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Lettera estrema (cioè cristiana) sul coronavirus

Il racconto e le riflessioni di un medico a contatto quotidiano coi pazienti covid. Cos'è quest'illusione che è tutto nelle nostre mani?

Francesca Zanetto
14/04/2020 - 4:00
Società
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coronavirus

Ho quasi 44 anni. Se sono minimamente seria con me stessa guardando la mia vita erompe semplicemente un’esplosione di gratitudine. Sono stata benedetta dal dono di tanti figli, uno più bello dell’altro e non in senso estetico, ma esistenziale. Il più piccolo ha 18 mesi, un sorriso che è comparso sul suo volto dopo poche settimane di vita e non è più andato via. Felice di ogni cosa riesce a mostrare ai suoi fratelli la bellezza del tutto, conosce meglio di chiunque l’entusiasmo per la realtà bella e buona, che sia per un biscotto, un bicchiere di acqua o l’abbraccio della mamma. Lo vedono, chiaramente, tutti, compreso il 15enne primogenito, burrascoso adolescente che quando seppe della sua prossima nascita fu colto da cupa rabbia egocentrica. Ora è il suo preferito, se gli chiedo di occuparsi di lui finge solamente di protestare, ma è ciò che preferisce.

Il mio lavoro è il più bello del mondo. Sono un medico, mi occupo di ostetricia e ginecologia, mi prendo cura delle donne, assisto al miracolo più grande del mondo: la vita nascente.

Epidemia di Coronavirus. Qualcosa non mi torna.

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Tutto è dono, questo è chiaro. Chiunque si professi cristiano lo sa. La vita stessa è il dono più grande. Certo, siamo immersi in un modo che ci racconta altro, che ci opprime in ogni istante con menzogne asfissianti… padroni di noi stessi e del nostro destino, la felicità in quel che puoi stringere tra le mani, ogni desiderio un ordine e se anche una minima cosa non va come vorremmo – come inevitabile – avanti con lamentele e depressione. Ma coloro i quali hanno ricevuto la Grazia miracolosa dell’incontro con Cristo, di aver sperimentato la carezza del Nazareno (come l’ha chiamata in modo commovente un amico colpito personalmente dalla crudeltà del virus Corona in queste settimane) dovrebbero sapere che la vita è un dono straordinario e che è fatta per essere data. Nell’offrirla il suo compimento. Non esiste diritto alla salute, diritto allo studio, diritto alla riproduzione, nemmeno il diritto alla sepoltura… se apriamo gli occhi al nuovo giorno ogni mattina e di nuovo sorge il sole questa è pura Grazia. Una tazza di caffelatte e dei biscotti, accidenti… Che merito ne abbiamo?

Ci sono persone, e sono la maggior parte degli abitanti del nostro pianeta, che questi concetti li hanno molto chiari. Non perché siano più intelligenti o istruiti di noi. Anzi. Solo che da sempre vivono così. Ogni mattina una madre in Africa, in Medio Oriente o in Sud America si alza da un pressoché insonne giaciglio e si prepara alla lotta della sua giornata: spesso non sa se lei e i suoi numerosi figli arriveranno a sera e come ci arriveranno. Nonostante questo lavora, cammina, zappa, nutre, cucina, lava, cresce, abbraccia, ama, genera e partorisce molto più di noi, ridendo anche di più, godendo del poco e del bello in modo che per noi purtroppo non è più nemmeno immaginabile. Questa non è retorica, è realtà. Lo sapevo anche prima, ma adesso…

Una delle mie ennesime, inesplicabili fortune è stata quella di aver potuto vivere e lavorare in Uganda per 4 anni con la mia famiglia. Durante quegli anni preziosissimi ed evidentemente benedetti da Dio ho avuto la fortuna di incontrare una quantità di persone sante nel quotidiano. Madri, come esempio tra tanti, che perdevano i neonati alla nascita per situazioni di asfissia dopo travagli prolungati nel recondito della savana, giunte in ospedale allo stremo delle forze. Per me, giovane ginecologa occidentale, era uno strazio senza pace. Ma la pace me la restituivano loro. Dottoressa, ma perché piangi, non lo sai che questo figlio è in Paradiso, in braccio alla Madonna e al buon Dio? Non lo sai che la vita non è nelle nostre mani? Non preoccuparti, noi sappiamo che se tu avessi potuto fare qualcosa lo avresti fatto. Adesso preghiamo insieme su questo figlio che è tornato al Padre.

