ci sono temi di principio coinvolti nel giudizio storico. Quando dico giudizio storico intendo un giudizio sui fatti del divenire, del tempo storico: e nel caso nostro un giudizio sui fatti che si muove in riferimento al Cristianesimo. I fatti possono essere giudicati con occhio cristiano nelle varie circostanze della vita, anche e soprattutto nella vita politica e nella vita dei popoli. Intendo perciò tornare su un concetto, quello di Cristianità, e sulla figura specifica che esso ha anche rispetto alla Chiesa. Cristianità, il corpus Christianorum, come lo definì nel secolo XIII Ruggero Bacone è l’insieme dei popoli cristiani: indica un’area culturale e spirituale, è un concetto interamente storico, spaziale e temporale. Agli inizi della parola “Cristianità” nella vicenda dei cattolici italiani sta l’uso che ne fa uno dei maggiori e più fecondi scrittori cattolici del secolo, Jacques Maritain, in “Humanisme integral” del 1936. Quel concetto sosteneva l’utopia (l’elemento utopico è un’eredità moderna da cui Maritain riuscì a liberarsi solo negli anni ’60) di una condizione storica in cui la grazia e la natura avrebbero pienamente coinciso e in cui il trinomio della Rivoluzione francese (libertà, uguaglianza, fraternità) sarebbe divenuto l’essenza della realtà temporale, divenuta identica alla Grazia. Misi dieci anni della mia vita a liberarmi da quel libro e scrivere un saggio “adversus Humanisme integral” del ’58. Il vero saggio contro “Humanisme integral” infine lo scrisse Maritain: fu “Le paysan de la Garonne” sui disastri visibili della cultura cattolica post conciliare dinnanzi a cui egli scrisse che il modernismo fu un semplice raffreddore di fronte a una broncopolmonite. Quella utopia della confusione tra Grazia e natura, tra Chiesa e società è all’inizio di tutti i mali del cattolicesimo postconciliare. Per questo occore sempre mantenere ben distinte Grazia e natura, Chiesa e società civile. Anche il cattocomunismo dei giorni nostri è figlio di quella confusione tuttora perdurante nel pensiero e nella prassi dei cattolici. E perciò in questa lettera voglio sottolineare l’importanza della distinzione della Cristianità e della Chiesa: è il modo in cui si distingue cattolicamente tra Chiesa e Regno, tra storia ed escatologia. La cristianità è diversa anche da ciò che si chiama dottrina sociale della Chiesa, perché essa contiene in sé non solo il grano, ma anche la zizzania. È appunto il volto storico del Regno. Non è ben chiaro che cosa oggi si intenda con dottrina sociale della Chiesa. Essa ha a lungo significato il pensiero tradizionale della prima e seconda Scolastica alla luce di San Tommaso: così prende forma la parola di Leone XIII. Dopo il Vaticano II, essa non ha più questa chiarezza sistematica e si riduce come dice la “Sollicitudo rei socialis” ad osservazioni sul tempo, nel quadro della teologia morale. La “Centesimus annus”, forse attratta dalla memoria della “Rerum Novarum” torna nell’antica direzione: ma è certo che in ogni caso la dottrina sociale, qualunque forma essa prenda, è un atto della gerarchia ecclesiastica. E nella storia tutto si lega alla comprensione spirituale dei fatti. Fare storia è opera di carisma personale. La Cristianità è il quadro culturale storico che riguarda le strutture intellettuali e morali di una civiltà nata dal Cristianesimo. La Cristianità è la storia concreta dei popoli cristianizzati e delle infinite forme che il pensiero cristiano ha suscitato creando un modo di pensare umano che persino nelle negazioni del Cristianesimo ne ha conservato il sigillo. Il diavolo è sempre scimmia di Dio e quindi, nella cristianità, di Cristo. Il Regno non è solo la Chiesa: è anche la Cristianità, il mondo i cui cresce la zizzania e il buon grano in cui Satana opera e lascia i suoi frutti. I cattolici sono l’anima di questo corpo carnale e mondano che è la cristianità; vivono immersi, come dice la “Lettera a Diogneto”, in essa, sapendo conservare in sé incorrotta la fede cristiana. Sono “spirituali”, lo spirito di questo mondo carnale, che è sempre il campo in cui si dissemina la Parola e importante anche per capire il compito politico del cristiano. Infine l’occidentalizzazione del mondo, che è avvenuta persino attraverso il terribile comunismo sovietico, ha dilatato in Asia il corpo carnale della Cristianità. Per questo penso sia falso quel che si dice oggi, cioè che bisogna inculturare il Cristianesimo depurandolo della Cristianità. È vero, soprattutto oggi, il contrario: prima si diffonda anche con le sue opere neutre (la tecnica) o deformi (la rivoluzione) la Cristianità, poi sorge il Cristianesimo. Il compito del cattolico è difendere il Cristianesimo e la vita dello Spirito nella Cristianità carnale che è il mondo occidentalizzato senza mai cadere nella tentazione utopica dello spiritualismo che è propria della sinistra cattolica. O dell’anti Occidente che è oggi la cultura di destra via Heidegger, Severino, Cacciari. Infine il mondo è redento e per questo la Redenzione può sopportare e supportare il demonio e il male. La Divina Provvidenza regge la storia lasciando l’uomo libero e libero il demonio: ma il cristiano, soprattutto nel martirio, è in sintonia col governo divino del mondo perché ha il pensiero di Cristo.
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