L’epopea (repubblicana) di New York
Come si spiega che la città culturalmente più liberal del mondo sta per rieleggere un sindaco repubblicano? Come è possibile che la metropoli più politicamente corretta del pianeta sia guidata da ben dodici anni dal partito di Bush? Con i fenomeni Rudolph Giuliani e Michael Bloomberg. Che dopo aver ricevuto in eredità dai Democratici una città violenta, classista ed economicamente depressa, con tasse (e numero di cittadini iscritti alla liste di assistenza pubblica) esorbitanti, hanno dato avvio alla politica della sicurezza e della welfare society.
Ecco un modello per i riformisti. Un modello di politica che taglia le tasse, la spesa pubblica, le procedure burocratiche. E che con la flessibilità del lavoro, le grandi opere, la sussidiarietà, i servizi pubblici immessi nel mercato della competizione virtuosa, restituisce slancio e benessere alla società. Ecco i fatti che candidano la destra, nel nord e nel sud del mondo, a rappresentare nuove politiche di progresso e di giustizia (di cui una sinistra elitaria e radicale, nel nord e nel sud del mondo, sembra essere rimasta portatrice solo nel suo vocabolario, arrogante e snob).
New York. Lunedì 7 e martedì 8 novembre i newyorkesi eleggeranno il centonovesimo sindaco della città e il nuovo governatore dello Stato di New York. Si comincia con la sfida tra il favorito Eliot Spitzer, procuratore dello Stato e candidato dai Democratici, e William F. Weld, passato governatore del Massachusetts in lista con i Repubblicani dopo che George Pataki, l’attuale governatore repubblicano giunto al suo terzo mandato e in carica ininterrottamente dal 1994, ha deciso di ritirarsi con un anno d’anticipo per riservarsi un posto nelle primarie repubblicane per le presidenziali del 2008.
La tornata elettorale si chiude con l’elezione del sindaco di New York (otto milioni di abitanti circa) ed è molto probabile la riconferma dell’attuale sindaco repubblicano Michael Bloomberg contro lo sfidante democratico Fernando Ferrer.
PRIMA DELL’ERA GIULIANI
Sono passati quattro anni dall’attacco terroristico al World Trade Center e dalle immagini dell’allora primo cittadino Rudolph Giuliani in prima linea, a simboleggiare una città unita e solidale nella ricostruzione dopo la catastrofe che colpì il cuore degli Stati Uniti d’America. Giuliani è amatissimo dai newyorkesi, perché è stato il sindaco repubblicano che durante i suoi due mandati, tra il 1993 e il 2001, ha restituito vivibilità e nuovo slancio economico a una città che sembrava destinata a un inarrestabile declino. Prima che Rudolph Giuliani vincesse le elezioni municipali nel 1993, New York era stata governata per tutti gli anni Ottanta dal democratico Ed Koch e successivamente dal suo collega di partito David Dinkins.
Come racconta a Tempi Fred Siegel (autore di una recente biografia su Giuliani, professore alla Cooper Union di New York e senior fellow al Progressive Policy Institute di Washington) «durante tutti gli anni Ottanta l’impiego pubblico crebbe tre volte più veloce di quello privato mentre il caro vita in città aumentò del doppio della crescita economica. Quando Koch decise l’assunzione di 50 mila impiegati, a maggioranza afro-americana o portoricana, senza un vero programma di sviluppo economico, giustificò la decisione dicendo che non poteva sostenere una situazione in cui il Comune disponeva di soldi da investire provenienti dalle tasse e da Washington, ma non aveva soluzioni per aiutare la popolazione meno abbiente a procurarsi i servizi di cui necessitava. Il risultato fu che nel decennio 1978-88 New York perse ben cinquecento sedi centrali di società».
L’elezione a sindaco di New York nel 1989 di Dinkins, il primo sindaco afro-americano nella storia della città (quell’anno sconfisse Giuliani), suscitò grandi speranze di cambiamento per la città. Dinkins fu appoggiato dal potente sindacato degli insegnanti, dalle numerose associazioni liberal newyorkesi (su tutte, la Aclu, l’associazione per i diritti civili), dall’influente reverendo afro-americano Jesse Jackson e non ultimo dal finanziere di Wall Street Felix Rohatyn, l’artefice della ripresa economica di New York dopo la crisi del 1975, che presentò Dinkins come il solo candidato in grado di porre fine alla crescente violenza urbana. Le aspettative però vennero deluse. Durante i quattro anni dell’amministrazione Dinkins New York perse 330 mila posti di lavoro, mentre il 60 per cento della popolazione minacciava di spostarsi fuori città.