Ho potuto contemplare in loro e nei Padri comboniani, da cui la gente aveva ricevuto la Parola, tutto ciò che serve per vivere, per vivere bene la vita buona del Vangelo, come ci insegnano… Al ritorno è stata molto dura e tuttora mi ritrovo preda della tentazione dell’occidente ateo e illuso di avere tutto nelle mani.

Questa idea di essere i padroni del mondo è palpabile, serpeggiante, mefitica, ti ripiega su te stesso, ti stringe e ti costringe alla tristezza del giovane ricco.

Due numeri visto che vanno di moda. Dall’inizio dell’epidemia di Coronavirus il WHO riporta (scrivo alla data del 7/4/2020) circa 80.000 morti nel mondo con la grande maggioranza dei deceduti sopra i 65 anni. Considerando solamente la malaria (una delle innumerevoli condizioni causanti mortalità elevatissima e quotidiana nei paesi in via di sviluppo, senza tenere in considerazione, Tbc, colera, tifo, meningite, Ebola, Hiv, infezioni broncopolmonari) possiamo stimare in 145.000 i morti nei mesi di gennaio-aprile 2020 (di questi 89.000 bambini sotto i 5 anni di età). Questi numeri non riguardano un’epidemia (per definizione contenuta in un arco di tempo più o meno limitato) contro la quale il mondo intero sta tentando di lottare, bloccando ogni forma di attività, di circolazione, di relazione e di commercio in molti dei Paesi maggiormente sviluppati. Promuovendo ad esempio la diffusione delle mosquito nets, delle buone pratiche di bonificazione, facilitando la diffusione dei test kits per la diagnosi precoce, dei farmaci antimalarici (vecchi come i miei bisnonni), degli insetticidi, sostenendo la ricerca per un fantomatico vaccino (magari in tempo record) o per farmaci nuovi e più efficaci… no, non è così. Questa è la norma. Da anni, da sempre. Ogni 2 minuti muore un bambino di malaria nel mondo, senza che questo venga raccontato, bollettinizzato, trasmesso su Rai 1 alle 18 di ogni giorno. Nessuna Protezione Civile per loro.

E nessuno batte un ciglio, nessuno si strappa un capello, a nessuno interessa nulla. Nessuno lo sa. L’Occidente ricco e pasciuto si occupa solo di se stesso, entra in panico appena crede di aver perso il controllo (controllo di cosa?) e la paura della morte lo stritola in una morsa di terrore che porta al piagnisteo disperato, alla diffidenza, alla malevolenza, alla caccia all’untore. Cerchiamo almeno la colpa! Da qui ci verrà pace o è quello di cui ci illudiamo. Mors tua vita mea. Questa è la legge dell’umanesimo ateo. Questa epidemia ha veramente tirato giù le maschere: l’illusione di autonomia, di un mondo scientificamente evoluto, forte e autodeterminato si sgretola di fronte a un frustolo di Rna che non è nemmeno una cellula. Stringiamoci allora tutti in un’unità fittizia che mira all’autopreservazione, pronti alla delazione, all’accusa, alla rabbia verso chi tenta di dire che forse la paura è inutile e dannosa e soprattutto alla gioia perfida della catarsi nello scoprire che sono altri a morire, negli altri Paesi i morti sono di più. Non ci spostiamo di un millimetro: l’illusione di nuovo è che le nuove norme, il nostro comportamento corretto e solidale ci riporteranno in pista, saremo nuovamente in controllo, recupereremo il protagonismo della scena, elimineremo il problema. Almeno fino alla prossima volta. Abbiamo creato una nuova Religione, quella dello stare a casa, delle mascherine e del distanziamento sociale, da qui, siamo convinti, arriverà la salvezza.

