
Su Firstonline si scrive: “Carlo Calenda cambia rotta e straccia clamorosamente l’alleanza con il Pd dopo l’accordo elettorale stipulato ieri da Enrico Letta con Bonelli dei Verdi e soprattutto con Fratoianni di Sinistra italiana, che ha votato 55 volte contro Draghi e nei giorni scorsi ha votato anche contro l’allargamento della Nato a Svezia e Finlandia. «La mia è una decisione sofferta – ha detto Calenda nell’intervista televisiva rilasciata a Lucia Annunciata – ma non mi sento a mio agio con gente che non condivide la nostra linea liberaldemocratica e i nostri valori. Rispetto all’accordo fatto con Letta, le successive alleanze del Pd hanno completamente stravolto la coalizione come se essa dovesse rispondere a due diverse visioni politiche e cioè a un patto per governare e a un accordo solo contro gli avversari: non è il mio modo di concepire la politica»”.
Naturalmente si può ben comprendere l’irritazione di Carlo Calenda che fa un accordo con una seconda parte e poi si trova questa “seconda parte” che ne fa un altro con una terza, senza coinvolgerlo. L’ubriachezza modesta, lo sperduto e inetto vagolare di Enrico Lettino senza dubbio non possono non irritare. C’è però qualcosa di eccessivo nel cosiddetto leader di Azione, che non riuscivo bene a capire, finché non è arrivato un provvidenziale semplificatore che mi ha spiegato tutto: è la boria, bellezza!
Sugli Stati generali Jacopo Tondelli scrive: “Diciamocela tutta: questa non coalizione aveva un qualche senso solo a patto di dirsi tutta la verità. E tutta la verità ha provato a dirla Enrico Letta ieri, con al fianco Bonelli e Fratoianni, e con l’imbarazzo di chi sa che è una verità poco onorevole”.
Un osservatore intelligente come Tondelli cerca di spiegare il comportamento di Enrico Lettino, a cui riconosce qualche ragione, ma ne descrive il comportamento come inesorabilmente mediocre. Forse è utile allargare l’analisi, per capire quel che è successo, al contesto internazionale. I francesi tendono spesso, in epoca moderna, a commissariare l’Italia, ma lo fanno perlopiù con personalità di qualità: così Napoleone con Gioacchino Murat, così Lazard che mette Antoine Bernheim a presiedere le Generali. Questa volta, invece, Emmanuel Macron, a guidare quel che resta del centrosinistra italiano, ha mandato l’ispettore Clouseau.
Su Dagospia da un articolo sulla Repubblica di S.P., si riportano queste parole di Nino Di Matteo: «Mi chiedo cosa penserebbero di questa sentenza le centinaia di vittime istituzionali e non della violenza mafiosa che hanno pagato con il sangue l’intransigenza e la scelta di non cercare alcun patto o compromesso con la mafia. Mi piace ricordare le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che l’anno scorso, alla commemorazione per la strage di Capaci, disse: “Nessuna zona grigia, omertà, o si sta contro la mafia o si è complici dei mafiosi, non ci sono alternative”».
La Corte d’Assise di Palermo con una sentenza esemplare spiega come sia stato un gravissimo errore perseguire magnifici servitori dello Stato con l’accusa di complicità con la mafia, così come è stato insensato consentire dubbi sull’azione di personalità politiche come l’ex ministro Giovanni Conso e addirittura il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Di Matteo, che pure è un eroico pm antimafia, ma assolutamente incapace di autocontrollo, invece di riflettere sulla distruzione dei suoi teoremi e accogliere in silenzio la sentenza dei giudici, tenta persino di mettere Sergio Mattarella contro Scalfaro. L’esistenza di un potere così pervasivo e così sostanzialmente irresponsabile come quello che hanno accumulato i pm dopo il 1992, rende particolarmente fragile la nostra democrazia.
Sulla Nuova bussola quotidiana Stefano Fontana scrive: “Il quadro politico è quindi confuso, non c’è dubbio. Ma solo fermandosi alle apparenze, solo seguendo la cronaca politica spicciola, solo prestando attenzione al gossip politico giornalistico. Se invece si fa uno sforzo di sintesi e si cerca di capire cosa ci sia veramente in ballo nelle prossime elezioni, quale sia la carta che possiamo giocare, se ci si tira fuori dal frastuono, allora si capisce che questo turno elettorale balneare può essere di importanza decisiva. Con la caduta del governo Draghi non è caduto solo un governo ma un sistema politico che governa da molto tempo l’Italia e che continuerà a governarla in eterno se il 25 settembre non subirà un indebolimento, una chiara battuta d’arresto e se la sua sconfitta elettorale non permetterà di aprire nella sua proverbiale compattezza almeno delle fessure dove potersi inserire per disarticolarlo ancora di più e per far passare prospettive nuove”.
Fontana coglie bene la posta in gioco con le elezioni politiche del 25 settembre: si deciderà se i cittadini elettori potranno riprendere una centralità decisiva nel determinare gli indirizzi della nazione, o se quella torsione tecnocratica al nostro sistema politico che Giorgio Napolitano è riuscito a imporre nel 2011 e che Sergio Mattarella ha poi consolidato, continuerà a funzionare d’intesa con quei larghi settori di establishment che considerano la contendibilità del nostro potere politico un lusso. Per capirci, ripeterò un esempio che ho già fatto. Con una vera autonomia politica Roma è riuscita a mandare Mario Draghi alla presidenza della Bce, nell’epoca della subalternità nazionale tutto ciò che abbiamo conquistato è Paolo Gentiloni vice di un Valdis Dombrovskis, a sua volta vice di quella stordita di Ursula von der Leyen.
Foto Ansa
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