L’esempio dei missionari cristiani e la virtuosa «mobilità circolare»

Di Emanuele Boffi
03 Marzo 2019
Diceva Giovanni Paolo II: «Costruire condizioni concrete di pace, per quanto concerne i migranti, significa impegnarsi seriamente a salvaguardare il diritto a non emigrare»

Articolo tratto dal numero di Tempi di febbraio 2019.

 Uomo in mare si salva sempre, punto. Su questo non può esserci discussione a meno che non si voglia abdicare da un senso minimo di umanità. A chi sta affogando, chiunque sia e per qualunque motivo si trovi in pericolo, va offerto un aiuto, un salvagente. Detto questo, occorrerà aggiungere qualche parola per inquadrare meglio il fenomeno migratorio che tante polemiche suscita in Italia e fornire qualche numero e qualche chiave interpretativa, se non esaustiva, almeno all’insegna della ragionevolezza. 

Pensare che sia sufficiente chiudere i porti per contrastare l’immigrazione è come credere che basti mettere un cerotto per guarire un tumore. Al tempo stesso, non prendere nessun provvedimento è suicida. Non esiste patria senza confini e la cura delle propria identità così come la richiesta, per chi arriva nel nostro paese, di rispettare le nostre leggi e tradizioni è il primo segno di un’integrazione che si voglia veramente tale. Buttarla in caciara, dare del “fascista” a Matteo Salvini, non considerare mai che, se accoglienza deve essere, accoglienza sia secondo determinate norme, è un modo stupidamente e colpevolmente sentimentale di intendere i rapporti umani. Che non si possa tollerare che schiavisti e ong continuino i loro traffici è il minimo. Non ci si può far ricattare da nessuno, né dai malintenzionati né dagli (pseudo)benintenzionati.

Ribaltiamo la questione e usciamo dal binomio “ponti-muri” che, francamente, ha rotto le scatole. Conserviamo sulla scrivania una cartina della “Giovane Africa” in cui, paese per paese, è segnalata l’età media della popolazione. In Mali, Niger, Zambia e Mozambico varia tra i 15,2 e i 16,7 anni. In Burkina Faso, Ciad, Etiopia tra i 17 e i 17,9 anni. Nel paese più “vecchio”, la Tunisia, è sui 33 anni. Per darvi un metro di paragone: in Italia è di 45,2 anni. Il Vecchio Continente è “vecchio” davvero; il Vecchissimo Continente è giovanissimo. Capite la sproporzione di energie e vitalità? 

A ottobre Tempi e l’associazione Esserci organizzarono a Milano un convegno dal titolo “Africa, non solo migranti” cui parteciparono il demografo Giancarlo Blangiardo, l’economista Mario Molteni e l’ex ministro Mario Mauro. Blangiardo spiegò che «in Africa vivono 1 miliardo e 287 milioni di abitanti, cioè 500 milioni più che in Europa; fra vent’anni saranno 1 miliardo e 200 milioni in più degli europei. Ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro 25-30 milioni di giovani: se non trovano occupazione, non possono non pensare all’emigrazione». A differenza di quel che pronosticava Thomas Malthus nel Settecento e al catastrofico rapporto presentato dal Club di Roma nel 1972, non è scoppiata alcuna “bomba demografica”, mentre sta già scoppiando la “bomba della mobilità”. Secondo alcune statistiche, l’Africa è il continente con la più alta percentuale di imprenditori: ben il 22 per cento della forza lavoro. Ma nel 60-70 per cento dei casi si tratta di imprese che non vanno oltre l’economia di sussistenza. Le persone, dunque, si spostano e si spostano dove vedono una possibilità di progresso. 

Quindi? Primo. Ricordare sempre quel che insegnava Giovanni Paolo II: «Costruire condizioni concrete di pace, per quanto concerne i migranti e i rifugiati, significa impegnarsi seriamente a salvaguardare anzitutto il diritto a non emigrare, a vivere cioè in pace e dignità nella propria patria». Secondo. Il logoro slogan “aiutiamoli a casa loro”, che spesso nasconde intenzioni pilatesche, deve uscire dalla retorica e diventare realtà. Una realtà non da inventare, ma da riconoscere. Anziché continuare a inviare in Africa casse di condom per contrastare la “bomba demografica”, sarebbe il caso di dare vita a una virtuosa «mobilità circolare», come la definì Blangiardo. Borse di studio e progetti per far nascere in Africa un tessuto imprenditoriale. Conviene a noi e a loro. 

Non è un’idea nuova, se ci pensate. I missionari cristiani lo fanno da secoli con risultati straordinariamente più efficaci, umanamente ed economicamente, di tutte le ong del mondo. Ma i missionari avevano una ragione valida e non economica (l’annuncio cristiano) per trasferirsi in paesi inospitali. Da quell’intento, fiorivano le opere. Noi, oggi, ragioniamo solo in termini economici o di sicurezza. E infatti si vedono le conseguenze. 

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