Questa epidemia influenzale molto aggressiva e con letalità più elevata è stata ed è un problema di sanità pubblica in primo luogo. Siamo stati colti impreparati, in Italia, in Lombardia soprattutto, sicuramente avremmo potuto fare di meglio ed avere meno morti, ma alla fine probabilmente non è nemmeno questo il problema. È andata così, può capitare. Chi lavora poi sbaglia, è inevitabile, lo sanno anche i bambini: nessuno lo ha fatto apposta, l’impresa era molto ardua.

Può capitare, certo che varrà la pena quando le cose saranno più chiare di tentare un’analisi, con l’intento di migliorare il futuro (visto che quello dei poveri non interessa a nessuno tenteremo di migliorare almeno quello dei ricchi che si ritroveranno, forti, sopravvissuti e sempre a pancia piena per la grandissima maggioranza). Ma il punto è un altro. Il punto è che il Signore della storia è Dio e che questo ci è stato da tempo Rivelato. È accaduta un’epidemia, accadono molte cose tendenzialmente incontrollabili nella storia dei singoli e dei popoli. Capitano incidenti, malattie, guerre, carestie, terremoti, tsunami. Non sarebbe forse più interessante domandarsi: Come rispondi tu? Cosa vuole dirti il Signore con questi accadimenti? Dove ti vuole portare? Accettare questo mi pare sia la vera sfida che la realtà di questi giorni ci impone, sempre che ci interessino un domani e un destino.

Ho avuto la fortuna di lavorare nel reparto Covid del mio ospedale. Mentre mi recavo là in macchina il primo giorno ho pregato il Rosario, ero un po’ impaurita perché i racconti terrorizzanti di molti colleghi mi avevano inquietato un poco… ancora una volta però è stata la realtà, intrisa della Sua Presenza, a sorprendermi e ad abbracciarmi. I pazienti, dal signor Umberto, alla signora Teresa, al signor Lorenzo (i cui occhi porto ancora con me) hanno riempito le mie ore di fiducia nella Vita e nel Destino buono. Chi era in guarigione (la maggior parte dei degenti), prossimo alla dimissione, chiacchierava volentieri mostrando affetto persino per me, raccontando con amore di tutto di quel che aspettava a casa: l’orto, i nipoti, i sentieri di Brianza, persino le mogli e la loro amata petulanza… pieni di gratitudine (la Grazia de la Salut) e rinnovata speranza. Per altri invece il momento era difficile, la vita chiedeva il conto, la malattia aveva trovato spazio in un corpo già anziano e compromesso e si trattava di star di fronte al mistero del passaggio:

– Non credevo sarebbe finita così…
– Finita? No, il viaggio non finisce qui… La morte è soltanto un’altra via. Dovremo prenderla tutti. La grande cortina di pioggia di questo mondo si apre, e tutto si trasforma in vetro argentato. E poi lo vedi…
– Cosa, Gandalf? Vedi cosa?
– Bianche sponde, e al di là di queste un verde paesaggio sotto una lesta aurora. – Beh, non è così male!
– No. No, non lo è…
Gandalf Il Bianco, Peregrino Tuc
(dal film “Il Signore degli Anelli: Il ritorno del re” di Peter Jackson)

Ci vuole coraggio a sostenere la speranza degli uomini, ma chi ha conosciuto l’Amore del Signore, chi lo ha visto palpitante nei suoi giorni, nelle notti, nella vita nascente, nell’intreccio delle cose, delle persone, degli incontri, dell’amicizia, del Bene, della Speranza, credo non possa sottrarsi. E ciò che mi insegna la mia storia è portentoso: tranquillo, non sei tu che comandi: la forza viene sempre da un Altro. Ci chiede di far da tramite a Lui – pur nel dolore grande – di non scappare spauriti, di stringere una mano che può essere rugosa e salda nella stretta oppure magari no e comunque accompagnarla verso il salto che attende tutti, per consegnarla a un’altra stretta, quella di Dio, che non verrà mai meno. E ciò che ti folgora è lo sguardo negli occhi dell’uomo, che cercan morendo il sole, ovvero la Risposta, la Vita eterna. E che se preghi ci stanno.

«Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo». (Gv 11, 21-27)

Credi tu questo? Questa è la domanda, secondo me. E prima o poi si dovrà rispondere, anche dopo il vaccino.

Foto Ansa

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