GATEWAY INITIATIVE
Nel 1993 Giuliani, l’ex pubblico ministero più famoso della città per aver indagato senza paura sugli scandali finanziari di Wall Street e accusatore nel 1975 del parlamentare corrotto Bert Podell, decise di riprovarci sfidando nuovamente Dinkins. Questa volta gli andò bene e Rudolph Giuliani venne eletto grazie al decisivo appoggio di due comunità cittadine molto influenti: quella ebraica, fino a quel momento tradizionalmente schierata con i democratici, e quella cattolica, da sempre oscillante tra i democratici e i repubblicani.
La mano decisa di Rudy non si fece attendere. Già durante la prima settimana del suo primo mandato, Giuliani diede avvio alla “Gateway Initiative”, un’operazione che ripulì la città dalla spazzatura e chiuse un periodo di una grave emergenza. Fino a quel momento, infatti, l’intero sistema della raccolta rifiuti (dei commercianti, delle imprese, degli ospedali e delle università) era stato gestito dalle famiglie mafiose Gambino e Lucchese. Abolita ogni forma di concorrenza, tutte le società erano state costrette a sottoscrivere un contratto con le società controllate dalla mafia. Non appena Giuliani diventò sindaco le famiglie mafiose furono messe sotto attacco, fu creata una commissione ad hoc, la Trade Waste Commission (Twc), e fu così ristabilito un servizio di nettezza urbana fondato sulla concorrenza tra diverse società private. In questo modo Giuliani ridusse le spese municipali per la raccolta dei rifiuti da 1,5 miliardi di dollari a 900 milioni. Fu il più grande taglio delle tasse che si ricordi nella storia della città.
MENO TASSE, PIù SERVIZI
Nel 1994 divenne governatore dello Stato di New York il repubblicano George Pataki. Con l’elezione di Pataki, le relazioni con Albany – capitale dello Stato di New York (19 milioni d’abitanti) – fondamentale per la copertura economica di importanti riforme cittadine, divenivano più semplici per il sindaco Giuliani. Così, in quel fatidico 1994, per la prima volta dopo il mitico Fiorello La Guardia, sindaco anch’esso di origine italiana che negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso governò New York per tre mandati consecutivi e fece uscire la città dagli anni della Grande Depressione, Rudolph Giuliani stese personalmente il bilancio del Comune. Il primo luglio il sindaco annunciò che New York aveva un deficit di 2 miliardi e 300 milioni di dollari, il più grande debito che l’amministrazione della città avesse mai ereditato.
Giuliani si lanciò nella bonifica dei conti pubblici con un mix di tagli alla spesa pubblica e alle tasse. New York era diventata la città americana dove si pagavano più tasse e, nel contempo, la città in cui i beneficiati dal record delle imposte erano i 270 mila newyorkesi iscritti ai servizi sociali. La politica fiscale fondata sull’assistenzialismo non aveva prodotto altro che nuovi poveri e una crescita esponenziale di iscritti ai servizi sociali. E mentre l’élite finanziaria seguitava ad arricchirsi, l’economia correva verso la paralisi e il ceto medio verso la povertà. Giuliani abbassò le tasse sulle imprese e sugli affitti con l’obiettivo di attrarre nuova forza lavoro in città. E attuò pesanti tagli alla spesa negli uffici pubblici, chiudendo quelli inutili e introducendo la competizione per migliorare l’offerta dei servizi.
TOLLERANZA ZERO
Coniando il famoso slogan “tolleranza zero”, Giuliani si lanciò nella lotta senza quartiere alla criminalità che aveva reso invivibile la città. Rafforzò la polizia (Nypd) e il circuito penitenziario e attuò una politica per la sicurezza che in pochi anni ridusse ai minimi storici gli indici di criminalità. Ira Stoll, direttore del quotidiano New York Sun, sostiene che «il successo della lotta alla criminalità fu conseguito anche grazie al contributo dell’amministrazione Clinton». L’inedito ticket, il repubblicano Giuliani e il democratico Clinton, fu caratterizzato da una straordinaria intesa, basata su uno spirito pratico tale da consentire a Giuliani di intervenire in settori considerati impossibili da riformare (quelli della sicurezza e del sistema dei trasporti pubblici, dove le riforme necessitano di copertura finanziaria a livello federale).
Nel 1995 Giuliani riuscì a ripulire da Cosa Nostra il Fulton Fish Market, lo storico mercato del pesce di New York, con un’operazione senza precedenti che mobilitò duecento poliziotti per un intero mese di presidio e per sedici ore al giorno. Per contro, se sul finire degli anni Novanta, grazie a Giuliani, la conquista dell’elettorato moderato di New York da parte dei repubblicani era completata, l'”effetto Giuliani” produceva la radicalizzazione del Partito Democratico, divenuto in quegli anni sempre più succube di minoranze etniche e di lobby radicali. Durante il suo secondo mandato Giuliani proseguì la sua politica di “tolleranza zero” contro la criminalità portando New York – che ha tre volte la popolazione di Chicago – ad avere meno omicidi di quest’ultima. Insieme al governatore Pataki affrontò poi il problema dell’università municipale di New York (Cuny) che aveva raggiunto standard di istruzione risibili. Al punto che nel 1997 ben il 25 per cento degli studenti ispanici e afroamericani non era in grado di ottenere la licenza di insegnamento perché non possedeva una sufficiente conoscenza della lingua inglese. Nel 2000, solo tre anni dopo l’avvio della riqualificazione dell’università, la percentuale dei respinti scese al 10 per cento.
In considerazione dell’incoraggiante trend economico che attraversava la città grazie ai tagli comunali sulle tasse pari a 2 miliardi di dollari, alla vigilia del nuovo millennio Giuliani volle affrontare il problema delle case di proprietà. Solo il 30 per cento dei newyorkesi infatti ne possedeva una contro la media nazionale del 66 per cento. L’amministrazione comunale procedette così alla costruzione di nuove case con forti agevolazioni sull’acquisto nelle aree di Ocean Hill-Brownsville, Morissania e East Harlem.
LA VITTORIA DI BLOOMBERG
La tragedia dell’11 settembre 2001 avvenne proprio durante gli ultimi mesi del secondo mandato Giuliani e nel pieno svolgimento delle primarie del Partito Democratico per la nomina del proprio candidato sindaco. Fino a quel momento il candidato del Partito Repubblicano Michael Bloomberg, un magnate dell’industria televisiva ed editoriale, avvertito come estraneo ai veri problemi della città, aveva uno svantaggio rispetto al suo sfidante, il democratico moderato Green, di ben 40 punti. Il pieno appoggio dato da Giuliani a Bloomberg nelle ultime settimane di campagna elettorale trasformò l’elezione del nuovo sindaco in un referendum sull’operato del sindaco uscente. Il 6 novembre del 2001 Bloomberg vinse e divenne il nuovo sindaco repubblicano di New York con un margine di soli 43 mila voti.
Le uniche difficoltà che sta incontrando Bloomberg in questi ultimi giorni di campagna elettorale sono legate all’accusa di non esser riuscito a mantenere gli standard d’efficienza di Giuliani (aumento delle imposte, inefficienza del settore scolastico, riburocratizzazione dei servizi sociali) e alla crisi di consenso, registrata nei sondaggi, dalla figura di Bush. Crisi a cui Bloomberg reagisce prendendo le distanze dalle posizioni del presidente.
Il rivale del sindaco in carica è il democratico Fernando Ferrer, un politico di professione originario del South Bronx, amatissimo dalla comunità portoricana e appoggiato dai maggiori sindacati della città. Tuttavia Bloomberg guida saldamente la corsa per la riconferma a sindaco con un distacco costante di 14 punti sul suo avversario. È un fatto, però, che a causa di un’economia che sta rallentando (non certo rispetto alle metropoli europee, ma se paragonata allo sviluppo che stanno vivendo città come Atlanta o Phoenix) e complice il caro vita, non soltanto la città ma l’intero Stato di New York sta perdendo popolazione. D’altra parte, Bloomberg si pone sicuramente al di fuori del grande tentativo di riforme sociali e culturali avviato da Bush, collocandosi, dice il professor Siegel, «sulla scia di liberal paternalisti del passato come Rockefeller e John Lindsay».
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